MURLOCULTURA n. 1/2010
Considerazioni dopo una camminata
sul Poggio delle Civitate


di Luciano Scali
Associazione Culturale di Murlo
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Il poggio delle Civitate si scorge da lontano, è piazzato in posizione isolata e per arrivare agli scavi bisogna salire sempre, da qualsiasi luogo si provenga. Tutto attorno ci sono fossi e vallatelle invasi dalla macchia mediterranea dove predominano lecci, roverelle e pini.  E’ costituito da rocce antiche emerse dal mare pliocenico e costituite in massima parte da marne, calcari e, in qualche punto, gabbri.  E’ conosciuto in tutto il mondo ormai per essere stato un sito villanoviano e poi un importante insediamento etrusco. Gli scavi hanno fatto luce su alcuni misteri, altri ve ne sono ancora anche se ogni anno gli interventi delle università americane riescono a svelarne qualcuno legato alla “polis” che circondava il palazzo del Principe.  Il bosco che ricopre gran parte del poggio è sempre stato attraversato da sentieri con i quali raggiungere agevolmente ogni anfratto, e da una importante strada rimasta attiva fino alla fine del XIX secolo per essere poi soppiantata dalla provinciale che conduce a Buonconvento. Il bosco l’ho sempre conosciuto fitto e impenetrabile fino a pochi anni fa; una specie di rifugio sicuro per le creature della macchia ed anche una risorsa per gli abitanti dell’epoca. Da qualche anno, appunto sono cominciati tagli sistematici nei boschi e l’ambiente è mutato, difficile da accettare da chi, come me lo aveva conosciuto sempre in quel modo.  Non ho le competenze per giudicare se quanto avviene oggi sia giusto o sbagliato, se l’ambiente ne tragga giovamento oppure no e se la tecnica di lasciare quanto non accatastato a ricoprire la totalità della superficie boschiva sia corretto o meno. Le uniche considerazioni che faccio da profano sono quelle che riguardano la viabilità preesistente nei boschi, fedelmente riportata nelle sezioni del Catasto Leopoldino e adesso cancellata. Anche il riempimento dei fossi con le ramaglie che impediscono il regolare defluire delle acque trasformandosi in vere trappole per l’incauto che non trova più uno spazio di terreno per appoggiare il piede, non lo capisco. Per non parlare poi delle nuove strade aperte per smacchiare la legna senza tanto riguardo per la natura del terreno e dei danni arrecati alle strade vicinali, spesso prive di massicciata, percorse da mezzi pesanti che le riducono a tracce impercorribili perfino a piedi. Non conosco le leggi che regolano il taglio del bosco, né quelle che ne garantiscono la corretta gestione, ma l’impressione che si riporta in questi giorni nel percorrere quello che resta delle strade e i sentieri di poggio Civitate induce allo sconforto.  Mi sembra derisorio continuare a indicare il luogo degli scavi dai quali provengono i reperti del nostro museo quando sarebbe invece il caso di sconsigliare la visita al sito archeologico per l’impercorribilità delle strade e per i residui del taglio del bosco fino al loro limite al punto di non poter creare percorsi alternativi per by–passare le fangaie sempre più frequenti.  Non parlo certo per me, sono abituato a percorrere strade alternative o di fortuna, mi rammarica il fatto che per noncuranza si vada dilapidando quell’autentico patrimonio culturale che rappresenta il bene comune sul quale molti hanno puntato i loro investimenti per crearsi una stabile attività. Da qui anche un’altra considerazione che riguarda il percorso didattico, l’alveo dei torrenti e le strade vicinali. Nessuno può negare che venissero usate anche nel passato per smacchiare il legname ma questa operazione avveniva a dorso di mulo con un particolare riguardo all’ambiente al quale non si riusciva a recare danno anche volendo. I proprietari dei terreni rispondevano delle vie di accesso ai loro beni e si adoperavano, vigilando che non le venisse arrecato danno e se ciò accadeva ne veniva perseguito l’autore.  Problemi insolubili? C’è chi dice che i problemi non esistono, ma non voglio usare una frase fatta per non toccare la suscettibilità di qualcuno che pensa sia possibile lasciare ai mali che si curino da soli. C’è chi ci crede e per un certo verso anch’io ne sono convinto, ma chi può farlo  è solo la natura che una volta sparita l’umanità penserà da sola a rimettere a posto le cose. Di certo noi non possiamo aspettare che lo faccia lei, ma fare le cose per bene senza far sparire con quel cavolo di motoseghe, delle quale non si fa altro che udire il rumore attorno, le tracce del passato, non mi sembra che sia impossibile. O no?

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