MURLOCULTURA n. 1/2013 | ||
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I segreti inediti del Ponte Nero di Luciano Scali |
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Il percorso didattico così come lo vediamo oggi non c’era ancora
quando arrivai a Murlo e per questo la curiosità mi spinse a
esplorare quello stradello che si apriva nella macchia dopo il ponte
di Peratti e s’inoltrava tra i diaspri delle propaggini di Poggio
Boschetto. Anche allora era ben definito ma s’interrompeva
d’improvviso sullo strapiombo dove il Crevole forma una doppia ansa
e dove fino a quarant’anni prima iniziava il ponte che lo
attraversava e di cui rimanevano alcune spallette ed un pilastro di
cemento. A quel punto mi fu chiara l’utilità del sentiero
incrociato poco prima che, dopo un breve tratto in discesa conduceva
al guado per proseguire poi sulla sponda opposta. Il pilastro ancora
in piedi al lato del torrente mi dette l’impressione di qualcosa
che non quadrasse, ovvero che il ponte originale non potesse essere
nato zoppo con due campate di luce diversa. Anche il pilastro di
cemento appariva anomalo, impensabile che fosse stato realizzato
oltre centoventi anni prima. Progressiva
1+275; n° cinque luci; luce libera di ciascuna trave mt. 7,70;
lunghezza totale mt. 38,50; Pur trattandosi di una descrizione scarna, essa la dice lunga sulla stabilità del ponte progettato per sopportare il transito di treni a scartamento normale con un massimo di 13 vagoni, viaggianti a pieno carico solo in senso discendente. Fig. 1. Le asole degli incastri dei saettoni del Ponte, indicate con “b” nella foto e nello schema a destra. Con “a” è indicata la posizione dell’asola del saettone meno inclinato, visibile nella foto di fig. 2. La
Società Ansaldo, che riprese la gestione della miniera dopo la prima
guerra mondiale, modificò l’assetto del primitivo villaggio
ammodernandone sensibilmente le strutture produttive. In primo luogo
provvide al ripristino del tracciato della ferrovia carbonifera,
ricostruendone gli antichi ponti in legno e adeguandoli alle mutate
condizioni derivate dall’adozione di treni a scartamento ridotto.
Come conseguenza si ebbe che le luci dei ponti divennero più ampie,
diminuirono di numero e i convogli che vi transitarono da quel
momento in poi ebbero dimensioni, carichi e scartamenti sempre più
limitati.
Fig. 2. A sinistra, immagine del pilone del Ponte Nero ancora in piedi prima della piena del torrente Crevole del dicembre 2008; con “a” è indicata l’asola del saettone e con “s” il punto di rottura tra il vecchio plinto di fondazione della gestione Ansaldo e la parte aggiunta nella gestione Tardini. A destra, ricostruzione del collasso del pilastro con i particolari delle strutture originali e aggiunte. La piena del 2008 che, provocando la caduta del restante pilastro, ne causò la frammentazione, mise in luce anche un altro particolare insospettato: la totale mancanza di armatura metallica al suo interno dovuta senza meno alla carenza di ferro in quel particolare periodo. L’Italia era entrata in guerra ed ogni metallo utile per gli armamenti era divenuto strategico e quindi raro. Anche l’attività mineraria ne aveva risentito al punto tale da dover fare a meno di armare i pilastri di cemento di un ponte sul quale sarebbero transitati convogli carichi di carbone. Un’assurdità e un azzardo inconcepibile ai nostri giorni ma una scelta obbligata per quei tempi duri che ancora con chiarezza rammento.
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