MURLOCULTURA
n. 3/2006 |
||
---|---|---|
|
Carrellata sui mestieri in mutazione
Il Muratore di Luciano Scali 4a puntata
|
|
Chissà
quante volte, nello spostarsi per le vie di Siena, sarà capitato
a ciascuno di noi di entrare in quegli “androni” un
po’ bui di palazzi patrizi, per trovarsi poi in ampi cortili
interni con rampe di scale che si sorreggono le une con le altre quasi
per magia. Nella maggior parte dei casi ci trovavamo di fronte a “volte rampanti” derivate dall’estensione dell’omonimo arco, ovvero a strutture oblique
ove lo stacco di ciascun braccio dell’arco si trova su di un
piano d’imposta diverso. Venivano usate di frequente in passato
quando il concetto di cemento armato era sconosciuto e si dovevano
collegare due o più ambienti posti a differenti quote, specie in
palazzi signorili ove occorreva coniugare alla praticità, il
canone estetico del momento. L’ubicazione interna del cortile
garantiva la stabilità delle strutture a supporto della scala
oltre a conferire un adeguato aspetto estetico agli ingressi dei vari
livelli. Nel caso in cui dovessero essere collegati due piani soltanto,
si poteva partire dal presupposto di usare una sola rampa, ma di solito
le differenze di quota erano rilevanti (superiori ai quattro metri)
tali da costringere ad usare un elevato numero di gradini (in questo
caso più di venti) che le dimensioni del cortile difficilmente
avrebbero permesso (oltre otto metri di sviluppo senza contare:
partenza e arrivo). Venivano allora usate più rampe adattandole
alle caratteristiche delle strutture, di solito più antiche.
Fig. 1 - La scala della Torre del Mangia
Un caso caratteristico è rappresentato dalla Torre del Mangia (Fig. 1) ove la scala per raggiungere la rocca venne eseguita inglobando le travi degli antichi ballatoi. Nel caso d’impiego di più rampe, la soluzione risultava geniale poiché ogni rampa, dopo la prima, si appoggiava alla precedente che diveniva così l’imposta inferiore della volta successiva (Fig. 2). Fig. 2 - Una scala a volte rampanti
Realizzata la volta vi si costruivano sopra i gradini della scala che, grazie al loro peso, ne contenevano la tendenza a “sfiancare verso l’alto”. Per volte piuttosto appoggiate, poteva essere necessario porre in opera una catena sul lato esterno. La costruzione di un arco, o volta rampante, prende avvio dall’esame della luce da coprire e del dislivello da superare. |
Fig. 3 - Il calcolo per la costruzione di una
volta rampante La distanza fra i luoghi da collegare, viene indicata con due tratti verticali sui quali si riportano i punti A’ e B’, raffiguranti il dislivello da superare, quindi si uniscono con una retta che rappresenta la tangente alla chiave del futuro arco. Su questa, a piacere (attorno ad un terzo circa da B’) si fissa il punto C. Da questi si traccia la normale M alla retta A’ B’. Dai punti A’ e B’ a partire da C, si tracciano due archi fino ad incontrare le verticali nei punti A e B individuando così la partenza e l’arrivo dell’arco rampante. Dai predetti punti si fanno passare i due piani orizzontali d’imposta fino ad intercettare la normale M nei punti O e O’, ovvero i centri dei due archi che, unendosi in C daranno luogo a quello voluto (Fig.3). L’inclinazione dei mattoni, qualora l’arco dovesse restare in vista, sarà data, come di consueto dalle due “rande” facenti centro nei punti O e O’, gli stessi usati per costruire l’arco. Nelle scale che si avvalevano della volticina rampante, venivano usati due tipi di corrimano: in ferro oppure in muratura. Fig. 4 - Corrimano in ferro
Fig. 5 - Corrimano in muratura
Di solito veniva usato quello in ferro allorché i gradini in muratura erano ricoperti da lastre di travertino o pietra serena aggettanti di qualche centimetro nel vuoto e quindi in vista e rigorosamente “a piombo” coi sottostanti e con quelli superiori. In quel caso, l’asta di quadrello forgiato a supporto della ringhiera, veniva fissata col piombo in un incavo ricavato nella “pedata” del gradino oppure in una staffa esterna murata direttamente sull’arco (Fig.4). Il corrimano in muratura s’impiegava laddove la scala rimaneva a mattoni e quindi non era necessario curare gli allineamenti con le rampe inferiori o superiori. In questo caso l’insieme della scala appariva più stretto e massiccio rispetto a quello descritto prima ma anche più economico in quanto non suscettibile di tutte le attenzioni occorrenti al precedente. La posa in opera dei gradini in pietra richiedeva attenzione e tempo, ed altrettanto dicasi per la ringhiera, specie se doveva fissarsi alle lastre della “pedata” (Fig.5). (Continua)
|
|
Torna su |