MURLOCULTURA n. 1/2005

Immigrati a Murlo...

...questi sconosciuti

di Annalisa Coppolaro
Associazione Culturale di Murlo
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A vederle camminare a piccoli gruppi, con in testa il chador e addosso gli abiti del loro paese, si direbbe che siano ancora in Kosovo o in Turchia. Invece vanno a comprare i francobolli da Paolino e i tegami da Andreina, e mandano i loro bambini alla Dario Neri. Parlano lingue per noi incomprensibili e salutano talvolta i pochi conoscenti; dalle loro cucine escono i profumi di cibi esotici e diversi, e per ora a Murlo non ci abbiamo fatto del tutto l’abitudine.  Ma la scuola di qui è senz’altro un esempio: basta portare i figli a scuola una mattina per capire che l’idea-immigrazione è stata abbracciata con equilibrio e insegnata con convinzione. I bambini, come sempre, sono stati i primi a trovare normale sedersi nel banco vicino a un ragazzino scozzese o marocchino, apprezzando la ricchezza derivata da questo mix di culture e di lingue. I genitori forse un po’ meno. Ma si sa che i giovani sono più flessibili e adattabili, i più interessati a scoprire e ad accettare, ad esplorare e recepire influenze culturali differenti dalle loro. Molti dei loro genitori andavano a scuola a Murlo, una scuola dove si parlava una sola lingua e si portavano i crogetti per Carnevale e le frittelle per San Giuseppe: nessuno aveva mai assaggiato una baklava e i proverbi e le canzoni in albanese non ce li eravamo nemmeno mai sognati. Oggi nella scuola di Murlo si producono Cd-Rom con splendide canzoni e filastrocche in lingue slave e mediorientali, si imparano giochi tradizionali arabi o croati, e la mente dei bambini si apre fin da subito ad accettare e celebrare la diversità. Dopo la scuola, i bambini giocano tra loro, senza distinzione di lingue e di culture. I genitori invece si incontrano di rado: a volte si fa fatica a metter d’accordo cascianini e vescovini, figuriamoci stranieri ed italiani. Se i bambini si inseriscono bene, è senz’altro più difficile per gli adulti stranieri adattarsi a paesi come il nostro: rimane sempre un’ombra di sospetto, e, anche se si fa buon viso a cattivo gioco, ci si vergogna un pochino ad invitare la vicina musulmana a prendere un caffè da noi. Si teme che la vedano entrare in casa, a volte, e anche di non saper davvero cosa offrirle: sai, i musulmani mangiano cose strane e vai a sapere se un espresso lo gradiscono…
Così si preferisce evitare; in fondo, si conoscono tra di loro, le immigrate, parlano fitte fitte e vanno a trovarsi di continuo, quindi non hanno certo bisogno di far amicizia con gli italiani… Tra uomini è un po’ la stessa cosa: accettare un immigrato, sia dal sud d’Italia che dal Nord Africa, resta un po’ difficile.
I discorsi sembra di sentirli: “Questi immigrati arrivano qui, ci rubano il lavoro e poi si comprano macchine da migliaia di euro. Ma come faranno? E poi vanno in ferie nei loro paesi per settimane. Perché, le donne non le hai viste? Quando si cambiano, sono impeccabili nei loro completi eleganti, scarpe a tacco alto, e poi tutti quegli ori… Mamma mia, hai visto quanti gioielli si mettono? Mah… Del resto, si sa che vengono in Italia perché lo stato gli dà tutto, casa, lavoro, e magari agli italiani niente… Ci credo che vengono a migliaia…”

"Donne" di Luciano Scali

Insomma, questi sono i discorsi che capita di sentire. Che nel loro paese ci sia stata la guerra per decenni, che abbiano perso fratelli, genitori e parenti, che l’economia sia stata distrutta da anni di conflitto, che siano costretti ad emigrare perché non hanno di che vivere nessuno lo dice mai. E non si pensa, certo, che vi sono migliaia di posti di lavoro in Italia oggi solo accettati da cinesi o africani perché nessuno degli italiani li farebbe lavori umili, sporchi e sottopagati. Non si considera nemmeno che ognuno di noi italiani ha parenti o conoscenti emigrati all’estero in cerca di fortuna, o magari un nonno che per anni è stato all’estero perché in Italia non c’era lavoro. Insomma, è al solito la mentalità del paese a vincere sul resto: la tendenza a giudicare male ciò che non si conosce, a classificare senza avere idea di cosa si stia parlando. Se questi pregiudizi verranno un giorno superati, sarà solo per merito della scuola: è proprio grazie a come i nuovi insegnanti avvicinano i ragazzi italiani ai giovani immigrati, se i nostri figli si salveranno dalla mentalità del paraocchi. Speriamo solo che l’apertura mentale favorita dal contatto tra culture diverse fin dall’infanzia riesca a creare una società dove il sospetto per l’Altro sia solo un ricordo. Ma è importante anche conservare la nostra identità e non fare lo sbaglio opposto, quello di rinnegare la nostra cultura in nome della diversità. Essere politicamente corretti è un conto, cancellare la tradizionale recita natalizia per “non offendere altre culture” è un altro; è accaduto come noto in una scuola del Nord Italia, senza che nessun musulmano o buddista avesse fatto alcuna obiezione al presepe o alla natività. Solo per mostrare “rispetto”!
Essere un paese aperto e tollerante non significa scordare le nostre origini, la nostra cultura e la nostra religione in nome del pluralismo: il rispetto reciproco ed il dialogo sono importanti, e quindi, se noi rispettiamo gli immigrati, loro rispetteranno noi senza però esigere di cambiare la nostra vita e le nostre credenze per adattarci a loro come loro non cambiano quello in cui credono. In fondo, secondo la Caritas, ci sono due milioni e mezzo di immigrati regolari in Italia, per il 33% di religione musulmana, mentre il resto degli stranieri sono cristiani, buddisti, induisti, ortodossi: su una popolazione di 57 milioni, la percentuale è certo più bassa che in moltissimi altri paesi EU. Che poi gli immigrati siano in numero crescente non significa dover rivedere il nostro modo di vita o le nostre radici. Ma senz’altro arricchirsi dalla diversità è l’approccio migliore; visto che l’immigrazione, pur se regolamentata, non potrà arrestarsi del tutto, è certo positivo accettare che oramai fa parte del nostro mondo. Anche di quello di Murlo e del suo territorio.

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