MURLOCULTURA n. 4/2011 | ||
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MURLO NEGLI ARCHIVI MINERARI Le putizze di Fontazzi di Barbara Anselmi |
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Alcuni
anni fa presso l’Archivio del Distretto Minerario di Grosseto
avemmo modo di consultare le concessioni minerarie e i permessi di
ricerca ottenuti nel territorio di Murlo. Fra questi documenti vi
erano concessioni e permessi di ricerca per la categoria “vapori e
gas” e risorse geotermiche in generale, che furono richiesti per le
zone dei Bagni del Doccio, Bagnaia e Casciano di Murlo. Abbiamo
rispolverato questo materiale, senz’altro meno noto di quello
riguardante le miniere di rame e lignite del nostro territorio,
poiché da qualche tempo l’interesse verso questo tipo di risorse
geominerarie sembra essersi rinnovato. La concessione più vecchia
presente al Distretto Minerario risale al 1933 ed era intestata alla
contessa Camilla Tolomei vedova Bossi Pucci, per lo sfruttamento di
acque termominerali ai Bagni del Doccio, nella piana del fiume Merse.
Sappiamo comunque che i Bagni del Doccio erano attivi già nel Medio
Evo e nei secoli successivi (es. Repetti, 1833). Nel 1950 la
concessione passa a Giovanni De Andreis e Caterina Peletta, che
abbandonano l'attività nel 1960 a seguito di una rovinosa piena del
Merse che fa scomparire la sorgente e procura danni agli edifici.
Nella relazione tecnica della concessione si legge che l'acqua in
uscita dalla sorgente aveva una temperatura di 48°C e una portata di
mezzo litro al secondo. L'acqua termale, sulfurea, veniva usata per
trattare artrite e malattie cutanee. Il fabbricato dei Bagni, ancora
oggi visibile, aveva una superficie di circa 200 mq ed ospitava 10
camerini con vasche in granulato di cemento, oltre alle camere per
gli ospiti. Nella relazione si legge anche che poco distante dal
fabbricato, alla confluenza del fosso dei Cerri col Merse, vi era
un'altra sorgente e che nella zona di Fontazzi vi erano numerose
putizze (manifestazioni gassose di anidride carbonica e acido
solfidrico) che provocarono anche la morte di bestiame. Queste
putizze vengono descritte come cavità imbutiformi, riempite
di melma, dove non cresce vegetazione. Ancora oggi è possibile
vederne alcune nei campi incolti attorno Fontazzi: si tratta di
piccole pozze con acqua che “bolle” per la fuoriuscita di gas dal
sottosuolo, che in estate col diminuire della piovosità si riducono,
come diceva la relazione degli anni ‘50, a cavità fangose. Il nome
putizza rende l’idea dell’odore di questi gas, che
contengono una certa percentuale di acido solfidrico, dal tipico
odore di uova marce. Fonti consultate
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