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Conosco
bene il valore degli scambi culturali tra nazioni diverse. Ne ho fatti
vari quando ero alle superiori e studiavo lingue straniere, e tutti sono stati esperienze preziose. A
livello linguistico, ho imparato che immergersi totalmente nella vita
di una famiglia, condividere con loro notti e giorni, pasti e gite, e
persino i telegiornali e le pubblicità all’ora di cena, anche per soli
dieci giorni, equivale a circa un anno di studio scolastico della
lingua in questione. L’esperienza poi si ripete al momento
dell’accoglienza. A livello umano, lo scambio rappresenta un modo di
confrontarsi con un mondo ‘altro’, con un modo differente di vivere e
pensare. Inoltre, per me, a 14 anni, è stata anche la prima occasione
di viaggiare da sola in modo adulto , pur se ovviamente insieme alla
mia classe ed ai nostri professori. Ricordo la sensazione di quando il
treno di notte attraversava le montagne coperte di neve e dalla
cuccetta ci siamo resi conto di aver lasciato il confine italiano ed
essere in Francia. Una grande emozione. Certo, non per tutti è così –
ricordo che una nostra compagna è stata colta da nostalgia e panico nel
bel mezzo del viaggio notturno per Dijon ed una professoressa l’ha
dovuta mettere su un treno per Siena e riportarla a casa d’urgenza. Ma
io, ritenendo che lo scambio sia un arricchimento, ho stimolato i miei
figli a riflettere sull’idea di accogliere un ragazzino francese quando
ce ne hanno data l’occasione grazie al gemellaggio Murlo-Giberville.
Uno dei due era abbastanza contento di farlo, l’altro storceva il naso.
Ha cominciato a dire che lui camera sua non la cedeva a nessuno e che
non voleva uno straniero mai conosciuto in casa per vari giorni ,
soprattutto non parlando bene la lingua. Su questo lo abbiamo
rassicurato: io sono laureata in francese, mio marito lo parla molto
bene, quindi non ci sarebbero stati momenti di panico in quel senso.
Quanto al condividere stanza, giochi, pasti con un ragazzino
sconosciuto, gli abbiamo spiegato che sarebbe stata una
bella esperienza, ma lui non ci ha creduto. Strano come ragazzi
abituati a viaggiare in tutta Europa da quando sono nati potessero
opporsi a questo tipo di esperienza. Alla
fine, controvoglia, hanno detto di sì. Così abbiamo incontrato Jean
Jacques. Siamo andati a prenderlo di sera a Vescovado e ci è sembrato
subito un amore. Appena dieci anni, capelli rossi e lunghi intorno a
una faccina dolce, appena un pochino spaesato dopo esser arrivato dal
loro tour in Germania. Non vedeva i suoi genitori da una settimana, e
sarebbe stato con noi 4 giorni. Ci sembrava forse un po’ troppo per un
ragazzino così giovane, ma i professori ci hanno detto che era tutto a
posto, che i bambini erano entusiasti di essere arrivati in Italia.
Abbiamo mangiato quasi sempre all’aperto, e subito dopo i ragazzi
iniziavano a giocare a pallone in giardino o a suonare o a costruire
insieme il Bionicle che Jean Jacques aveva portato dalla Francia in
regalo. Ignorando del tutto i videogiochi ed il computer, complice il
tempo splendido di giugno, hanno subito iniziato a divertirsi insieme.
Un pomeriggio hanno colto tantissime ciliegie e Hugo ha fatto vedere a
tutti come si arrampicava sugli alberi...Mi è preso un colpo
all’inizio, colta da improvvise visioni di
rovinose cadute e ambulanze, ma poi ho visto che era agile come un
felino e ho smesso di preoccuparmi. Notavamo inoltre che comunicavano
benissimo in francese senza quasi mai bisogno di un nostro intervento.
Anche gli amici dei nostri figli che avevano deciso di accogliere un
ragazzo francese all’inizio si stavano trovando molto bene. Eravamo
insomma tutti soddisfatti dell’esperienza. Jean Jacques inoltre mi
diceva, con la faccina sorridente; ‘’Vous etes très gentile, merçi,
merçi’’. Era carinissimo. Poi, due
sere dopo l’arrivo, rientrò tardi da una gita con i compagni e chiese
se poteva fare una doccia. Disse di aver mangiato e di essere
stanchissimo. Qualche momento dopo, l’acqua smise di scorrere ma mio
figlio venne a chiamarmi. “Mamma, J J sta piangendo, credo”, mi disse.
Lo sentivo, stava singhiozzando in bagno, così bussai per capire se si
sentisse male. Aprì poco dopo, aveva i capelli bagnati e il viso
inondato di lacrime. Mi preoccupai tantissimo, gli chiesi come mai
stesse piangendo, se stesse male o se avessimo fatto qualcosa di
sbagliato. Lui scuoteva la testa e alla fine mi disse :’’Qui è tutto
bellissimo, ma mi manca la mia famiglia’’. Gli dissi di telefonare
subito ai suoi genitori, ma mi confessò di non avere un numero, e poi
mi disse anche che i suoi professori gli avevano detto di non chiamare
mai a casa ma di rivolgersi a loro se avevano dei problemi. J J mi
disse anche che erano passati 10 giorni da quando era partito da casa e
voleva tanto parlare con i suoi ma le regole non lo permettevano. Gli
chiesi se poteva chiamare i professori, quindi, e lui mi disse che
questo era permesso e che gli insegnanti volevano proprio che per
qualsiasi problema si rivolgessero a loro per parlare. Così
composi il numero di una delle accompagnatrici e le spiegai che J J
stava piangendo e che aveva nostalgia di casa. Lei mi chiese di non
preoccuparmi e poi parlò a lungo con il bambino, che continuava a
singhiozzare all’inizio. Poi solo qualche istante dopo si calmò,
sentivo che diceva di trovarsi molto bene qui da noi ma che erano tanti
giorni che non vedeva sua madre e che gli mancava tanto. Bastarono
pochi altri minuti e JJ tornò sereno, riattaccò e mi ringraziò
scusandosi e ripetendomi ancora che eravamo tutti gentilissimi e che
non dipendeva da noi. La vacanza riprese il giorno dopo senza più
problemi. Ripensandoci, a dieci anni è difficile stare lontano per così
tanto tempo dalla famiglia, erano solo dei bambini ma sia J J che gli
altri sembravano riuscire benissimo a gestire la lontananza, nonostante
il momento di sconforto. Facemmo tante
foto, e poi J J e gli altri vennero a vedere il bello spettacolo di
fine anno della scuola di Murlo che si teneva a Casciano. Quando J J è
partito ne abbiamo sentito tanto la mancanza. Tra l’altro anche per noi
adulti è stato positivo parlare in francese dopo un po’ di tempo che
non ci accadeva, ma soprattutto accogliere e prenderci cura di un
ragazzino dolce, educato, sveglio e simpatico come J J. I suoi genitori
ci hanno scritto subito dopo per ringraziarci, dicendo che J J parla
ancora spesso dell’Italia, della Toscana, della nostra famiglia e delle
cose che ha visto e fatto in questa prima esperienza di accoglienza.
Un’esperienza che rifaremmo anche subito. E i ragazzi sono d’accordo con noi.
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