MURLOCULTURA n. 4/2009

Un borgo che cambia

La scomparsa dei pini di Murlo

di Luciano Scali
Associazione Culturale di Murlo
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Come sarebbe facile fare della retorica sull’evento che ha privato Murlo di uno dei suoi simboli caratteristici e, nel contempo, trovare qualcuno al quale addossare la responsabilità dell’accaduto. Si, e poi? Poi niente! Ricordo che non si fece gran caso alla caduta del pino in cima a Poggio Aguzzo, eppure anche quello si vedeva da ogni parte. Se ne fece un vero caso quando fu deciso l’abbattimento di quello di Monteroni motivandolo che non si poteva ostacolare il progresso di un paese tutto teso a espandersi verso sud, lungo la Cassia. Adesso Murlo è orbo di una caratteristica specifica e si avvia rapidamente “a normalizzarsi”: a divenire “un posto come tanti altri”. La sua integrità che lo rendeva diverso facendone un unicum nella zona, ormai non esiste più, e così pure la sua privacy erose, passo dopo passo, non tanto dalla voglia di esaltarne le qualità effettive bensì con l’intento di farne un’attrattiva. Così è stato. Da quando arrivai a Murlo venticinque anni fa, sono scomparse cose e persone e con esse il retaggio di un tempo che fu. Adesso il vento non solleva più nuvole di polvere dalla terra battuta delle viuzze e delle piazze, ma fanno bella mostra soluzioni prettamente personali che i nuovi residenti, per distinguersi, hanno dato alle proprie abitazioni nella convinzione di migliorarne l’aspetto, senza curarsi di quello dell’insieme. Anche il paesaggio pian piano cambia, ma quello che maggiormente preoccupa è il notare come le modifiche più eclatanti avvengano in prossimità dei luoghi ove le identità locali sono più rappresentate e quindi più bisognose di tutela.. Ogni passo in questa direzione ne innesca tanti altri e a nulla valgono i tentativi posti in atto per arginare una deriva dal futuro inquietante. I pini erano un simbolo, come lo è, non dico la bandiera, ma l’inno nazionale. Non è importante che possa apparire vecchio e superato, ma che ci sia. Cosa fare adesso? Come riempire un vuoto che per colmarlo sono occorsi almeno due secoli? E poi dove trovare “una presenza” che possa sostituirsi a queste due piante ormai assurte col tempo al ruolo di “totem” tutelari del castello di Murlo? La caduta solitaria del vecchio pino, avvenuta alle 3,30 del ventinove luglio, con un fruscio impressionante al quale non seppi dare un senso, trascinò con se, due secoli di storia assieme al rammarico di non aver intuito quanto stava accadendo. Nel mio immaginario, paragonai la morte del pino a quella dell’elefante che consapevole della prossima fine, si allontana dal branco ritirandosi solitario per potersene andare con dignità. Così è stato: l’ora tarda, i danni irrilevanti e solo quel rumore simile alla caduta di una slavina. Il vederlo impietosamente sezionato al mattino come il cetaceo nella baleniera, mi fece senso anche se era evidente la necessità di doverlo togliere dalla strada per ripristinare il traffico. Del secondo pino, abbattuto qualche giorno dopo, non so cosa dire poiché ho ancora le idee confuse e potrei arrivare a conclusioni sbagliate. Ricordo solo che salendo in macchina notai sul parabrezza due piccole chiazze d’incenso che paragonai ad altrettante lacrime lasciate cadere dai pini prima di andarsene, cosa che mi procurò un grosso magone per tutto l’arco della giornata.

Alla faccia di non lasciarsi trascinare dalla retorica, però!

 Murlo negli anni '50

Murlo negli anni '50

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