MURLOCULTURA
n. 5/2006 |
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LETTERE AL DIRETTORE di Sandro Scali |
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Riceviamo e volentieri pubblichiamo la seguente lettera diretta a: Daniele Cortonesi – Presidente del Circondario delle Crete Senesi Caro Cortonesi, sono passati diversi mesi da quando, a margine di un incontro al Consiglio Comunale di Murlo, ti dissi che ti avrei fatto conoscere le mie riflessioni a proposito delle strutture organizzative istituzionali esistenti a governare il nostro territorio e quello nazionale. Ho deciso lo stesso di buttarli giù in alcune righe a tanto tempo di distanza. Anche perché, come ebbi occasione di dirti, si tratta di idee “atemporali”, nel senso che sono senza tempo e/o fuori del tempo. I riferimenti sono al nostro territorio per una maggiore comprensione, ma il problema tocca ovviamente la struttura organizzativa del territorio nazionale. Il mio ragionamento nasce dalla constatazione che ormai da molto tempo i nostri piccoli comuni - per noi Murlo, Monteroni d’Arbia, Buonconvento, Chiusdino, come altre migliaia di simili in Italia (sono esattamente 5863 i comuni italiani sotto i cinquemila abitanti) - non sono più strutturalmente adeguati a rispondere alle loro fondamentali funzioni: rispondere ai bisogni dei cittadini e gestire con efficacia il loro territorio. Non certo per l’incapacità delle persone che li amministrano, ma per il loro stesso “modo di essere” (abitanti/dimensione/territorio) e per la mancanza di una massa critica economico-finanziaria che consenta di affrontare con adeguatezza i sempre più diversificati e crescenti bisogni della cittadinanza e del territorio stesso. Che ciò sia reale si può vedere dal crescere e dall’affermarsi negli ultimi anni a livello nazionale, come anche nella nostra provincia/regione, di consorzi, di istituzioni “sovracomunali” (Comunità Montane, Comprensori….) costituite appunto per cercare di superare i limiti emergenti sopra citati. Queste istituzioni nascono fondamentalmente con lo scopo di “accorpare” territori, gestire servizi per più comuni, organizzare attività a livello sovracomunale, per ottimizzare le scarse risorse. Si tratta senza dubbio di validi tentativi, introdotti dalla legislazione, per sopperire alle limitate “capacità comunali”, che peraltro tendono a rimanere, da un lato, modesti palliativi per come sono “strutturalmente” organizzati, e dall’altro, potrebbero, rimanendo come sono, anche aggravare nel tempo i costi complessivi afferenti un territorio. Queste nuove istituzioni sono nate (secondo i poteri conferiti dalle leggi nazionali e regionali) e nascono, mi sembra, già limitate nella loro “capacità operativa” e qualche volta “viziate” al momento della loro costituzione. Per chiarire meglio questo secondo aspetto che riguarda il territorio che devono gestire, si può fare riferimento ai casi a noi vicini della Comunità Montana della Val di Merse e del Comprensorio delle Crete. Un primo fondamentale aspetto per un buon duraturo funzionamento dovrebbe essere l’omogeneità del territorio: omogeneità storico- culturale certamente, ma anche omogeneità geografico-economica, omogeneità dei bisogni della popolazione. A questo proposito esistono fin dagli anni 60 delle carte che ridisegnano il territorio italiano in conformità a parametri che tengono conto di tutti gli aspetti principali per razionalizzare le aree territoriali indipendentemente dai confini “ufficiali” comunali, che molto spesso, per non dire quasi sempre, sono stati superati dalla realtà quotidiana. Sotto questo punto di vista, certamente il territorio della Comunità Montana della Val di Merse non corrisponde a tali requisiti: come sono omogenei Casole e Radicondoli, in Alta Val d’Elsa, con gli altri comuni della Val di Merse? Casole e Radicondoli sono “altre” realtà, seguono direttrici di sviluppo e percorsi diversi, hanno centri di attrazione economica e di lavoro diversi, trasporti e strade diversi. Anche se in modo non così evidente, sono altrettanto perplesso che anche il