MURLOCULTURA n. 4/2010 | ||
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Quando il caso può suggerire notizie sulle origini di un edificio in rovina I segreti del podere della Minieradi Luciano Scali |
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Spesso
accade di sentirsi chiedere notizie dettagliate sul villaggio della
miniera da coloro che richiamati da tale nome, arrivando sul posto
restano piuttosto delusi non riuscendo a riconoscere nella realtà
attuale quelle strutture che immaginavano invece di trovare. A
seguito dei lavori di riqualificazione avvenuti nel tempo per
recuperare ambienti dedicati ad uso industriale, molte delle
caratteristiche originali sono andate perdute oppure volutamente
nascoste. Dipende sempre dalle esigenze del momento, dalla mentalità
dei tecnici chiamati a ristrutturare e, soprattutto dai gusti della
gente. Accade
allora che autentici reperti di architettura industriale vengano
snaturati o addirittura scientemente abbandonati con la speranza di
vederli ridotti in macerie per potere in seguito edificare qualcosa
di nuovo sulle loro spoglie. Il perché di questa premessa va
ricercato nella presa cognizione di una realtà nascosta che il caso
ha evidenziato mostrando parte di strutture originali di un
fabbricato in rovina. Mi riferisco all’edificio che il catasto e le
mappe topografiche identificano come il “Podere della miniera”,
ovverosia col nome della sua ultima destinazione prima di essere
definitivamente abbandonato.
La storia dell’immobile risale alle origini del villaggio minerario, addirittura alla fase più antica allorché vennero liberati i terreni invasi dal bosco per far posto alle strutture destinate a consentire lo sfruttamento delle risorse derivate dalla scoperta dei giacimenti carboniferi in località Pratacci e nelle zone limitrofe. In quell’occasione, vale a dire negli anni 1869/70, venne realizzata una serie di impianti capaci di fornire i materiali necessari alla edificazione del villaggio e consistenti in una fornace per laterizi, una per calce aerea ed una terza per cemento a lenta presa. L’immobile di cui si parla, posto nei pressi della fornace per cemento, venne destinato a deposito di carbone da utilizzarsi nella fornace stessa, in quella per laterizi, sulle caldaie annesse agli impianti e per la locomotiva adibita, dapprima al servizio dei cantieri della ferrovia e poi per il trasporto del carbone a Monte Antico. Al termine della prima guerra mondiale, la Società Ansaldo prese in gestione l’attività mineraria abbandonata nel 1893 dalla fallita Società Generale per l'Industria delle Ligniti Italiane, mettendo in atto un sostanziale programma di ammodernamento del villaggio e dei suoi impianti. Anche il vecchio deposito venne interessato dalle trasformazioni decise dalla nuova società che provvide a modificare la tettoia aperta che lo costituiva, in un ambiente strutturato su due piani di cui la parte superiore da usarsi come alloggio e quella inferiore a stalla per ricovero dei muli e dei cavalli destinati al trasporto dei vagoncini a servizio di cantiere. Il recente collasso di una porzione della parete sud di questo fatiscente immobile, evidenzia la mancanza di ogni collegamento con i pilastri a mattoni della struttura originaria confermando in tal modo due cose: l’aspetto primitivo “a tettoia” del deposito e la sua successiva destinazione ad altri usi.. Il Podere della Miniera: tracce dei pilastri della tettoria Le ligniti di Murlo sono escavate a taglio aperto e in gallerie. Il loro trasporto si effettua in vagonetti della portata di circa 330 kg. l'uno, su stradine ferrate della lunghezza di circa 3 km. aventi uno scartamento di cm. 51. Il trasporto dei vagonetti si effettua nelle gallerie a mezzo di piani inclinati automotori muniti di freni e di funi metalliche, ed esternamente a mezzo di cavalli rimorchiando, secondo le sezioni, treni da 6 a 10 vagonetti. Pervenute così alla stazione di Murlo sono scaricate: sia direttamente nei vagoni ferroviari per mezzo di tramoggie a capo delle quali trovasi un piano mobile a bilanciere; permettendo così lo scarico senza manovra di sorta; sia nei magazzini qualora difetta il materiale ferroviario (1) Si apprende in tal modo che il trasporto dei vagoncini carichi di carbone avveniva per trazione animale, che il combustibile veniva immesso in tramogge per caricarsi direttamente sul treno oppure, in carenza di questi avviato al deposito di stoccaggio. Ciò conferma anche l’esistenza di due diverse quote nella viabilità del cantiere per avvalersene nelle operazioni di carico e scarico del carbone. * Ricostruzione dell'ex deposito di carbone
1) Misc: Serv: C. 91- N°23 (Bibl. Com. Siena) Miniere carbonifere di Murlo, Provincia di Siena, Siena, Tipografia Sordo Muti 1881 |
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