|
Quante
siano le fonti che si trovano nel territorio di Murlo non è dato di
sapere con esattezza poiché con l’esodo dalle campagne avvenuto
nel dopoguerra, molte di esse sono state dimenticate. La natura ha
ben presto preso il sopravvento su zone coltivate inglobando colture
un tempo rigogliose ricoprendole di macchia e avviluppando piante da
frutto in un intrico di edera, vitalbe e strappaborse. Non è raro
imbattersi in piante domestiche nel bosco più fitto richiamando il
pensiero alla presenza dell’acqua sotto forma di piccole vene ormai
interratesi per mancata manutenzione. Anche i ruderi sparsi di poderi
abbandonati fanno pensare al prezioso liquido senza il quale era
impossibile creare un insediamento permanente di uomini e animali.
Ebbene molte di queste fonti, in strutture piuttosto stabili, si
trovano oggi in luoghi abbastanza ritirati e selvaggi e, strano a
dirsi, svolgendo un ruolo essenziale ancora oggi seppure di natura
diversa da quello per il quale erano nate. Una tra queste è la fonte
detta dei Canapai ubicata nei pressi del torrente Crevolone e del
tracciato di un’antica strada ormai snaturata dall’abbandono e da
una cessa tagliafuoco costruitavi sopra. Il catasto Leopoldino la
identifica come la strada di Canneta proveniente da quella delle
Macchie che, dopo aver aggirato il poggio Serpentaio e la frazione
dell’Olivello scendeva il poggio Degano per dirigersi verso monte
Moro e la strada di San Giusto. Il suo toponimo la dice lunga
sull’uso delle sue acque e delle colture a suo tempo praticate
nell’ampio piano alluvionale del Crevolone. La coltura della canapa
forniva fino ad epoca recente preziose fibre per realizzare tessuti
di grande robustezza e resistenza e la sua coltivazione rappresentava
un apporto indispensabile all’economia delle famiglie dedite
all’agricoltura ed alle attività boschive. Il piano naturale si
adattava molto bene all’uso anche perché, oltre all’apporto
delle acque sorgive della fonte poteva contare su quelle del torrente
e del vicino fosso dell’Ebreo.
Il
poggio Degano, alla cui base si trova la fonte, è costituito da un
possente deposito di diaspro dal quale filtra un acqua perenne fresca
e piuttosto abbondante. In tempi lontani sotto la sorgente venne
ricavata una vasca di raccolta a sua volta circoscritta da una
robusta muratura protettiva, quindi sulla parete frontale fu aperta
una finestrella di aerazione e d’ispezione e nella parte
sottostante praticato un foro sul quale fu inserito, dapprima un
“doccio di terracotta” quindi un tubo più piccolo di “terra
invetriata” per la fuoriuscita dell’acqua. In origine l’apertura
doveva essere protetta da uno sportello di chiusura ma ora è
possibile gettare uno sguardo all’interno e notare come la vasca di
raccolta sia piena di sassi e ghiaia che assicurano un’ottima
filtrazione dell’acqua sorgiva. Oggi quell’acqua, che si
raccoglieva in una pila più ampia da usarsi per innaffiare, esce
libera e va a raccogliersi in una grande pozza tra gli alberi andando
a formare un insoglio naturale per la delizia dei cinghiali
che se ne servono ampiamente durante i mesi di calura. La loro
presenza è testimoniata dalle tracce lasciate sulle cortecce ruvide
degli alberi ove gradiscono grattarsi, e dalle buche scavate col
grifo alla ricerca di radici tenere. Una
sorgente antichissima menzionata dal Mengozzi nella pubblicazione Il
Feudo del Vescovado di Siena per definire i confini della Corte
di Resi: “… et dinde torna a la fonte al Campaio per lo
Valloncello in fino alla Creule di Montespecchio…”
A chi attraversa il territorio con gli occhi aperti e col desiderio
di apprendere, la fonte dei Canapai è una delle tante sorprese sulle
quali imbattersi, e quando ciò accade non bisogna minimizzare
l'incontro lasciandosi fuorviare dalla prima impressione dettata dal
modesto aspetto della cosa, ma adoperarsi piuttosto per scoprire
quanto nasconde. Difficilmente si resterà delusi.
|