MURLOCULTURA n. 3/2011 | ||
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L'anno
scolastico che si chiude agisce sulla mente delle persone come una
password capace di aprire qualcuna delle porte allineate nel lungo
corridoio della memoria. Riaffiorano così i ricordi e le esperienze
nascosti tra le pieghe del tempo, riproponendo personaggi speciali
che hanno lasciato il segno nella storia della scuola attraverso il
sapere e la loro non comune umanità. Bartolomeo
Verdicchio spicca tra questi; sempre presente malgrado manchi ormai
da tempo da quella scuola dove prestò la sua opera. Qualche docente
rimasto lo ricorda ancora con simpatia e così pure i ragazzi già
cresciuti che appresero da lui i primi rudimenti dell’arte di
modellare. Per me è stato un onore conoscerlo ed anche un’autentica
fortuna poiché mi ha permesso di accedere a informazioni su
avvenimenti particolari direttamente da chi li aveva vissuti in prima
persona.La sua frequentazione dell’ufficio tecnico della miniera di Murlo avvenuta in giovane età e durante il periodo della seconda guerra mondiale, gli consentì di acquisire esperienze uniche e di assistere a episodi straordinari e anche tragici divenendone così l’autentica memoria vivente. L’innata curiosità che lo ha sempre spinto verso la conoscenza e il desiderio di condividere il proprio sapere con gli altri senza attendersi nulla in cambio, è stata la caratteristica prevalente della sua vita. Personalmente ho trovato in lui una fonte inesauribile di informazioni in più campi, da quello storico sulle attività minerarie a quello più vasto dell’arte, della ceramica e delle tradizioni nei territori della val d’Arbia e dell’Ombrone. Varie pubblicazioni di carattere storico locale e di cultura del linguaggio portano la sua firma e molti autori vi hanno attinto per completare le loro ricerche. Questo “sapere” al quale mi riferisco, tratta di dati tecnici d’indubbio valore sull’arte “del fare piuttosto che del dire” e “dell’essere più che dell’apparire” e soprattutto nell'inesauribile ricerca di risposte a quegli interrogativi che di continuo gli si affacciavano alla mente. Una vita piuttosto solitaria e riservata, vissuta senza sgomitare per mettersi in mostra ma da sempre in speranzosa attesa di un cenno spontaneo di apprezzamento per i suoi molteplici impegni verso la comunità. Strano come il suo lavoro disinteressato, finalizzato ad ampliare sui più giovani gli illimitati orizzonti del sapere sia stato da sempre minimizzato, quasi una cosa dovuta senza sentire il bisogno di ringraziare. Il suo animo sensibile ne ha risentito in maniera profonda e tale sensazione lo ha accompagnato da sempre senza capacitarsi di come venisse disattesa la fiducia riposta verso persone ritenute amiche che tornavano ad ignorarlo non appena raggiunto lo scopo per il quale lo avevano contattato. Però "il tempo è galantuomo” e le sue cose restano a testimonianza dell'impegno e del suo saper fare. Nei modellini di costruzioni d'altri tempi, realizzati con materiali reperiti nel circondario e assemblati con tecniche inventate per l'occasione, c'è il racconto di tutta un'esistenza vissuta nelle difficoltà del quotidiano senza lasciarsi fuorviare da illusioni che non avrebbero portato da nessuna parte. Nel modello del complesso del pozzo del Cerrone, nelle ricostruzioni grafiche del villaggio minerario e negli opuscoli delle fornaci e dei mulini del Fusola c'è assai di più di quanto appare a prima vista: c'è l'esperienza di una vita vissuta in modo speciale attraverso epoche diverse, tutta tesa a dare un senso a quelle emozioni derivate dai cambiamenti che hanno caratterizzato la fine del ventesimo secolo. Mi auguro che nel suo attuale luogo di residenza non si rattristi più del dovuto nel sentirsi solo e abbandonato, ma si consoli piuttosto nella certezza che vi sono più persone di quanto non pensi a ricordarlo e ad essergli riconoscenti di quanto, per la lunghezza di una vita, ha saputo dare.
La bella foto è di Andrea Migliorini
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