Nel
mio primo articolo pubblicato su Murlo Cultura di gennaio 2013, ho
ripercorso la storia di Lucignano d’Arbia. Non mi sono però
soffermata sul ritrovamento, all’interno della pieve di san
Giovanni Battista, di una tavola dipinta, una Madonna con bambino,
attribuita a Simone Martini. In tutta la provincia senese, chiese,
pievi, conventi, hanno restituito nel tempo opere d'arte di grande
valore, a volte celate dietro ridipinture di epoche successive,
oppure collocate in ambienti mai esplorati, altre volte casualmente
riscoperte sotto strati di intonaco, sotto forma di lacerti di
affreschi che nessuno aveva mai staccato e ricollocato altrove per
garantirne la sopravvivenza. Così, mentre la Madonna di
Simone Martini, ritrovata in maniera fortuita nel 1957, ha oggi degna
collocazione all’interno della Pinacoteca Nazionale di Siena, molte
altre opere di cui pure si conosce l’esistenza e che rimandano ad
artisti importanti per la storia artistica di Siena, continuano a
subire i disastrosi effetti del tempo che trascorre senza che alcuno
si prenda cura di loro. Proprio di fronte a Lucignano, sulla collina
di Quinciano, c’è una deliziosa opera architettonica in attesa di
interventi conservativi.
Chiunque
percorra la via che collega Monteroni a Vescovado non può fare a
meno di notare la cappella dalla caratteristica forma ottagonale che
si staglia sul poggio e che, soprattutto nelle giornate assolate, fa
sfoggio dei suoi materiali di costruzione, il rosso dei laterizi e il
bianco della pietra serena usata per le decorazioni in stile
neo-gotico. Questa incantevole costruzione, risalente agli anni
sessanta del XIX secolo, ci riporta all’autorevole nome di Luigi
Mussini, direttore dell’Istituto di Belle Arti di Siena dal 1851.
Intorno a questo illustre personaggio si formarono e crebbero
numerosi giovani artisti, quali Alessandro Franchi, Gaetano
Marinelli, Amos Cassioli, Leopoldo e Cesare Maccari. Autori questi,
che si occuparono, fra le altre cose, della realizzazione del
programma pittorico della Sala del Risorgimento all’interno del
Palazzo Pubblico di Siena. E che ritroviamo proprio a Quinciano.
Nel
1859 Ferdinando Pieri Nerli, ereditato il titolo di marchese e una
cospicua fortuna, decise di rinnovare la residenza di Quinciano,
arricchendola di una degna cappella funeraria. In un momento in cui
l’Istituto Senese di Belle Arti stava guadagnando grande fama e
prestigio anche in Europa, fu naturale scegliere questa istituzione
alla quale rivolgersi per commissionare l’opera. Presso l’Archivio
Storico del Monte dei Paschi di Siena è depositato il progetto del
“castello-villa” di Quinciano, forse attribuibile al giovane
architetto Giuseppe Partini (Fig.1).
Fig.
1. Progetto della facciata per la villa Pieri Nerli a Quinciano (c.a.
1861).
E’ sorprendente scoprire che,
qualora fosse stato completato, oggi avremmo un corpo di fabbrica a
due piani, con le tipiche bifore del gotico senese e un porticato
ogivale al piano terreno; il tutto coronato da una merlatura continua
e una torre centrale. Un perfetto richiamo alle facciate dei palazzi
senesi.
Il
Partini si occupò tanto dell’edificazione di nuovi edifici quanto
di restauro architettonico, ed è stato uno dei maggiori esponenti
del movimento denominato Purismo, assieme al Mussini e ai suoi
allievi. Principio fondamentale per i puristi era il recupero e
l’esaltazione dell’architettura medioevale, con i restauri in
stile che volevano epurare le opere dagli eccessi ornamentali di
varie epoche e restituirle alla loro integrità. In quest’ottica
vennero anche riproposte strutture architettoniche, tecniche
pittoriche, sculture e soggetti iconografici del passato, del ‘300
e ‘400 senese. Basti pensare alla facciata della Rocca Salimbeni e
dell’attiguo Palazzo Spannocchi, restaurati e reinventati per
ripetere i modelli e gli stilemi tipici dei secoli nei quali erano
stati costruiti.
Fra
il 1861 e il 1862 Giuseppe Partini realizzò la sua prima opera,
appunto la cappella funeraria Pieri Nerli, nel tipico stile gotico
toscano. La scelta della forma ottagonale, solitamente ripresa nella
costruzione dei battisteri, è stata qui scelta per interpretare
l’attesa del giorno del Giudizio Universale. Avvicinandoci alla
cappella ci accoglie quello che in linguaggio tecnico si definisce
pronao, un piccolo porticato che precede l’ingresso, in questo caso
una struttura in pietra grigia, con volte ogivali (arco a punta) e
terminante in guglie. Al centro in alto però manca qualcosa. Tempo
fa un attento osservatore mi aveva fatto notare che sulla cima di
questa struttura era posizionata una scultura, un angelo (fig. 2).
Fig.
2. La cappella Pieri Nerli con ancora visibile l’angelo.
Oggi questa statua non è più lì, ma entrando nella cappella ho
potuto verificare che, per fortuna o purtroppo, non è stata rubata.
