MURLOCULTURA n. 1/2011

Carrellata sui mestieri in mutazione

IL MURATORE

di Luciano Scali

ventiduesima puntata


Associazione Culturale di Murlo
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Quando il terreno consistente si trovava a profondità tali che la terra di risulta dallo scavo doveva essere ripresa più volte per gettarla fuori dalla trincea, si faceva ricorso ad altri sistemi meno onerosi e più sicuri per fronteggiare il problema. Lo strato di terreno solido veniva raggiunto in altro modo affidandosi alla fondazione “ad archi” senza procedere a grossi sbancamenti da doversi effettuare a mano. L’impiego di mezzi meccanici capaci di grandi movimenti di terra è venuto in uso dalle nostre parti, specie nei piccoli cantieri, in epoca piuttosto recente con la carenza della mano d’opera qualificata, la variazione di normative sulla sicurezza e, soprattutto col graduale declassamento della muratura tradizionale a complemento di quella più moderna che privilegia il cemento armato come struttura portante. Altri criteri hanno giocato un ruolo decisivo nell’orientare la scelta verso le nuove tecniche costruttive: non ultima quella del fattore antisismico, del costo delle aree fabbricabili, dei tempi di realizzazione ecc. ecc., ma questi sono argomenti che nulla hanno a che vedere con i tradizionali metodi di lavoro ancora in voga sessant’anni fa. Ritornando quindi alle fondazioni del nostro fabbricato, si provvedeva a realizzarle scavando una serie di pozzi per giungere al terreno solido unendoli poi tra loro con archi in muratura di adeguate dimensioni sui quali poi far poggiare l’intero corpo di fabbrica (fig. 1).

Fondazione ad archi e pilastri - disegno di Luciano Scali
Fig. 1 - Fondazione ad archi e pilastri

I pozzi venivano scavati nei punti nodali della pianta del fabbricato e se i saggi preventivi rilevavano che in qualche punto il terreno solido si trovava ad una quota conveniente, nulla vietava che in quella zona si procedesse ancora con le fondazioni continue. Debbo dire, per esperienza diretta, che il ricorso al cemento armato nei piccoli cantieri, si limitava di solito ai cordoli che avevano tra l’altro la funzione, ritenuta a quel momento più importante, d’interrompere la tendenza dell’umidità a salire dal terreno per capillarità attraverso la muratura e giungere così ai piani più bassi del fabbricato. Stabilita l’ubicazione del pozzo se ne iniziava lo scavo curando che il manufatto avesse un diametro dagli ottanta ai centodieci centimetri sufficienti a consentire all’operaio di muoversi abbastanza agevolmente (fig. 2).

Pozzo per fondazione - disegno di Luciano Scali

Fig. 2 - Pozzo per fondazione

Sulla bocca del pozzo veniva posto un verricello (fig. 3) tramite il quale calare la "cesta" o la "paiola" per il movimento della terra e dei materiali, e a servire da rudimentale ascensore per far scendere e salire l'addetto allo scavo.

Verricello -  disegno di Luciano Scali

Fig. 3 - Verricello

Inutile sottolineare l'attenzione da parte del personale all'esterno affinché nessun oggetto potesse cadere nel pozzo ferendo l'operaio al lavoro e di mantenere un'attenta vigilanza durante le operazioni di recupero della terra. Di solito al verricello era applicato un doppio arpionismo (fig. 4) che consentiva all'operaio e al materiale di salire e discendere con relativa sicurezza.