territorio del Comprensorio delle Crete risponda a tali requisiti: quale omogeneità esiste tra la Val d’Arbia e Asciano? I percorsi per andare al maggiore centro di attrazione (Siena) sono diversi. Come fare una politica di trasporti per il Comprensorio, ad esempio? Ma il problema più rilevante rimane la capacità decisionale, il tipo di potere che queste “strutture organizzative” hanno. L’approccio gestionale è ancora troppo “timido”, i Comuni sembrano coinvolti ma vogliono conservare le loro autonomie, in qualche caso sembra si tratti non di un approccio organizzativo definitivo e dinamico, ma quasi una scelta volontaria dalla quale recedere non appena possibile. Prevale ancora un concetto di semplice coordinamento, di una delega limitata in alcuni settori operativi, non di delega precisa, con il passaggio del “potere” reale dal singolo comune alla Comunità/Comprensorio. Mi rendo conto che è difficile in un paese in cui il campanilismo, le diffidenze e le gelosia sono ancora imperanti. Ma non si fanno - mi sembra – veri sforzi per superare questi vecchi concetti. Pensare che abbiamo, in questa provincia/regione, un grosso vantaggio, derivante da una omogeneità di “parte politica” che potrebbe essere utilizzata per realizzare questo obiettivo. Da un lato, per spiegare informare promuovere l’obiettivo della legge istitutiva di queste “aggregazioni comunali” alla popolazione votante, che ancora in buona parte nutre un atteggiamento abbastanza “fideistico” verso la “sua” parte politica; dall’altro, l’omogeneità politica dovrebbe favorire un approccio coordinato e costruttivo per la realizzazione definitiva di strutture efficienti. Ma in realtà questi aspetti organizzativi non fanno parte delle cose che normalmente vengono dette, nessuno – che io sappia – ha spiegato ai cittadini di un comune cosa significa entrare nella “Comunità/Comprensorio”, che la ratio delle leggi che hanno istituito queste aggregazioni è quella di favorire le “fusioni” di due o più comuni, che la legge prevede benefici economici e finanziari per i comuni che si fondono. Non è politicamente corretto dirlo ai cittadini e spiegare le ragioni perché ciò è necessario? Come spiegare oggi, dopo quello che si è fatto in questo campo, che non è più sostenibile una struttura organizzativa nazionale costituita da Stato centrale, Regioni, Province, Comunità/Comprensori/Circondati, Comuni, che spesso in molte materie costituiscono delle sovrastrutture generatrici solo di costi e di nessun valore aggiunto ? Come ho detto all’inizio, questi pensieri, queste idee sono “atemporali”, nel senso che non appartengono al passato, quando si sarebbe dovuto operare in questa direzione; non appartengono al presente, poiché non hanno cittadinanza politica in alcun partito (o solo in elites all’interno degli stessi); non apparteranno al futuro, perché penso che nessuno avrà il coraggio di affrontare alla radice il problema organizzativo del territorio di questo paese. A onor del vero, nella recentemente approvata legge finanziaria, vengono ulteriormente date indicazioni, prescrizioni e pressioni per l’attuazione delle unioni di comuni, con prospettive di vantaggi economici. Ma ancora una volta l’argomento è rimasto ovattato, è rimasto nella stanza degli addetti ai lavori. Quando invece la chiara comprensione di queste necessità e un largo consenso a livello delle popolazioni interessate, da un lato, una illuminata e decisa guida dall’altro sono insieme indispensabili alla realizzazione di questo obiettivo: cioè la creazione di strutture organizzative territoriali efficienti, sotto il profilo dei costi, ed efficaci, nella loro capacità del soddisfacimento dei bisogni, attraverso l’accorpamento di più comuni piccoli in un solo comune (comunità, unione, comprensorio, il nome non ha grande importanza) più grande. Si tratta di un intervento che può arrivare a toccare quasi settemila comuni, riducendoli a meno di un terzo. Naturalmente, in questo nuovo quadro organizzativo di base, dovranno essere ripensate le funzioni delle province (bene ha fatto il governo a bloccare la nascita di tre nuove province), forse fino al trasferimento delle loro funzioni, parte verso la regione e parte verso i “nuovi” comuni. Il raggiungimento di questo traguardo, pianificato e realizzato in tempi ragionevoli, sarà in grado di liberare, a livello nazionale, risorse economico finanziarie da fare impallidire diverse “finanziarie”. Gli strumenti legislativi esistono e gli incentivi finanziari anche: si tratta di avere la volontà di utilizzarli. Ti ringrazio della tua attenzione e a tua disposizione per una discussione più approfondita. Camillo Zangrandi
