La
buona stagione porta con se molti doni tra i quali il desiderio di camminare.
Lo si fa volentieri ricavandone l'illusione di potersi inserire nella
natura in maniera speciale quasi che tale privilegio ci venga riconosciuto
per chissà quali meriti. Di tanto in tanto viene voglia di ripetere
un percorso particolare ove sensazioni sempre nuove si manifestano specie
nei momenti in cui le stagioni cambiano mutando le caratteristiche dei
luoghi da attraversare. Il pregio maggiore di questi percorsi consiste
nell'effettuarli "in solitario". Non accade quasi mai d'incontrare
qualcuno sulla propria via e quando succede acquista un significato
di eccezionalità poiché travalica dalla norma ormai consolidata
che li vorrebbe sempre deserti. Non tutti conoscono la via per Resi
anche per il semplice fatto d'ignorarne il nome pur trovandosi a percorrerla.
Partiva da Murlo ma oggi inizia nei pressi del ponte della Miniera e
si sviluppa sul lato sinistro del Crevole in un tunnel di vegetazione
rigogliosa sui cui lati fioriscono i ciclamini e le orchidee. Solo l'occhio
del camminatore abituale riesce a distinguere la traccia di vecchi sentieri
verso insediamenti ormai scomparsi. Il pensiero conseguente induce emozioni
struggenti capaci di popolarli ancora di ombre inquiete spinte da una
forza arcana a ritornare sui luoghi ove vissero per trovarvi quella
pace che nemmeno l'aldilà è riuscito a dare loro. Sembra
di sentirsela addosso questa folla aliena che accompagnerà il
viandante per tutto il suo cammino fino alle strade battute dalle quali
i ricordi sono stati scacciati via dallo sviluppo invadente.
La strada, a suo tempo assai battuta, si trova oggi in condizioni precarie,
vuoi per i numerosi smottamenti verso il Crevole, vuoi per il passaggio
di qualche vettura o trattore che accentua il fenomeno specie nei pressi
del "fosso della Spia" a pochi passi dall'inizio della "via
dei Termini."
Due nomi e due argomenti sui quali riflettere. Quello del fosso induce
al mistero, come il mestiere della spia del resto. Non è facile
darsi una risposta all'interrogativo conseguente e se il desiderio spinge
a saperne di più sarà opportuno ricorrere alla fantasia.
Ne uscirà una storia poco veritiera, più vicina a quella
desiderata che non alla realtà, ma altrettanto importante poiché
capace di soddisfare la momentanea curiosità. Dell'altro nome:
quello della via detta dei Termini, si sa invece tutto. Si chiamava
così perché lungo il suo corso erano ubicati numerosi
punti fissi ai quali fare riferimento per determinare le proprietà
adiacenti che, nel 1821, appartenevano alla famiglia Massari ed ai marchesi
Del Taja.
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La zona era tutta a lecceta senza i "campi sodi" che s'incontrano
salendo verso la via delle Fornaci.
Ma
ritorniamo alla strada che, appena lasciata quella di Resi, s'impenna
con pendenza impossibile per qualsiasi mezzo, attraversando una stratificazione
di diaspri manganesiferi che poi lasciano posto ad un esteso banco di
calcare balzano. L'aspetto del luogo diviene magico e se qualcuno ha la
ventura di percorrerlo durante una notte di plenilunio, ha l'impressione
di muoversi sopra un terreno fosforescente ove la luce sembra venire da
sotto terra anziché riflettere quella lunare. In pieno sole si
evidenziano i dettagli del percorso. La cava "dei Sassi Bianchi"
che un tempo alimentava la piccola fornace di calce adesso quasi del tutto
scomparsa, assomiglia più ad un moderno bassorilievo che ad una
parete di roccia. Un tempo qualche anziano cacciatore, vi andava a "tirare
ai colombacci" sapendo della loro frequentazione periodica della
zona. Alla destra della strada si apre una forra profonda dove scorre
il "Fosso della Buca Falsa", di difficile accesso anche partendo
dal basso. Questi divide il bosco in due colline consentendo allo sguardo
di spaziare sopra le piante e di godere del paesaggio apertosi d'improvviso
in orizzonti più ampi. Quando la lecceta ha termine si presenta
agli occhi un'ampia zona brulla ove campeggia una grande querce oltre
la quale si aprono sul terreno calanchi in miniatura derivati dal ruscellamento
delle acque trattenute a malapena dagli arbusti di ginestra che con la
loro presenza limitano i danni delle piogge torrenziali. Lo spettacolo
che si affronta al momento di lasciare il bosco è maestoso e affascinante.
Attraversando la barriera delle ginestre fiorite ci si trova letteralmente
avvolti dal loro profumo e dai voli di farfalle sbucate da ogni dove per
curiosare attorno all'intruso. Sono solo pochi attimi intensi, durante
i quali la natura si rivela per poi richiudersi rapidamente in se stessa
lasciando nella mente il desiderio di riprovarli ancora. Difficile è
pensare a qualcosa di diverso da quello che la natura offre e facendosi
strada nell'erba alta con gl'insetti attorno attratti dal sudore, la mente
rifiuta l'idea di doversene tornare alle quotidiane abitudini. Una strada
antica, breve e dura, dagli scorci incredibili ma che vale la pena di
fare almeno una volta per capire. Capire cosa? Quale sia la vera identità
del nostro territorio, così piccolo ma incredibilmente sconosciuto.
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