MURLOCULTURA n. 1 - 2005 | |
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di Luciano Scali
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L’essere ottimisti predispone a passare, senza gravi danni, attraverso le vicissitudini di una lunga esistenza. Io debbo considerarmi fra questi anche se ho dovuto ridimensionare l’illusione derivata dallo stato di grazia, che mi portava a ritenere possibile la correzione di qualche anomalia della nostra società. A causa del mutato modo di vedere le cose e dal valutare in maniera diversa i comportamenti delle persone, forse il nostro primo quaderno di Murlo Cultura 2005 assomiglierà piuttosto a un “Cahier de doleances” anziché a un trimestrale con l’intento di fare cultura. Da quasi tre lustri ormai mi sto impegnando in ricerche intese ad ampliare le poche conoscenze che avevo arrivando a Murlo e di parteciparle poi, a chi avesse interesse ad apprenderle. Mi sono servito di ogni fonte per reperire notizie, consultando archivi e andando a scovarle direttamente in loco fino a giungere, talvolta, a risultati degni di attenzione. Però mentre spendevo buona parte del tempo ad acquisire conoscenza, non si arrestava il progressivo degrado del territorio e della sua memoria storica. Quelli che venti anni fa apparivano come immobili abbandonati ma in buono stato, oggi sono ridotti in rovina. A questo proposito, due anni or sono, vennero scelti luoghi nascosti del territorio, ove le rovine sono preminenti, per illustrare l’annuale calendario del nostro Comune. Furono in molti a criticarlo negativamente asserendo che il vero Murlo non era quello rappresentato nelle foto di Antonella e Stefania. Si ignorava così il messaggio inviato alla comunità intera ove, il moltiplicarsi delle rovine indicava con chiarezza la diffusa perdita d’interesse verso tutto ciò che si riferiva al passato da non potersi monetizzare, malgrado i suoi contenuti. A prima vista verrebbe voglia di compiangere i proprietari di quei beni in dissolvimento, ma aprendo bene gli occhi si arriva a scoprire come stiano, invece, realizzando un buon affare. Un casolare in rovina perde l’identità. Assieme all’aspetto se ne va la memoria storica e decadono buona parte dei vincoli ai quali verrebbe sottoposto in caso di restauro e riqualificazione. Sulle rovine “di quello che fu” potrà nascere una delle tante costruzioni di fantasia che si vedono in giro, paludate di elementi che non legano tra loro e tanto meno col preesistente, fatti di rivestimenti “a madonna”, infissi in metalli multicolori e coperture bene ordinate da sembrare dipinte. Sono ben pochi i vecchi casolari che sfuggono a questa legge non scritta mentre le chiese abbandonate non vi sfuggono affatto. Da quando la gente si è trasferita in paese, abbandonando la campagna, le chiese delle frazioni lontane sono divenute inutili. I Santi, i Beati e la Madonna stessa a cui erano state dedicate, hanno dovuto traslocare senza però portarsi dietro le tracce della devozione del passato. Gli affreschi si sono scoloriti e sono caduti a pezzi assieme all’intonaco, mentre qualche angelo di stucco è stato strappato via dal muro per andare ad abbellire la casa di persone convinte che il pezzo d’antiquariato faccia “chic”. Difficile apprezzare l’avvenuta evoluzione di un mondo incapace di dare la corretta risposta agli interrogativi di chi potrebbe fare confronti col passato. Ecco allora “il pensiero antico divenire utopia” solo perché, nel mondo che cambia, vorrebbe mantenere quanto rimane di apprezzabile affinché tutti ne potessero godere un po’. Senza darcene pensiero, siamo giunti a cancellare “i segni dell’uomo” anziché sottolinearne l’importanza. Forse qualcuno ne trarrà momentaneo profitto ma non certo la comunità. Ogni volta se n’andrà un frammento di quanto resta anche se, per mantenere vivo l’interesse di cui il nostro territorio gode, si continueranno a magnificare qualità sempre più difficili da trovare. |
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