Arpionismo - disegno di Luciano Scali

Fig. 4 - Arpionismo

Nello scavare il pozzo occorreva tenere d'occhio la consistenza del terreno, anche se il pericolo risultava minore rispetto alle trincee continue per l'effetto arco esercitato dalla sezione circolare dello scavo.
Ad ogni buon conto quando si aveva la certezza che si potessero superare i tre metri di profondità per raggiungere lo strato solido, si ricorreva ad una particolare tecnica preventiva per contenere l'eventuale smottamento della terra. La ridotta sezione del pozzo non consentiva l'impiego delle normali armature in legno, pertanto si provvedeva a realizzare una o più fasce di rivestimento in muratura che ne facevano le veci. La realizzazione delle fasce di sicurezza poteva avvenire in due modi: il primo, più semplice, era stranamente condizionato dallo stato fisico dell'operaio, ovvero se potesse o meno lavorare chino oppure no. Nel primo caso poteva realizzare l'anello inferiore della fascia appoggiando direttamente sul fondo dello scavo i mattoni posti per coltello e in piedi e, dopo averlo chiuso, sovrapporgli i successivi (fig. 5).

Armatura del pozzo - disegno di Luciano Scali

Armatura del pozzo - disegno di Luciano Scali

Fig. 5 e 6 - Armatura del pozzo

Se invece avesse avuto qualche problema alla schiena, avrebbe potuto ricorrere ad un altro sistema meno gravoso consistente nell’inserire nelle pareti in terra del pozzo, a intervalli regolari ed alla stessa quota, alcuni “mezzi mattoni con funzione di mensola” sui quali appoggiare l’anello inferiore della fascia. In quel caso il mattone veniva posto nel senso della sua lunghezza ed una volta chiuso il primo anello se ne realizzavano sopra altri due con mattoni in piedi (fig. 6). In questo secondo caso l’altezza della fascia ultimata si aggirava sugli ottanta centimetri, nel primo invece quindici centimetri in più. Con tale sistema si poneva in sicurezza lo scavo lasciando nel contempo libera l’intera sezione del pozzo.
Di solito, tra una fascia e l’altra veniva lasciata la distanza di un metro. Per una profondità di pozzo di circa tre metri, scavato in terreno compatto, una sola fascia di sicurezza poteva ritenersi sufficiente. Resta comunque chiaro che i comportamenti potevano cambiare a discrezione dell’assistente il quale si regolava a seconda della natura e consistenza del terreno. Raggiunto lo strato di terreno solido si procedeva al riempimento del pozzo con pietrame bene aggiustato e malta di calce bastarda ovvero con buona percentuale di cemento, fino a circa una cinquantina di centimetri dalla quota del terreno di cantiere. Le eventuali fasce in muratura di mattoni realizzate per assicurare l'incolumità dell'operaio, restavano così inglobate nel plinto di fondazione. Dopo riempiti i pozzi ed avere così scongiurato ogni rischio di crollo, venivano preparate le centine in terra sulle quali far appoggiare gli archi di fondazione impostati sulla muratura dei pozzi riempiti. Per tale operazione era sufficiente abbozzare una centina approssimativa direttamente sul terreno senza ricorrere all'ausilio della randa per definire il limite dell’intradosso o l'inclinazione dei mattoni come si usa fare negli archi in vista. Era sufficiente regolarsi ad occhio mantenendo le parti laterali appoggiate di quel tanto per procedere poi alla chiusura dell'arco con i mattoni della chiave conciati a cuneo contrastanti tra loro per garantirla. Realizzata la serie degli archi prevista, si procedeva ad impostarvi sopra i muri perimetrali e quelli di ritesto sui quali avrebbe poi preso forma l'intero fabbricato. Di solito appena superata la quota della chiave degli archi di fondazione riferita al loro estradosso, si realizzava il cordolo di cemento per le ragioni alle quali facevamo cenno poco sopra ed anche per effettuare una prima messa in piano di tutto il lavoro fino a quel momento eseguito. L'inizio della muratura fuori terra era preceduto dallo stacco delle cantonate per delimitarla. Esse venivano realizzate con mazzette di mattoni disposti su tre file a gruppi di tre e quattro teste alternate tra loro oppure, se il progetto o la vicinanza di una cava lo permetteva, con bozze di pietra concia poste in opera dal muratore più esperto e preciso al quale era appunto demandata tale essenziale incombenza (fig. 7).

Dettaglio stacco muratura - disegno di Luciano Scali

Fig. 7 - Dettaglio dello stacco della muratura

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