Di seguito, un'altra lettera giunta in redazione: Egregio Direttore, Sono un lettore affezionato del vostro giornalino dove trovo sempre notizie nuove su Murlo e l’interessante rubrica il muratore. A proposito d’archi io non sono un intenditore, ma quelli del porticato del Comune non mi sembrano fatti bene nemmeno visti da lontano. Ora vorrei fare una domanda: ma voi glielo date il giornalino al Comune oppure no? E se glielo date siete sicuri che lo leggano? Se l’avessero fatto ci sarebbero stati più attenti e archi brutti a quel modo non sarebbero venuti fuori. Distinti saluti. Lettera firmata
Per competenza lascio risposta e commento a Luciano Scali curatore della rubrica “Il Muratore”. Ringrazio “l’affezionato lettore” per avermi dato l’opportunità di esprimere un’opinione personale nei confronti degli “archi a tre centri” dei quali si fregia il porticato della Sede Comunale anche se non amo polemizzare su questioni di esecuzione dei lavori poiché ritengo che chi li esegue, cerchi sempre di fare del proprio meglio affinché riescano bene. Non so proprio dirle se la mia rubrica che tratta gli argomenti inerenti la tecnologia occorrente ad eseguire opere di muratura ormai in disuso, venga letta o presa in considerazione data la limitata diffusione del nostro giornalino ma, l’averlo o meno fatto non c’entra nulla con la corretta esecuzione degli archi. Se non erro avevo già accennato che, nelle moderne costruzioni, l’arco riveste una prevalente funzione decorativa e pertanto deve essere prestata la massima attenzione affinché venga realizzato a regola d’arte. Purtroppo nel caso citato, non si è sentita la necessità di uniformarsi a tale esigenza dando luogo così a critiche che anche persone “non competenti”, come lei ama definirsi, hanno ritenuto di esprimere. L’arco a tre centri non è altri che una semi ellisse appoggiata sul suo asse longitudinale, capace di assumere infiniti profili col variare dei suoi parametri di riferimento ai quali occorre adeguarsi con scrupolosità. Se il manufatto in questione dovrà presentarsi “fortemente schiacciato” per necessità costruttive, le sue parti terminali saranno caratterizzate da porzioni d’arco con raggio ridotto e quindi molto strette. Simili caratteristiche costringeranno l’esecutore ad intervenire pesantemente sui singoli conci (mattoni) per non fare apparire abnormi e troppo evidenti le commettiture tra loro. Regola vorrebbe che gli spessori dei conci aggiustati, fossero eguali tra loro in ogni punto dell’arco ed anche quelli delle commettiture in modo da conferire alla struttura finita un aspetto di uniformità. La realizzazione corretta degli archi di cui si tratta, presupponeva una capacità esecutiva straordinaria ed un maggior lasso di tempo a disposizione. Se in fase progettuale si era optato per una esecuzione “a faccia vista”, era forse più logico ripiegare su archi a sesto ribassato dall’ampio raggio e ridotta freccia eliminando così le estremità critiche, continuando a servirsi della randa anziché ”andare ad occhio” come, invece è stato fatto. Anche i mattoni usati non erano adatti alla bisogna: molto compressi e con fori, quindi da potersi aggiustare solo facendo ricorso alla fresa. A questo punto potrebbero prefigurarsi due situazioni possibili: rimediare in qualche modo intonacando il tutto, oppure lasciare le cose come stanno, quale esempio di come non debbano realizzarsi archi a tre centri con freccia molto limitata. |
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