MURLOCULTURA
n. 5/2006 |
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RIFLESSIONI
Cambiare un assetto territoriale consolidato o aggiornarlo nel rispetto dell’esistente? Murlo... come? di Luciano Scali |
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Ero
molto giovane al termine della guerra allorché iniziai ad
osservare la mia città con occhio diverso da come l’avevo
sempre vista. Presi a leggere qualche piccola pubblicazione ed a
visionare le piante “del Vanni” che mostravano la
città di Siena “a volo d’uccello”. Ricordo
d’aver scoperto realtà diverse da quelle che mi erano
familiari tra le quali facevano spicco le scomparse chiese di San
Pellegrino e di San Pietro Buio, la Castellaccia di Camollia e una
lunga schiera di torri che, se ancora presenti, non avrebbero avuto
nulla da invidiare a San Gimignano. Ebbene: quando mi resi conto delle
mutazioni avvenute, anche se ritenute utili a quel tempo, provai una
sensazione alla quale non riuscii a dare un connotato preciso. Forse si
trattava di una specie di smarrimento o qualcosa che gli assomigliasse
molto. Ma l’effetto maggiore mi fu procurato
dall’osservazione più attenta dell’ambiente ove si
potevano individuare tracce di molte strutture ritenute scomparse ma
invece integrate in altre posteriori che vi si erano sovrapposte
modificandole. Notai lo stesso fenomeno in ogni paese o città
ove mi recavo, quasi che il tempo simile allo stillicidio d’acqua
dalla volta di una grotta, lambisse la pietra sul terreno per
ricoprirla poi di calcare fino ad inglobarla nello stalagmite. Mi
domandai allora se avesse ancora un senso continuare a chiamare
“Siena” il luogo dove vivevo, pur non immaginando
l’entità dei cambiamenti ai quali sarebbe stata sottoposta
in seguito con l’assalto della periferia alle colline circostanti
ed il soffocante abbraccio attorno alle mura. Una rapida metamorfosi da
farla apparire totalmente diversa agli occhi di chi l’aveva
conosciuta davvero. La domanda di quel tempo è più
attuale che mai e ben si adatta alla realtà del castello di
Murlo, interessato ogni giorno di più dal proliferare di piccole
costruzioni che, al pari della mitica “Araba fenice” si
rigenerano da antiche capanne, parate e porcilaie per divenire
altrettanti appartamenti stringendolo sempre più
d’appresso. Se a questi si aggiungono poi realizzazioni ex novo,
dalla discutibile utilità e in luoghi dove non avrebbero dovuto
essere nemmeno pensate, allora la domanda si fa più pressante e
drammatica. “Consiste forse in questo lo sviluppo al quale ci si
riferisce ogni qualvolta si decidano interventi sempre più
azzardati sul territorio sottraendogli fette ulteriori della sua
identità?” Occorre, una volta per tutte sfatare
l’idea dell’esistenza di una precostituita opposizione
verso qualsiasi forma di progresso poiché nessuno è
disposto a rinunciare ad una parte di quanto conquistato. Esistono
però limiti invalicabili oltre i quali non si può andare
senza innescare una spirale irreversibile a profitto di pochi ma a
danno dell’intera comunità. Per dare un senso responsabile
al sostantivo “sviluppo”, occorrerebbe aggiungervi sempre l’aggettivo “sostenibile”,
spesso volutamente dimenticato. Esistono nel nostro territorio
“Icone” intangibili alle quali accostarsi con rispetto
poiché costituiscono il riferimento di tutte le campagne
sostenute fino ad oggi da istituzioni e privati, intese a presentare il
territorio di Murlo come un “unicum” nella nostra provincia
e quindi da proteggere con fermezza. La nostra Associazione, secondo le
sue possibilità e mezzi, si è attivata anche
quest’anno con iniziative aperte a tutti e con programmi
presso le scuole, per spingere giovani e non, verso la scoperta di
“luoghi sensibili” da tutelare in futuro contro gli
inesauribili appetiti speculativi. Ormai l’insistenza con la
quale continuiamo a sostenere argomenti simili ad ogni uscita di Murlo
Cultura, ci fa apparire patetici perfino ai nostri occhi
poiché mette a nudo la nostra impotenza a far comprendere che l’avvenire
di Murlo sta nel mantenimento della sua diversità anziché
nel volerlo rendere simile agli altri ad ogni costo.
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