Spesso
mi domando se esista un motivo che mi spinge, nello spostarmi
attraverso il territorio, a passare dal villaggio di San Giusto.
Forse è la speranza di riuscire a trovare il modo di leggere quelle
rovine, sempre più ampie e ricoperte da spesse coltri d’edera.
Difficile immaginarne l’aspetto originale di quando i nobili
Ranuccini ne avevano il possesso assieme allo scomparso castello di
Rocca Gonfienti. Anche di quest’ultimo è difficile trovare traccia
visto che le sue rovine sono sempre più coperte dalla macchia che ne
protegge i resti. Il bosco nasconde anche alcuni tratti della strada
che costeggia l’Ombrone: una risorsa per i pedaggi imposti a chi vi
transitava in pace, ma anche un costante pericolo per l’uso che ne
veniva fatto dalle varie compagnie di ventura per le loro scorrerie.
Adesso non si nota presenza alcuna nei campi sodi dalla vegetazione
aspra e ostile, di difficile asilo anche per le creature selvagge
scacciate dal loro habitat per il taglio intensivo dei boschi di
questi ultimi anni. San Giusto è ormai un villaggio isolato dove
nell’antica aia sostano mezzi agricoli dall’acceso colore arancio
in un accostamento anacronistico che evidenzia in maniera traumatica
la sovrapposizione di tempi e funzioni e crea un’atmosfera surreale
dove regna incontrastato il silenzio. Fino a qualche anno fa c’era
qualcuno nella canonica e di tanto in tanto anche la chiesa era
aperta e sotto il maestoso leccio sul sagrato era facile notare la
presenza di una sedia da regista assieme a un tavolo con qualcosa
sopra. A suo tempo nel villaggio c’era una scuola e il mio
carissimo coetaneo Sergio Micheli vi scattò alcune foto negli anni
sessanta assieme ad altre all’interno della chiesa. Sull’altare
maggiore con decorazioni a stucco, c’era l’immagine di quella
Madonna ancora carica di ex voto che don Taccetti fece restaurare a
sua cura per porla nella chiesa di Vescovado evitando che andasse
perduta. E’ impossibile accostare quelle immagini alla realtà di
oggi come è difficile arrivare, se non a piedi, a questo villaggio
dimenticato. Le vie che vi conducono sono malamente percorribili per
carenza di manutenzione visto lo spopolamento della zona e quella di
più facile accesso proveniente dalla Befa, è solitamente presidiata
da quattro inquietanti cani maremmani a guardia del gregge che
l’attraversa nei pressi del guado di fosso La Nave. Una
concomitanza di cause, effetti e circostanze che fanno apparire ai
miei occhi il villaggio di San Giusto come un luogo magico e
misterioso, quasi una entità che racchiuda in se la storia di tante
storie vissute nel tempo e che, simile ad un personaggio muto riesca
a far immaginare la propria, senza poterla raccontare per intero.
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Le foto dell'articolo sono di Sergio Micheli (1962).