MURLOCULTURA
n. 5/2008 |
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IL MURATORE di Luciano Scali Quattordicesima puntata |
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Nell’addentrarsi nei meandri
della costruzione delle volte, stupisce non tanto il modo seguito per
costruirle quanto l’arditezza nel concepirle. In effetti si trattava di
sollevare a notevoli altezze materiali pesanti che dovevano mantenersi
in loco solo per mutuo contrasto visto che potevano lavorare unicamente
a compressione. Sono convinto che oggi ben pochi architetti, anche tra
quelli più prestigiosi, se la sentirebbero di prendersi le
responsabilità che si assunsero i loro colleghi del passato. E’ utile
sapere che per fregiarsi di tale appellativo, occorreva divenire
maestri d’opera con duri tirocini nelle botteghe artigianali e nei
cantieri ove non si disdegnava improvvisarsi operai per fare ben
comprendere a quest’ultimi il lavoro che erano chiamati a svolgere.
Spesso, coadiuvati da falegnami e mastri d’ascia, costruivano piccoli
modelli in scala del lavoro finito proprio per consentire lo studio
delle strutture a coloro che dovevano organizzare l’approvvigionamento
dei materiali e la loro lavorazione (Fig. 1). Fig. 1 - Un modello in scala I tempi di esecuzione erano di lunga durata e i problemi in campo assai complessi: era necessaria la più attenta riflessione per affrontarli e risolverli con successo. Qualche giorno fa, in occasione della conferenza tenuta a San Giovanni d’Asso dal dottor Stefano Campana, ho avuta di nuovo l’opportunità di recarmi nella cripta di San Pietro in Villore e di scattare la foto di una volticina a cupola apparentemente primitiva, realizzata con pietre grezze poste senza alcun intento estetico che mi ha richiamato alla mente il fornello approntato di volta in volta dai fornaciai addetti alla “cottura delle pietre balzane” per farne calce (Fig. 2). Fig. 10 - La volta della cripta di S. Pietro in Villore a S. Giovanni d'Asso.
Il
risultato pratico è evidente, in netto contrasto con le esili colonne a
sostegno dell’intera struttura e con le raffinate decorazioni
dell’assetto stilistico della facciata. Quanto cammino dalla piccola
pieve delle crete alla maestosità delle cattedrali romanico gotiche del
nord, anche se il concetto di “volta per contrasto” era nato da quanto
accennato inizialmente ed affinato in seguito fino a farlo divenire
sistema dalle chiare identità stilistiche. Fig. 4 - Confronto tra la Torre del Mangia e la Cupola di San Pietro. Va bene che si trattava di architetti come il Bramante, Michelangelo, il Porta e il Fontana, ma è pur vero che qualcuno di questi signori riusciva ad eccellere anche in altre discipline con successo ancor maggiore. Con questo non è detto che anche allora le cose filassero lisce come oggi si potrebbe supporre, poiché anche per la cupola di San Pietro furono necessari massicci interventi per assicurarne la definitiva stabilità. Ne furono protagonisti a metà del settecento: Giovanni Poleni e Luigi Vanvitelli con opere murarie a “cuci e scuci” per suturare le lesioni venutesi a creare e la posa in opera di sei cerchiature di ferro fucinato che la fasciassero per contrastarne la tendenza a “sfiancare” verso l’esterno a causa dei carichi congiunti della lanterna e delle strutture non controbilanciati da adeguato rinfianco, o meglio, in questo caso, dalle ridotte sezioni dei costoloni e del tamburo a supporto degli stessi che avrebbero dovuto avere dimensioni maggiori. Non potendo intervenire in tal senso su dette strutture, gli architetti di cui sopra ricorsero alla posa in opera delle cerchiature che sono risultate, fino al giorno d’oggi il giusto rimedio [1]. Ma ritornando alla volta a crociera con nervature di Bayeux, ci accorgiamo che differisce nella sua costruzione da quelle di cui avevamo parlato nei precedenti numeri dove le quattro porzioni componenti la volta venivano completate da file di semiarchi a contrasto tra la nervatura ed il muro portante perimetrale. Se osserviamo bene l’esecuzione delle porzioni di volta a crociera di Bayeux, è possibile notare come i filari che le compongono sembrano apparentemente in linea con i loro assi di simmetria (a=90°), tali da far apparire gli spicchi come tradizionali volte a botte, ma in effetti se ne discostano di qualche grado (a<90°). Infatti osservando bene si nota una certa tendenza del filare ad appoggiarsi verso le imposte delle nervature col chiaro intento di creare un effetto arco a favore della stabilità tra le pareti e le nervature stesse ma senza “dare troppo nell’occhio” (Fig.5). Fig. 5 - Confronto tra la volta a botte (a sinistra) e la volta della cattedrale di Bayeux (a destra). Tale ricercatezza trova spiegazione nel dover presentare tutto il manufatto “a faccia vista” e non coperto da intonaco al quale vien fatto spesso ricorso per mascherare esecuzioni di dubbio valore estetico. (continua nei prossimi numeri) [1]
Mario Como, “Sulla storia del restauro statico della cupola di San
Pietro in Roma eseguito da Poleni e Vanvitelli”, pgg. 981-990. |
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