MURLOCULTURA
n. 5/2005 |
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Carrellata sui mestieri in mutazione
Il Muratore di Luciano Scali |
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Nel
proseguire la carrellata sulle strutture murarie del passato, una delle
più semplici è rappresentata dall’arco. In
geometria questi viene definito come “Parte di una circonferenza o curva, compresa da due punti di questa”, mentre con tale nome in architettura s’intende quella “Struttura
portante a profilo curvilineo con la funzione di reggere un carico
superiore, poggiante su stipiti o colonne” (1).
A seconda della forma e della funzione specifica assunta,
prenderà nomi diversi che lo contraddistingueranno. Il
più semplice è “l’arco a tutto sesto” formato da una semicirconferenza dove “la saetta, o monta, o freccia è uguale al raggio”.
Dal punto di vista esecutivo risulta essere il più facile
poiché per la sua realizzazione il muratore non dovrà
ricorrere a lunghe operazioni preparatorie. Il centro dell’arco, ovvero il punto da cui dovrà partire la randa, si troverà ubicato nel piano d’imposta, all’esatta metà della larghezza dell’apertura. I procedimenti per preparare le centina sulla quale poggiare l’arco dipenderanno dalle possibilità dell’esecutore: approntarne una in muratura, o usarne una in legno predisposta dal carpentiere. In passato, nella maggior parte dei casi, si ricorreva al primo metodo poiché meno costoso e più rapido per non dover ricorrere all’opera ed alla disponibilità di terze persone; il secondo metodo poteva essere preferito allorché si presentava la necessità di realizzare più archi uguali in successione, usando così una sola centina. La centina (o barulla) posava sulla tavola a livello del piano d’imposta. La randa definiva il profilo dell’intradosso al quale ci si avvicinava con file degradanti sovrapposte di mattoni per piano disposti a “salto di gatto”. Con malta di calce e pezzami di mattone si provvedeva a raggiungere il profilo sul quale poggiare poi l’arco che a sua volta poteva essere ad una o più teste, sia in altezza che profondità a seconda dello spessore del muro, della larghezza del vano e del carico che era destinato a sopportare. Premesse le operazioni descritte di carattere generale, occorreva un’ulteriore precisazione: vale a dire se l’arco da realizzare dovesse rispondere anche a determinati requisiti estetici. In questo caso l’esecuzione doveva essere curata in ogni sua parte: le commettiture dovevano risultare eguali e l’inclinazione rigorosamente “a randa”. Mentre per realizzare l’arco ad una testa bastava porre in opera i mattoni senza scartarli, a partire da quello a due poteva rendersi necessario conciarli, affinché lo spessore in alto della commettitura non risultasse troppo largo, e quindi antiestetico, specie nel caso in cui la luce da coprire fosse stata piuttosto ridotta come per gli ingressi delle abitazioni di un tempo. |
Il muratore esperto appena realizzata la centina, iniziava da
un lato a “segnarvi le partiture”
dei mattoni aiutandosi con uno di essi e curando che le stesse fossero
simmetriche a quelle dell’altro lato. Malgrado
l’accuratezza dell’operazione, eventuali differenze
venivano
ad evidenziarsi al momento della chiusura dell’arco,
allorché si doveva
porre in opera “la chiave”. Infatti se si osservano bene certi
manufatti si noterà, nella maggior parte dei casi, che la cosiddetta
chiave è composta in effetti di due pezzi conciati a cuneo per potersi
contrastare e, di conseguenza, chiudere l’arco. Qualche perfezionista
riusciva a far apparire tutti i mattoni integri, senza concia alcuna e
per fare questo iniziava la sua ripartizione preliminare sulla centina
a partire proprio dalla chiave per giungere fino all’imposta. Con tale
sistema le differenze che si sommavano in chiave col metodo
tradizionale, venivano così a ridursi della metà e quindi più
facilmente assorbibili in partenza all’imposta dell’arco. Per ovviare
ad esecuzioni troppo precise e accurate che si traducevano in anomali
allungamenti dei tempi di costruzione, si usavano artifizi per chiudere
l’arco ricorrendo a manufatti che ne interrompessero la continuità e
potessero poi presentarsi come raffinatezze estetiche. Infatti è
piuttosto comune rilevare nelle costruzioni del passato il ricorso a
tale sistema, magari con l’inserimento di una pietra con il monogramma
del proprietario oppure, più semplicemente con mattoni a ventaglio
posti in aggetto rispetto al piano dell’arco. (continua)
(1) – Grande Dizionario della Lingua Italiana– Vol I – UTET- Torino Archi disegno di Luciano Scali |
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