MURLOCULTURA n. 3/2008

Qualche considerazione in più
sul concetto di sviluppo

di Luciano Scali
Associazione Culturale di Murlo
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Sono giunto a Murlo più di venti anni fa e nel frattempo, come ogni Amministrazione ha auspicato, il numero dei residenti è cresciuto in maniera soddisfacente ma non abbastanza per assicurare alla comunità quelle risorse delle quali ha bisogno visto il rarefarsi dei trasferimenti da parte del governo centrale. Non voglio entrare in un campo del quale poco m’intendo, ma rimanere nella quotidianità dei bisogni di una comunità in crescita. Dal lontano 1984 si è costruito molto ex novo, sono state recuperate strutture abbandonate destinandole ad attività ricettive, si è avviato il potenziamento della scuola cercando di adeguarlo alla crescita della popolazione in età scolare e non si è tralasciata la realizzazione di un centro sportivo piuttosto importante. Nel frattempo sono fiorite piccole iniziative private a carattere famigliare, finalizzate alla ricettività, che hanno recuperato spazi in esubero lasciati da tempo inutilizzati. Una politica di richiamo fortemente supportata dai ritrovamenti etruschi di Poggio Civitate e pubblicizzata dai media di tutto il mondo. Ebbene: a fronte di questi dati indubbiamente positivi si sta assistendo ad un progressivo ed irreversibile depauperamento di servizi essenziali che stanno alla base della qualità di vita di una comunità. Non mi riferisco a quello dei trasporti, suscettibile senz’altro di miglioramento ma che garantisce il collegamento con i centri vicini di maggiore importanza, bensì ad altri servizi che sono divenuti essenziali ma dei quali si lamenta la progressiva scomparsa. A mia memoria, venti anni fa nell’abitato di Vescovado esistevano due officine per riparazioni vetture e di piccole macchine agricole, un distributore di carburante, un paio di ristoranti, altrettanti falegnami, un costruttore d’infissi, un consorzio agrario, un distributore di benzina, un barbiere per uomini, un calzolaio, un elettricista ed altri artigiani dei quali è inutile magnificare l’utilità. C’erano sarte in ogni frazione vicina e due o tre fabbri fra Vescovado e Casciano. Con l’aumentata affluenza di visitatori e l’incremento della popolazione residente queste attività artigianali si sono assottigliate, vuoi per la morte di coloro che le praticavano e che nessuno si è sognato di riprendere, vuoi per un certo disinteresse verso il problema che rischia di fare di Vescovado e dintorni una sorta di villaggio fantasma. Non è facile per chi arriva dalle nostre parti sentirsi perfettamente a proprio agio anzi, dopo aver verificato lo stato delle cose non avrà altra scelta che recarsi altrove per mangiare o fare spese. Non tutte le attività ricettive fanno cucina e quelle che la fanno non sempre possono soddisfare clienti arrivati all’improvviso. Le ultime notizie non sono certo confortanti e ben triste è stato assistere alla chiusura di Mafalda, il simpatico locale divenuto col tempo un punto d’incontro di giovani e non solo per mangiare un panino o qualche specialità rustica della casa, ma anche per parlare, sentire musica e fare mostre di disegni o di fotografia. Una grossa perdita davvero assieme a quella che si prospetta con la chiusura dell’unica officina rimasta, quella di Ivano Corridori che da più di vent’anni forniva la sua assistenza per qualsiasi servizio relativo ad ogni tipo di macchina, senza limiti di orario. I giovani vanno a lavoro o a scuola e rientrano a casa solo per dormire e molti di questi, appena possono se ne vanno altrove a cercare la loro strada. Il sistema di vita si evolve rapidamente secondo criteri che sfuggono ad ogni analisi e quel “mondo piccino” ancora visibile vent’anni fa ha dilatato i suoi confini lasciandosi alle spalle i più deboli e disagiati, quelli che un tempo rappresentavano la spina dorsale di una società arcaica tenuta assieme dalla solidarietà e dal lavoro rappresentato dal binomio “casa e bottega”. Oggi la gente vive più a lungo e durante la giornata, guardandosi attorno ci si accorge di trovarsi di fronte ad una popolazione ove i vecchi rappresentano la percentuale prevalente ed anche un problema. Chi di loro non vive in famiglia deve arrangiarsi in qualche modo cercando di convivere con gli acciacchi e con magre risorse. Per questi individui vedere sparire una dopo l’altra le attività alle quali potersi rivolgere per la soluzione di piccoli problemi quotidiani ed essere costretti a dover cercare, con scarso successo, soluzioni al di fuori del comune, equivale a quanto deve provare il naufrago nello scoprire che una corrente negativa lo allontana sempre più da quel bagnasciuga dove, bene o male, sarebbe riuscito a galleggiare. Questa breve considerazione si condensa poi in interrogativi dalla dubbia risposta: Può una comunità come la nostra credere di prosperare e svilupparsi senza il sostegno di quelle piccole attività ormai indispensabili per la corretta conduzione del “menage” famigliare e dell’efficienza dei mezzi di trasporto dei quali non è più possibile fare a meno? Esiste un serio interessamento da parte dell’Amministrazione di porre un freno a questo inarrestabile esodo adottando provvedimenti “ad hoc” finalizzati a indurre i partenti ad un possibile ripensamento? Risposte difficili ma d’incalzante attualità, specie per una comunità come la nostra di forte richiamo turistico, ma con una popolazione che invecchia sempre di più.


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