MURLOCULTURA n. 1/2007

Vallerano e il suo mulino

di Giorgio Botarelli
Associazione Culturale di Murlo
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Alle profonde e svariate valli che circondano il villaggio di Vallerano, il Merlotti preferisce attribuire la probabile origine del toponimo, contestando l’opinione di alcuni studiosi che lo vogliono derivato dal nome della famiglia romana Valeria, quivi insediatasi in antichissimi tempi con alcuni membri che avrebbero poi sviluppato il borgo (1).
In realtà il toponimo sembra rendere plausibile proprio la fondazione romana, mentre d’altra parte, dalla sommità del rilievo collinoso sul quale è ubicato il villaggio, si dominano ampie vallate, tappezzate di selvaggia boscaglia, e alle cui pendici si dipanano i suggestivi quanto impervi letti dei fossi di Pietracupa, dei Fangacci e del torrente Ornate. Sui fabbricati in massima parte disabitati e diroccati del paese, non sono oggi ravvisabili i resti o i segni residui di fortificazioni da riferire alle funzioni castellane che l’insediamento sembra aver rivestito in passato (notizie sporadiche dal XII secolo al XIV) (2).
Lo stato odierno di trascuratezza in cui versa l’antico villaggio - ma che conferisce al sito un fascino particolare - lascia ancora intravedere le testimonianze di una vita trascorsa assai intensa: una macina da frantoio abbandonata in un piazzale, un paio di cisterne per la raccolta dell’acqua piovana ora inutilizzate, un forno annerito, parzialmente diruto, grandi cantine, stalle o capanne ormai vuote, i ruderi di un mulino nelle vicinanze, un’antica chiesa da poco trasformata in casa per vacanze. Eppure Vallerano nel 1579 contava ben 210 anime residenti, come riferiva il vicario del Vescovado Bernardo Giuseppe Pandini a metà Settecento, epoca in cui la conta della popolazione, che ammontava a 80 unità, dimostrava in corso già da tempo il graduale abbandono del luogo (3). Il vicario Marcello Prosperini, una ventina d’anni dopo il Pandini, di abitanti ne contava ancor meno: ...69 abitatori tra possidenti e non possidenti, tutti lavoratori di campagna, la maggior parte in grado di povertà (4).
Il vicino mulino era ancora in uso fra gli anni venti e trenta dell’Ottocento, in quanto il Catasto Leopoldino, nella mappa della zona, ne evidenzia gli elementi strutturali: il gorello di alimentazione, la gora di raccolta dell’acqua con relativo canale di scolmo, il canale di rifiuto e la mulattiera di accesso al fabbricato, che si staccava sulla sinistra della strada da Vallerano per Casciano a circa cinquecento metri dall’abitato (5). Proprietà all’epoca di Angiolo Magi di Vallerano, possidente locale, il mulino risulta ubicato in posizione elevata, sopra uno sperone di serpentino, sulla sponda sinistra del fosso di Pietracupa (una volta fosso del Lecceto) e nel punto di confluenza del fosso della Brogina, di cui il mulino intercettava le acque. La magra portata però del fosso della Brogina non garantiva l’energia idraulica sufficiente e necessaria a far girare la macina, per cui veniva integrata dalle poco più abbondanti acque del fosso di Pietracupa, captate più a monte mediante uno sbarramento del quale rimangono ancora oggi alcuni resti in muratura; lo sbarramento deviava l’acqua in un canale (gorello) che a sua volta la convogliava nel fosso della Brogina prima che quest’ultimo sfociasse nella gora presso il mulino (vedi disegno). L’ingegnoso sistema di raccolta dell’acqua consentiva di sfruttare al massimo le poche risorse presenti, consentendo l’opera di una struttura indispensabile alla sopravvivenza della vicina comunità. Come si può ancora vedere dai ruderi, l’edificio del mulino - di difficile accesso per la fitta macchia che ha preso il sopravvento nel luogo, una volta avvenuta la sua dismissione - si articolava su tre piani ed era di piccole dimensioni, per una superficie complessiva di circa 67 mq (equivalenti alle 196 braccia quadre indicate nel Catasto Leopoldino); il sistema di macinazione adottato era quello “a ritrecine”, il cui palo, rinforzato in ferro, ancora si intravede nel vano inferiore dalla volta a botte (carceraio) dove scorreva l’acqua (6).