Mi domando infatti se sia meglio avere una statua “rotta” e in
stato di completo abbandono, oppure pensarla nella casa di qualcuno
che la apprezza e sa darle un valore. Farneticazioni a parte, appena
entrati nella cappella, accantonato contro una parete, ecco l’angelo;
crollato o fatto cadere in quanto pericolante poco importa, visto che
ora giace sul pavimento, testa, corpo, arti ridotti in pezzi. Il
tempo di rendermi conto che si trattava di quella statua e la mia
attenzione veniva immediatamente catturata dallo spazio stesso della
cappella e delle sue decorazioni. Non mi aspettavo di trovare le
pareti interne decorate a strisce bianche e nere, come quelle della
cattedrale senese. Non solo, ma sotto un fitto strato di polvere e
piccoli detriti, ho scoperto che anche il pavimento è decorato con
la tecnica del commesso marmoreo, esattamente come nel duomo, a
formare qui un elegante intreccio geometrico; al centro è
raffigurato un angelo seduto che tiene con la mano destra la tromba
del Giudizio e con la sinistra un cartiglio sul quale si legge che
risorgeranno coloro che muoiono in Cristo.
Non
è assolutamente un ambiente cupo o buio: la luce filtra e gioca con
le superfici delle pareti, attraverso quattro occhi circolari posti
in alto su altrettanti lati delle mura. Una vera sorpresa, l’interno
di questa cappella, che supera di gran lunga quello che si può
immaginare vedendola da fuori.
La
volta è affrescata e il soggetto sono I Quattro Evangelisti.
Su una delle nuvole che fanno da "base" per i quattro
personaggi, si legge in lettere dorate il nome dell'autore, Cesare
Maccari, e la data 1863. Sempre nell'ottica della ripresa del
passato, questo artista, in collaborazione con il Franchi, va
addirittura a recuperare la tecnica del "buon fresco"
particolarmente in uso nel XV secolo. Per queste sue figure il
Maccari si rifà, tanto nelle pose e nei tipi quanto nella scelta
delle tinte, al Beato Angelico (1395 – 1455).
Tornando
poi in basso con lo sguardo, ecco un monumento funebre che ricopre
un’intera parete: si tratta di un’opera che risulta commissionata
a Tito Sarrocchi (1824 – 1900), altro nome autorevole della Siena
del tempo, realizzatore della copia di Fonte Gaia di Jacopo della
Quercia, che ancora oggi tutti possono ammirare in piazza del Campo.
Realizzata su disegno del Partini, questa opera risalta nella
cappella per il biancore del marmo di Carrara: al centro è
rappresentata La Desolazione confortata dalla Fede. Una giovane donna
inginocchiata, il cui corpo è vestito di pesanti stoffe, regge con
la mano destra una corona di fiori. Il suo profilo mostra lo sguardo
rivolto verso un’altra figura femminile ben diversa, una donna
alata, solidamente in piedi e dai lineamenti vigorosi, che le porge
una mano invitandola a sollevarsi. In alto, il ritratto a mezzo busto
del defunto, il padre di Ferdinando Pieri Nerli, Girolamo; sulle
cuspidi tre statue di angeli a tutto tondo.
E
per finire, all’interno della nicchia absidale, trovano spazio tre
grandi lunette cuspidate e una volta a crociera dove ancora hanno
lasciato testimonianze del loro lavoro il Franchi e il Maccari. I
cartoni e i bozzetti per queste decorazioni vennero proposti
all’Esposizione Provinciale Senese, allestita nelle sale
dell’Istituto d’Arte di Siena, nel 1862. E in particolare il
quadretto relativo alla figura della Speranza risulta oggi
particolarmente prezioso in quanto il relativo affresco di Quinciano
è scomparso. Sono invece ancora lì (chissà per quanto tempo?) le
altre due allegorie della Fede e della Carità. Come
pure gli Evangelisti della volta centrale della cappella, le figure
delle Virtù sono rappresentate sedute su nuvole. Qui però
non si stagliano su uno sfondo blu intenso bensì su un fondo oro,
che allude ad un antico mosaico. Purtroppo sono molto danneggiate e
sembrano veramente sul punto di scomparire definitivamente, direi con
il possibile crollo dell’intonaco già molto mal ridotto.
Non
sfuggiva, sul finire dell’Ottocento, l’importanza dei lavori
d’arte promossi da Ferdinando Neri Pierli per Quinciano: nel 1888
Adolfo Venturini riconosceva il merito di avere in quella cappella
compiuto un monumento dell’arte senese dei nostri tempi, poiché vi
ha chiamato tutti gli artisti a farci delle opere loro: e nobilmente
così giovando alle arti, porge raro esempio di bene spesa ricchezza,
e di generoso cuore.
Conoscete
nessuno, di buon cuore, che oggi spenderebbe parte delle proprie
ricchezze per restaurare la cappella di Quinciano? Magari…
Per
approfondimenti sulla cappella di Quinciano vedi:
Luigi
Mussini e la sua scuola a Quinciano di G. Mazzoni in Monteroni.
Arte, storia, territorio, a cura
di R. Guerrini, Siena 1990, Edizioni
Alsaba, pp. 128-139.
Immagini
tratte dal libro.