MURLOCULTURA n. 4/2005
Carrellata sui mestieri in mutazione

"Il Muratore"

di Luciano Scali
Associazione Culturale di Murlo
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Piattabanda
D
i fronte a manufatti del passato, molti dei quali in via di dissoluzione, viene spontaneo domandarsi come fosse possibile giungere a così importanti risultati pur non disponendo dei mezzi che vediamo oggi impiegati nella realizzazione di opere molto più modeste. L’ingegno sopperiva alla carenza di mezzi? In parte si anche se mi sembrerebbe più corretto parlare di mestiere… di un qualcosa che sta mutando col trasferire ai ritrovati tecnologici del momento, gran parte di quanto, in passato, veniva realizzato esclusivamente dall’uomo. Mutati concetti nell’arte del costruire e soprattutto, fattori economici pressanti hanno dato avvio ad un processo irreversibile a discapito della “vera arte muraria”. Inutile, in questo contesto, disquisire sull’argomento, pertanto ci limiteremo ad illustrare modi e procedure seguite dai “Mastri Muratori” per realizzare quelle “cose” che ci stupiscono e ci fanno dubitare delle capacità professionali degli attuali addetti ai lavori.
Il muratore di un tempo “nasceva da piccolo”, vale a dire che raramente frequentava le scuole ma fin da sette/otto anni era già per i cantieri ad apprendere il mestiere senza alcuna retribuzione. L’apprendistato era duro ma se l’allievo aveva volontà di imparare, e questo accadeva quasi sempre, poteva farlo solo “rubando con gli occhi” il mestiere dalle mani del maestro. Imparava così a conoscere l’importanza di tenere il cantiere in ordine per prevenire e limitare il rischio d’incidenti, di aver cura degli “arnesi” e di stare continuamente all’erta prevenendo i fabbisogni del muratore anziché sentirseli ricordare e sollecitare. Se un giovane era sveglio davvero e desiderava uscire rapidamente dal proprio stato per guadagnare ed aiutare la famiglia, dedicava ingegno e volontà all’apprendimento per potersi presentare un giorno in cantiere con “lo zinale” vale a dire con quel caratteristico capo d’abbigliamento che significava “padronanza del mestiere”. Mio padre raccontava spesso di esserci arrivato nel 1913 a sedici anni appena, e di essere poi partito, due anni dopo, per la guerra. Ma veniamo al lavoro vero e proprio iniziando a parlare delle “opere d’arte” più semplici a partire dalle aperture nella muratura: porte e finestre. Queste venivano delimitate da due spallette laterali che interrompevano la continuità del muro. Se la larghezza della porta era limitata, e lo era anche l’altezza dell’ambiente interno, la chiusura superiore poteva essere “piana”, terminare cioè con una piattabanda il cui “intradosso” (parte inferiore interna) era pressoché in piano, solo con una leggera “monta” al centro per non far risaltare più del dovuto le inevitabili “zanne” dovute all’inclinazione del mattone. Come definire questo manufatto che abbiamo chiamato “piattabanda”? Senza meno come un arco dal raggio grandissimo la cui lunghezza tenda all’infinito per un manufatto perfettamente piano.
L’uso della randa, nel caso specifico, non è indispensabile per la realizzazione del manufatto ma è utile per conferirgli un aspetto più estetico. Il muratore esperto nel realizzare una piattabanda, evitava di servirsi della “randa” curando “a occhio” l’inclinazione del mattone, ma non certo il pivellino che aspirava a presentare un lavoro finito esteticamente più regolare. Anzitutto veniva preparata l’armatura ponendo in piedi accanto alle due spallette, un murale di legno o un pezzo di “sostacchina” poggiante su un “vaggiolo” di mattoni che ne garantisse la stabilità, e due cunei contrapposti in legno per l’aggiustaggio in altezza del supporto. Sopra a questi veniva inchiodata una tavola fino a fare il filo del piano d’imposta.
I montanti venivano tenuti fermi da due morsetti infilati nel muro e da “sottomisure” inchiodate per tenerli solidali. In alcuni casi osservando bene certi lavori del passato, si nota fuoriuscire di qualche centimetro (di solito tre) un mattone alla sommità delle spallette, sui quali andava a poggiare la tavola la cui parte superiore combaciava col piano d’imposta.
In questo caso era sufficiente un solo supporto centrale per evitare che la tavola flettesse, e proprio su di esso veniva posto il chiodo dal quale sarebbe partita la “randa” per dare una regolare inclinazione ai mattoni della piattabanda.
Più il chiodo era posto in basso e meno i mattoni della piattabanda risultavano inclinati, ed anche nell’intradosso le “zanne” apparivano meno evidenti.  Una regola elementare e pratica alla quale fare riferimento, consisteva di non realizzare le piattabande in prossimità di cantonate tenuto conto della loro enorme spinta laterale sulle strutture.
All’osservatore attento ed interessato non saranno sfuggite alcune varianti riscontrabili su questo manufatto. Infatti non è raro rilevare al di sopra della piattabanda, una fila di mattoni messa per piano, non orizzontale ma arcuata tanto da formare essa stessa un arco dal raggio bene identificato. La sua funzione era quella di ridurre il carico sulla piattabanda e quindi di limitarne in parte le spinte laterali a vantaggio della stabilità dei piedritti. Allorché l’arte della muratura era considerata tale e non solo pratica, si provvedeva a personalizzare questo arco realizzandolo con mattoni decorati a elementi ornamentali come profili a gola dritta e rovescia, lesene, greche, gocce o tori. L’abitudine a simili comportamenti ha personalizzato determinati momenti costruttivi tali da farli riconoscere nel tempo come caratteristici esclusivi di quel periodo.


Archi
Un discorso all’apparenza simile, ma diverso nella sostanza, è quello che riguarda gli archi, anch'essi preposti per coprire vani di varia larghezza nella muratura e per sopportarne il peso soprastante. Dall’arco sono nate poi infinite varianti nelle strutture e nelle forme per adattarlo agli usi più disparati al di là della funzione primitiva per la quale era nato. Mentre l’arco di per se stesso consentiva di ricavare vani nella muratura per potervi passare attraverso, l’idea di dilatarne lo spessore portò alla creazione della volta che assicurava, invece la copertura di un intero ambiente.
L’ingegno ed i bisogni delle antiche genti fecero in modo che i principi costruttivi nati dalla necessità di risolvere situazioni venutesi a creare da momentanee esigenze, si trasformassero in vera e propria scienza costruttiva con regole ben precise. Vedremo come il tema degli archi e delle volte sia affascinante soltanto nell’osservarli, ma anche quanto lo sia di più nello scoprire il modo per poterli realizzare. Le tecniche, i materiali ed i mezzi a disposizione permettono oggi la realizzazione di opere imponenti al limite dell’impensabile, ma quanto ottenuto nel passato con limitati mezzi adoperando l’energia umana o animale e materiali naturali è addirittura da considerarsi irripetibile. Sarà, quindi molto interessante gettare un’occhiata nel passato, ma anche in quello abbastanza recente, per rendersene conto. Potrebbe far riflettere il muratore di oggi prima di procedere alla demolizione di qualche manufatto antico ritenuto obsoleto ed ingombrante, esortandolo a trovare una qualche soluzione alternativa per consentirgli di salvarlo come testimonianza di un tempo in cui la gente conosceva veramente il proprio mestiere.
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