MURLOCULTURA
n. 3/2006 |
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S.S. Pietro e Paolo a Montepescini:
"Una fine annunciata" di Luciano Scali |
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La
chiesa dei Santi Pietro e Paolo a Montepescini è costruita su
pianta rettangolare ove l’ingresso principale si trova
perfettamente in asse con l’altare maggiore ai lati del quale, si
aprono due porte per accedere alla sacristia.
Il pavimento della chiesa, realizzato in mattoni sottili posati a spina, è posto ad una quota più bassa di due gradini rispetto all’altare maggiore che, di conseguenza, assume una posizione dominante. Due altari si trovano affacciati sulle pareti opposte della chiesa, più o meno a circa della sua metà. Sulla parete di sinistra, nei pressi dell’ingresso principale, c’è un piccolo altare sotto il cui piano in legno, è ubicato il fonte battesimale. Gli altari barocchi decorati con stucchi di pregevole fattura, appaiono ben conservati anche se ridipinti di recente. Su quello di sinistra spicca la data A.D. MDCLXXXV. Sull’altare maggiore esiste una tela che, ammesso sia sempre la stessa, il Brogi attribuiva a Lorenzo Feliciati, pittore di scuola senese del XVIII secolo, mentre sull’altare di destra si trova una tela di grandi dimensioni ritenuta sempre dal Brogi una copia dell’originale conservato a Siena nella chiesa di S. Agostino e attribuita al Sodoma. Sull’altare di sinistra c’è l’alloggiamento vuoto che ospitava un quadro del XVIII secolo, opera del cavalier Nasini, mentre sopra il fonte battesimale esiste un altro spazio vuoto probabilmente occupato a suo tempo da un S. Giovanni Battista. La copertura del tetto è “a capanna”, sorretta da tre capriate che la suddividono in quattro settori pressoché uguali. Tre file di travi disposte in senso longitudinale (arcarecci) e poste: una sul colmo del tetto e le altre ai lati, dividono ogni falda in due “passinate” ordite con travicelli poggianti sugli arcarecci, sulla trave di colmo e sulle pareti esterne. Tra i correnti uno strato di “mezzane” serve da supporto per la copertura vera e propria, fatta di tegole piane e docci. Il crollo di una porzione di tetto, pari ad un ottavo del totale, è avvenuta per il collasso dell’arcareccio che divideva la falda orientale posta fra la prima capriata ed il muro di facciata. Le cause maggiori dell’avvenuto crollo debbono ricercarsi nelle infiltrazioni d’acqua piovana dovute alla mancata tenuta della copertura esterna per rottura o scorrimento di tegole e docci. L’acqua, per lungo tempo ha avuto modo di scorrere sui travicelli concentrandosi nella parte mediana della trave dando luogo a muffe e funghi che ne hanno minata la resistenza fino a portarla alla rottura. In altre parti della copertura il fenomeno d’infiltrazione è in atto, come indicano le tracce evidenti sui muri laterali e sul pavimento in più punti. Da tenere conto che il fenomeno si fa manifesto specie nei punti in cui le strutture in legname si appoggiano sui muri. A tutto questo si aggiunge lo stato precario delle tre capriate, purtroppo concepite e realizzate in modo errato. Esse rappresentano un serio rischio di crollo a breve termine specie se non verrà provveduto ad un rapido alleggerimento del tetto. Oltre la manutenzione venuta meno per anni, esistono errori strutturali ai quali imputare il totale collasso della copertura e le gravi lesioni della facciata. In un tetto a capanna le travi inclinate (puntoni) a sostegno del tetto, eserciterebbero una spinta sui muri ove appoggiano, tendendo a farli ruotare se non entrasse in azione la trave orizzontale con funzione di catena. Se la capriata è costruita a regola d’arte, il carico trasmesso ai muri di sostegno potrà considerarsi pressoché verticale, salvo un leggero scostamento verso l’esterno dovuto all’elasticità del legname ma agevolmente assorbito dallo spessore e peso del muro. La capriata semplice consiste in un telaio formato da due puntoni inclinati, una trave orizzontale chiamata catena ed un elemento verticale, detto monaco, sul quale s’incastrano i puntoni. Le capriate semplici vengono impiegate per coprire luci da quattro a sette metri; per luci superiori, comprese da otto a quindici metri, vengono usate capriate con saettoni. Affinché il manufatto operi in perfetta sicurezza occorre che i suoi elementi rispettino con rigore le funzioni per le quali sono stati progettati: i puntoni saranno sollecitati a pressione, flessione e taglio; il monaco a trazione e la catena prevalentemente a trazione, ed a flessione qualora vi fosse fissato un soffitto oppure se il peso proprio fosse notevole. I puntoni, caricati del peso del tetto, sarebbero portati a scivolare sulla catena se non vi fossero incastrati e, tenderebbero a spingere verso il basso il monaco, se attraverso questi non contrastassero tra loro. L’elasticità del legname gioca un ruolo importante nell’equilibrio della struttura poiché consente il graduale spostamento del monaco col variare delle sollecitazioni sul tetto. Da evitare in maniera assoluta che questo elemento arrivi ad appoggiarsi sopra la catena sulla quale verrebbe a gravare il carico riunito dei due puntoni. Il monaco deve potersi muovere in libertà mantenendo elastica ed in equilibrio la capriata. Opportune reggette e staffe in ferro vengono poste in opera per scongiurare il pericolo di possibili torsioni in senso laterale. |
Sulle capriate della chiesa di
Montepescini, tali prescrizioni sono state ignorate al punto che, nella
capriata nei pressi dell’altare maggiore è già avvenuta la rottura
della catena a causa del monaco che vi si è appoggiato sopra. La parete
orientale della chiesa, sollecitata dalla spinta anomala dei puntoni
tendenti a raddrizzarsi, ha già iniziato ad inclinarsi trascinando
parte della facciata, sulla quale si è aperta una preoccupante fessura.
