MURLOCULTURA n. 4/2006
Recuperi di antiche strutture per variazione di destinazione d'uso

"Ancora riflessioni"

di Luciano Scali
Associazione Culturale di Murlo
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Ogni giorno percorro il tratto di strada che unisce Murlo a Vescovado facendo l’abitudine al progressivo degrado della “Casa Nuova”, antica costruzione rurale posta all’incrocio con la via per Buonconvento. Da qualche mese fervono i lavori per il suo recupero e questa è una buona notizia, poiché viene impedita la perdita di un edificio che attraverso la sua sola presenza rappresenta uno scorcio di storia della nostra comunità. Accade un po’ dappertutto che si recuperino casolari ristrutturandoli, lasciando loro solo la parvenza di ciò che erano poiché in effetti se ne modifica integralmente l’identità. Non vorrei, con questa breve premessa, rischiare di essere frainteso, ed anche a giusto motivo dato che è impensabile ricreare al giorno d’oggi, manufatti la cui funzione è finita da tempo. Inutile ripristinare stalle sotto casa quando sarebbe impossibile mettervi dentro buoi o vacche introvabili da non potersi impiegare in mestieri ormai inesistenti seppur con l’improbabile consenso degli uffici per la tutela degli animali. La mia riflessione è un’altra e si accentra sulla incessante opera di trasformazione in atto ovunque si volga lo sguardo.
Nel caso specifico di un qualsiasi restauro di vecchie strutture, è da considerare un vero successo se viene mantenuto inalterato l’aspetto esterno, lasciando campo libero su quello che invece accadrà all’interno. Dal volume dei detriti che si accumulano nel piazzale del cantiere è facile immaginare che l’antico casale venga ridotto ad una scatola vuota entro la quale stivare poi oggetti diversi da quelli per cui era stata creata. E’ normale che sia così anche se esiste il rammarico di vedere cancellate informazioni e tracce di vita appartenenti alla storia quotidiana di un passato nemmeno troppo lontano, che qualcuno ancora ricorda ma che non è in condizioni di poter riportare.
Nelle schede del nuovo piano regolatore resta traccia dell’aspetto in cui l’edificio si trovava quando è stato censito, ma non certo l’atmosfera che le sue pareti pregne di vita vissuta erano capaci di dare. Ogni cosa al mondo ha un principio ed una fine e così pure le testimonianze del passato come da sempre è accaduto e come anche oggi accade per quelle di importanza maggiore come la chiesa di Montepescini, di Vallerano e di tante altre ancora. Ciò premesso, avrei voluto sottolineare l’opportunità di dare vita ad una prassi condivisibile che, in caso di interventi sopra antiche strutture per conferire loro una destinazione diversa dall’originale, consentisse di rilevare “in primis”, a quali criteri distributivi i costruttori si fossero ispirati.
Le strutture del passato erano estremamente funzionali nei confronti della destinazione d’uso e, quindi ogni complesso veniva strutturato sulla base delle risorse che il territorio annesso era in condizioni di fornire. Secondo la natura delle risorse prevalenti, il podere veniva strutturato con criteri adeguati ove prevalessero le aree che ad essa vi si riferivano. Se la coltura preminente era la vite e quindi il vino come prodotto principale, allora erano la tinaia e la cantina ad avere la prevalenza sulle altre strutture, mentre con la coltura cerealicola, oltre al granaio, era la stalla ad essere privilegiata assieme agli annessi per la cura ed il sostentamento del bestiame. Pur se trascorso ormai mezzo secolo dalla fine della mezzadria, i ruderi sparsi ovunque, conservano ancora chiari segni di lettura nelle strutture rimanenti consentendo di risalire con quasi assoluta certezza alle origini ed all’attività prevalente. Da un simile modo di operare ed attraverso facili comparazioni, se ne potrebbe dedurre un interessante quadro sulle attività del passato in relazione a quanto le varie zone fossero in grado di fornire. Purtroppo accorgimenti simili non fanno parte della nostra cultura cosicché ogni notizia residua viene irrimediabilmente perduta. Ben pochi danno importanza a quelle che definirei “notizie in sonno” ovvero in attesa di essere scoperte. I più non ci fanno caso, altri preferiscono ignorarle poiché potrebbero costituire motivi di fastidio e conseguenti oneri aggiuntivi in corso d’opera, quindi sono destinate a scomparire.
Per il momento non sembrano importanti salvo tornare d’attualità allorché, dopo qualche decennio, studiosi in cerca di notorietà o sinceramente nostalgici di un mondo che non c’è più, vanno a riesumarle attraverso ricerche dispendiose e piene di lacune. Per l’Amministrazione potrebbe rappresentare l’opportunità di divenire depositaria della memoria storica delle strutture dell’antico territorio senza costi  aggiuntivi, da custodire ad uso esclusivo dei futuri ricercatori nel proprio Archivio Storico.


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