Difficile è risalire alle origini dell’opificio in mancanza, per il momento, di notizie documentarie a riguardo. Tuttavia, se si mette in relazione la sua presenza alla consistenza della popolazione di Vallerano e dintorni, certamente esisteva in tempi addietro, quando doveva servire ad una comunità ben più numerosa. In ogni caso, era già in attività nella seconda metà del Seicento, quando proprio quel mulino fu teatro di un piccolo episodio di cronaca popolare, che vide coinvolti l’allora mugnaio e un abitante del posto con la madre.
Era l’anno 1677, quando Francesco Fontanelli, mugnaio di Vallerano, aveva accusato il compaesano Giuseppe Brunacci di essersi introdotto nottetempo nel suo mulino e di aver rubato uno staio di farina e uno di grano, oltre alla martellina per battere la macina; per questo l’aveva denunciato al vicario del Vescovado, il quale aveva avviato un procedimento penale nei confronti del Brunacci il 9 dicembre 1678; al che il Brunacci, forse per timore di un’ingiusta condanna, forse perché era in effetti colpevole, si era dato alla fuga senza attendere il giudizio, rendendosi irreperibile e abbandonando la vecchia madre, per la quale lui rappresentava l’unico sostentamento. La madre di Giuseppe, Laura, si era allora appellata all’arcivescovo di Siena, “signore e padrone” del Vescovado, perché intervenisse nell’annullare il processo istruito dal vicario, sostenendo a difesa del figlio, che questi aveva prelevato soltanto la ripulitura della macina e che, ulteriore scusante, lo aveva fatto in tempi di carestia, con il sottinteso, quindi, che il modesto furto era dovuto alle povere condizioni della loro famiglia: ...Laura Brunacci di Vallerano nel Vescovado foraneo, serva e suddita dell’eminenza vostra, umilmente gl’espone che Giuseppe Brunacci suo figlio vien processato dal vicario di Murlo a querela del mugnaio di detto luogo, con supposto che detto Giuseppe, l’anno 1677 nel tempo della carestia, spazzassi e ripulissi sotto la macina di detto mulino e levassi quella poca di farina retratta da detta ripulitura; a cagione della predetta processura il detto Giuseppe sta esule e contumace in grave pregiudizio della povera, vecchia e stroppiata madre supplicante, che non puol campare senza l’aiuto dell’unico figlio; onde genuflessa ricorre all’impareggiabil clemenza di vostra signoria reverendissima; supplica per l’amor di Dio ad ordinare che si circondi il processo e che detto suo figlio possa ritornare liberamente alla patria e sovvenire la madre...
Il 28 novembre 1679 l’arcivescovo di Siena, cardinale Celio Piccolomini, richiedeva al suo vicario in Murlo delucidazioni sul caso, prima di pronunciarsi, e meno di un mese dopo il vicario Pineschi così rispondeva: Eminentissimo e reverendissimo signor cardinale padrone. A querela di Francesco Fontanelli, mugnaio di Vallerano, fu da me processato ed inquisito il dì nove dicembre dell’anno prossimo decorso Giuseppe Brunacci di detto luogo per furto preteso fatto di notte nel molino del querelante di staia uno di farina e uno di grano e della martellina per battere la macina; in virtù di detta inquisizione si prese la fuga detto Giuseppe sicome al presente anco sta fuggiasco e per tal causa supplica l’eminenza vostra che si circondi il processo; e se fosse vero ciò che suppone nelle preci che il furto consistesse nella sola politura della macina e nell’anno 1677, non haverei messo penna in carta. Rappresento adunque alla prefata eminenza vostra che se in materia di furti con la fuga e contumacia del delinquente nascerà esempio che si circondino li processi, potrà dubitarsi che si facci adito ad altri di commettere simili mancamenti. Che questo posso rappresentare per la comandata informazione....Dalla cancelleria di Murlo il 18 dicembre 1679, Gio.Pietro Pineschi vicario (7). Non conosciamo l’esito della vicenda.

La ricostruzione del Mulino di Vallerano in un disegno di Luciano Scali

Note
(1) Vedi: Memorie storiche delle parrocchie suburbane della diocesi di Siena di G.Merlotti, a cura di Mino Marchetti, Siena 1995, p.502.
(2) Vedi: I castelli di Murlo di V.Passeri, Siena 1995, p.101.
(3) Vedi: Una Signoria nella Toscana moderna di M.Filippone, G.B.Guasconi, S.Pucci, Siena 1999, p.113.
(4) Ibidem, p.302.
(5) Archivio di Stato di Siena, Catasto Leopoldino, Comunità di Murlo, sezione Q detta di S.Stefano, part.164.
(6) Per il mulino di Vallerano vedi anche: in Murlo Cultura lug/ago/set 1999, La storia semplice di un mulino dimenticato di L.Scali e in Murlo Cultura ott/nov/dic 1999, Il mulino di Vallerano: come funzionava di L.Scali.
(7) Archivio Arcivescovile di Siena, Cause Civili 4934, imperfetti dell’anno 1680.

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