Questa, muovendosi lungo un percorso di minor resistenza rappresentato
dalla finestra, ha già lesionato i due archi sovrapposti della lunetta
e fatto traslare verso il basso, tre conci della piattabanda
dell’ingresso.
La situazione di emergenza nella quale la chiesa si
trova, suggerirebbe l’immediato alleggerimento del tetto per evitare il
crollo imminente che aggraverebbe ancora di più un possibile recupero
della chiesa.
Non so se queste constatazioni verranno considerate
come la solita voce nel deserto, oppure quella della mitica Cassandra o
dell’uccello del malaugurio che ogni giorno predice qualche disgrazia.
Sono ormai troppe le volte che a fronte di denunce simili è rimasta
solo la percezione di aver perso tempo. Sarebbe stata gradita una
risposta responsabile, che magari confutasse quanto andavamo dicendo
consigliandoci alla fine di “farci i fatti nostri”, perché si trattava
solo di utopie, di cose irrealizzabili per mancanza di risorse. La
carenza di soldi è una delle caratteristiche del nostro tempo, ma è pur
vero che quando ci sono si preferisce destinarli a cose più “visibili”
che garantiscono un consenso più immediato. Il perdurare dei silenzi
sottolinea l’inutilità di certi impegni da parte di cittadini sensibili
e coscienti, anche se investono il patrimonio di tutta la comunità e
non solo quella di Murlo. Purtroppo i vari proprietari, pubblici o
privati che siano, sono affetti da sordità cronica, con gli occhi
costantemente fissi al cielo in attesa che cada di nuovo la manna e con
le braccia: una corta per dare, ed una lunga per prendere. E’ così da
sempre anche se gli uomini passano e le situazioni cambiano.
L’Associazione Culturale ne ha preso atto da tempo e nonostante tutto
continuerà a fare quello che ha sempre fatto cercando di essere
coerente con le regole che si è data nel proprio Statuto costitutivo.
Ancora
un’osservazione, a chiusura dell’articolo, sul singolare destino che
accomuna le sorti delle chiese di S. Maria a Montespecchio e dei S.S.
Pietro e Paolo a Montepescini. Ambedue furono legate in passato da
eventi storici e culturali; oggi lo sono ancora, seppure con un
doveroso distinguo, per quanto riguarda il loro declino. “A
Montespecchio il collasso della copertura avvenne su sollecitazione
della volta a seguito del graduale sprofondamento della parete
nord-ovest per imprevedibili cause naturali; invece a Montepescini
avverrà a causa di incuria umana e da sollecitazioni dovute a strutture
di sostegno costruite male.
I due disegni mostrano l’applicazione delle “ferramenta” necessarie ad evitare lesioni e allentamenti nella capriata ed a contenere le sollecitazioni che, coll’allentarsi delle giunture, tenderebbero a torcere lateralmente la struttura. Nelle foto tali accessori non sono presenti. Corretta è invece la staffa agganciata al monaco che, se questi fosse stato della lunghezza giusta, lo avrebbe “mantenuto in guida” durante gli eventuali spostamenti per assecondare le variabili condizioni di carico sulla copertura (vento, neve,ecc.). Le frecce sulle foto indicano i punti ove i difetti, e gli errati concetti di costruzione hanno provocato le lesioni alle quali si fa riferimento nell’articolo anche se, in alcuni casi come quello a fianco, è stato tentato di porvi riparo (staffa sulla catena). |
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