MURLOCULTURA n. 1/2005

Anche per la "Pieve Vecchia" si appresta l'ora della fine?

"Lo stato attuale di S. Maria a Carli
lo lascia prevedere"

Gianfranco Giannelli invita ad unirsi per salvarla

di Luciano Scali

Se a qualcuno venisse in mente di risalire la strada di Poggio Stefano per recarsi alla “Pieve a Carli” e vi arrivasse indenne, troverebbe la porta della chiesa spalancata. L’interno si presenterebbe ai suoi occhi con l’aspetto inusuale che caratterizza i luoghi abbandonati e col pavimento ricoperto di letame lasciato da animali che vi hanno soggiornato per lungo tempo. Anche i piccioni vi hanno eletto dimora e i segni tangibili della loro presenza si riscontrano ovunque. Difficile descrivere lo stato d’animo alla vista di tale degrado ma se a provarlo è Gianfranco Giannelli per il quale ciò di cui si parla rappresenta un riferimento di venerazione particolare, allora è davvero impossibile. Per gli abitanti del Vescovado, la cosiddetta “Pieve Vecchia” è da sempre la casa della Madonna protettrice del Feudo, il luogo ove per le ricorrenze della Presentazione al Tempio, dell’Assunzione di Maria e per S. Giuseppe si ritrovava un gran numero di persone per onorarla e festeggiarla. I più anziani le ricordano ancora assieme alla benedizione dei campi ed alle processioni seguite con eguale interesse da devoti e non credenti accomunati tutti dall’affetto verso la Madonnina di “Pievarcalli”. Fra i meno giovani c’è chi rammenta di averci preso moglie, oppure esserci passato a Comunione o a Cresima. Di avervi accompagnata la propria madre per chiedere un atto di misericordia impossibile da ottenere dagli uomini, ed altri di esserci poi ritornati “a grazia ricevuta” lasciandovi un piccolo segno di riconoscenza come quel probabile miracolato, che mise fra gli ex voto la sua gruccia rudimentale della quale non aveva più bisogno. Durante i temporali estivi c’era sempre qualcuno che suonava la campana e, a detta di chi mi ha narrato il fatto, la pioggia o la grandine non facevano danno. Oggi magari ci si sorride su, gabellando tali credenze per superstizione, ma allora senza il tormentone della TV, le cose erano più semplici e genuine e il credervi non procurava danno. Luoghi allo stato di rudere o in via di disfacimento non si contano più nella nostra provincia ma difficilmente suscitano il senso di riprovazione come le condizioni di Pieve a Carli. Le rovine sono tutte uguali, non hanno identità, ma richiamano ai valori di ciò che hanno rappresentato, e  che non può essere disperso come se nulla fosse accaduto.
Qui si tratta di “morte annunciata”, di un’entità più volte arrivata sull’orlo del collasso ma sempre salvata in extremis nel corso dei secoli, vuoi per volontà di qualche anima buona oppure, perché no, della Madonna miracolosa che vi si venerava. Le strutture della chiesa sembrano ancora in buono stato ma il tetto comincia a dare segni di cedimento con infiltrazioni di pioggia che aggraveranno le sue condizioni entro breve tempo. Quali siano le intenzioni della proprietà, a conoscenza della situazione esistente a Pieve a Carli, non è dato di capire.
E’ vero che a questo mondo, tutto ha un principio ed una fine, ma occorre distinguere: “Una cosa è accettare il principio naturale del nascere e del morire, ma permettere la profanazione di un luogo di culto millenario e la sua rovina solo perché ormai inutile allo scopo per il quale venne edificato, suscita un senso di riprovazione e di sconforto.” L’effige della Madonna si trova oggi vicino a quella di S. Giusto e al trittico di Montepertuso nella Chiesa di S. Fortunato, in un ambiente asettico e innaturale, più museo che Chiesa vera. Senza voler nulla togliere alla sacralità del luogo, come si sentiranno quelle effigi abituate da secoli al fumo delle candele e all’atmosfera raccolta dei luoghi originari? Nessuno sottovaluta la presenza di tanti “cleptomani” o affaristi in giro alla ricerca di “ricordi” e lo stato d’abbandono di Pieve a Carli induce alla tentazione di procurarsene con facilità qualcuno, ma il trasloco delle cose senza preoccuparsi di quanto accadrà a ciò che resta, assomiglia sempre di più ad una strategia volta a preparare l’ennesima dismissione di luoghi di culto da riciclarsi poi ad usi più profani e redditizi. Purtroppo Resi, Valleranno, S. Giusto stesso ed altre realtà nel circondario, insegnano. Al termine di queste brevi considerazioni occorre essere realisti e domandarsi: “Quanto conta ancora Pieve a Carli per ogni abitante di questo Comune?” La risposta dovrebbe essere data guardandosi direttamente negli occhi e accantonando, una volta tanto, ogni recondita convenienza politica o personale. Se i cittadini hanno a cuore quanto resta della loro memoria legata a questa Pieve, allora debbono attivarsi affinché non vada perduta, e così pure le Amministrazioni: Comunale, Provinciale e Regionale; gli Enti, le Banche, i Circoli e le Associazioni tutte. Quanti soldi ogni anno si volatilizzano in feste, festicciole, iniziative che alla fine non risolvono nulla, portando qualche beneficio a pochi, disagio a molti e lasciando in fondo con la bocca amara. Riflettiamoci su e chissà che l’ennesimo miracolo della Madonnina di Pieve a Carli sia ancora una volta possibile!

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