Qualcuno
ancora oggi afferma che le costruzioni del passato erano molto più
semplici delle attuali poiché chi andava ad abitarle era meno
esigente e si accontentava più facilmente di quanto le strutture
potevano offrire. Il riferimento riguarda le abitazioni popolari,
assomiglianti più a ricoveri che a case vere e proprie dove
l’esigenza di poter disporre di un riparo andava oltre ad ogni
altra considerazione di ordine estetico o funzionale. Gli spazi a
disposizione erano piuttosto angusti ma sufficienti per assicurare
una protezione durante le ore notturne e la cattiva stagione. I
palazzi della nobiltà e dei cittadini benestanti si presentavano con
stanze ampie dai soffitti altissimi che abbisognavano di camini
adeguati e di bracieri disposti ovunque per riscaldarle ma,
soprattutto, di notevoli risorse per mantenerli in efficienza.
Nelle
abitazioni della povera gente il problema si poneva in altri termini
e veniva affrontato con semplicità poiché gli spazi disponibili
risultavano sovraffollati e quindi anche il “calore umano”
rappresentava una fonte energetica da non trascurare.
Il
connubio tra spazi ristretti e concentrazione di persone dalle
esigenze limitate diveniva una condizione essenziale per sopravvivere
durante i rigidi mesi invernali. Tutto questo, però a discapito
della qualità di vita, dell’igiene e della libertà personale. Per
la realizzazione delle abitazioni di cui trattasi venivano impiegati
materiali di facile reperimento in loco, ed erano caratterizzate da
spazi contenuti, pareti di forte spessore, soffitti bassi, finestre
di ridotta superficie e camini ove fosse consentito di poter
cucinare.
Il
problema più serio consisteva nel procurare il laterizio, il legante
ed il legname. Per gli inerti, rena e breccia, veniva fatto ricorso
ai restoni dei fossi e torrenti venutisi a formare in seguito
alle piene primaverili e autunnali.
Se
nei pressi della costruzione da edificare si trovavano rocce idonee,
come galestro, alberese o balzano, veniva approntata una fornace a
buca dove cuocere la pietra adatta usando le fastella ottenute
smacchiando il sottobosco. Lo stesso accadeva laddove era arrivato il
mare pliocenico e dove si erano sedimentati grandi depositi di
argilla. Oltre alle fornaci fisse per mattoni, ne sorgevano altre
rudimentali nelle quali cuocere per un paio di volte giusto il
fabbisogno per quella costruzione specifica. Per il legname, se
andiamo ad osservare le vecchie case di Murlo, Vallerano e i resti di
poderi sparsi ovunque, potremo vedere come, per la bisogna, sia stato
usato ogni tipo di essenza presente sul territorio: querce, leccio,
castagno, faggio e pioppo. Gli abitanti del passato non si
formalizzavano troppo sul lato estetico del futuro trave e quanto si
prestava ad essere impiegato andava bene purché desse sufficienti
garanzie di integrità e resistenza. Più difficile era procurarselo,
viste le limitate risorse disponibili, ed una volta acquisito veniva
posto in opera ricorrendo a soluzioni geniali che ancora oggi non
cessano di stupire. Dotarsi di manufatti e materiali metallici era
invece molto più complicato e lo dimostra l’uso parsimonioso che
ne veniva fatto legato in prevalenza al funzionamento dei serramenti
ed alla sicurezza. Ancora oggi, nell’osservare i resti di antichi
poderi, è possibile accertare la provenienza dei materiali gettando
un’occhiata alle risorse circostanti e nel contempo avere
l’indicazione delle attività prevalenti del podere desumendolo
dalla capacità e dalla disposizione dei vani e degli annessi oltre
che dal loro orientamento.
Le
costruzioni antiche presentavano un aspetto di grande solidità e non
solo per i materiali impiegati ma per il forte spessore delle pareti,
spesso realizzate con materiali sporadici e di ogni tipo ivi comprese
“le pillole di fiume” ovvero quelle pietre procurate nell’alveo
dei corsi d’acqua con i bordi arrotondati al punto da farle
rassomigliare a sfere irregolari. Tali elementi risultavano piuttosto
difficili da sovrapporsi per costituire pareti di limitato spessore,
mentre in quelle più larghe il compito diveniva più agevole. Nelle
prime, per poterle tenere assieme, occorreva fare uso di frequenti
ricorsi in laterizio per legarle e rendere stabili, con un incremento
di costi che nel maggiore dei casi si rivelava insostenibile. Era
preferibile e conveniente allargare lo spessore dei muri ricorrendo,
in alcune situazioni, al riempimento della parte centrale con
materiali sciolti come calcinacci, ghiaia o, addirittura tufo (fig.
1). L’impiego di laterizi o pietra squadrata si limitava alle
cantonate, alle spallette di porte e finestre, a qualche arco, ai
solai e al tetto. Spesso anche per le piattabande veniva usato un
trave di legno e in qualche occasione il trave stesso fungeva da lega
all’interno della muratura.
Fig.
1 Esempi di muratura senza e con ricorsi.
Nel
comprensorio di Murlo, dove le essenze forti non fanno difetto, era
piuttosto facile procurarsi il legname adatto ai vari bisogni, anche
se in qualche occasione, non mancano esempi sull’uso di abete e
gattice. Di
norma la trave stagionata e priva di corteccia veniva posta in opera
così com’era ovvero senza essere squadrata, cosa che oggi non
accade più nei lavori di restauro oppure “di rifacimento al
vecchio” nei poderi ristrutturati e adibiti a seconda abitazione o
ad agriturismo.
Il
fusto veniva decorticato prima della stagionatura privandolo anche
dell’alburno dove di preferenza si annidavano i parassiti che con
la loro azione avrebbero potuto pregiudicare l’integrità della
futura trave (fig. 2).
Fig.
2 Sezione di un tronco.
Al momento della sua posa in opera la trave
stagionata veniva sottoposta ad un’accurata osservazione. Si
percuoteva in più punti col martello per assicurarsi che desse un
suono vibrante e non sordo indice di integrità, quindi si passava al
suo aspetto individuando dove avesse la cavallina ovvero
quella leggera curvatura del suo asse longitudinale che di solito
assumeva a causa della posizione in cui era venuta a trovarsi durante
la stagionatura.
Nel
porre la trave in opera ci si assicurava che la curvatura fosse
rivolta verso l’alto in modo che sottoposta ai futuri carichi
tendesse a raddrizzarsi con un leggero effetto arco. La componente
del carico che spingeva verso l’esterno veniva assorbita
dall’incastro irrigidendo la trave a tutto vantaggio della
stabilità del solaio (fig. 3).
Fig.
3 Stagionatura del legname (in basso) e posa in opera (in alto).
Il notevole spessore del muro
garantiva il perdurare di tale effetto.
(continua)
Note
La
fig. 2 è tratta da:
Elementi
di Tecnologia, Montanini e Panazza - Lattes
& C. Editori, Torino, 1933.