MURLOCULTURA n. 4/2009 | ||
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Una piena inattesa e distruttiva, si rivela in seguito oltremodo chiarificatrice Il Ponte Nero scopre le sue verità di Luciano Scali |
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La realtà
va oltre ogni immaginazione specie quando si confronta con avvenimenti
lontani i cui protagonisti, o testimoni sono ormai scomparsi. Ci
voleva la piena del Crevole del dicembre 2008 per aprirmi gli occhi sul
Ponte Nero del quale credevo di conoscere vita, morte e miracoli.
Sull’ultimo quaderno del 2008, proprio in occasione della caduta del
vecchio pilastro a causa dalla piena del Crevole, comparve un articolo
a mia firma ove si evidenziava la cronologia del ponte a partire da una
sua immagine scattata negli anni ’20 sotto la gestione Ansaldo. Nella
stupenda foto il ponte compariva composto dalla spalletta sud in
pietra, due cavallette intermedie in legno montate su altrettanti
plinti posati nell’alveo del torrente, ed una terza cavalletta di
altezza ridotta, sempre montata su plinto ma posata sulla scarpa
dell’argine nord. Questi diversi supporti sostenevano la struttura in
legno del ponte sulla quale si posavano i binari della strada ferrata.
Il ponte, di cui possediamo la dettagliata foto, ebbe vita breve, solo
qualche anno poiché la Società Ansaldo fu costretta a rivedere i suoi
programmi di sfruttamento della miniera a seguito della decisione da
parte delle Ferrovie dello Stato di costruire il tratto Siena - Monte
Antico attraversando la Val d’Arbia. Anche la mancata ubicazione della
stazione di Murlo nei pressi di Fosso la Nave, mise fuori causa ogni
speranza di coltivazione in grande stile della miniera di Murlo e delle
sue annesse attività. La seconda guerra mondiale,
con i gravi problemi di approvvigionamento delle materie prime, fece
tornare di attualità anche la risorsa lignite e con essa il problema
del suo trasporto verso i luoghi di utilizzo. La ferrovia si rivelò
ancora una volta comemezzo più a buon mercato e quindi, per usufruirne, fu necessario ripristinarne l’uso fino alla stazione della Befa. Il
Ponte Nero, lungo circa 38 metri, venne ricostruito ponendo in opera
due pilastri il calcestruzzo, modificando i plinti che a suo tempo
erano serviti da base alle cavallette di legno del precedente ponte
ferroviario. La penuria di materiali ferrosi è largamente dimostrata
dall’assenza di armature all’interno dei pilastri e dei plinti
giustificandone così la relativa resistenza all’azione delle piene.
Anche la tendenza del pilastro caduto a fratturarsi in più pezzi secondo
i punti di contatto fra le successive gettate di calcestruzzo, ne
evidenzia la carenza. Nel ripristino dei supporti verticali del ponte,
le strutture lignee ancora incorporate nei plinti non vennero rimosse,
mentre il plinto della cavalletta piccola piazzata sull’argine, venne
totalmente inglobato dalla spalletta nord. Così facendo le luci del
ponte si riducevano a tre ed anche la distanza tra le due spallette in
muratura era notevolmente ridotta. L’effetto del trascorrere del tempo
sul luogo a causa delle piene del Crevole con i copiosi depositi di
breccia e sabbia e leerosioni avvenute un po’ ovunque, hanno contribuito a creare nel “ curioso venuto da fuori”,
un concetto errato sul reale aspetto del Ponte Nero durante gli anni
’40. Solo “l’effetto diga” rappresentato dal pilastro caduto che ha
costretto le acque del Crevole a farsi strada al di la del plinto
rimasto ed a scoprire i resti del suo gemello, ha innescato un nuovo
ragionamento del quale non si immaginava proprio l’esistenza.
Ricostruzione della struttura del Ponte Nero negli anni '40, a partire da una foto del 1920. |
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