MURLOCULTURA
n. 5/2008 |
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di Carolina Lombardi e Gianfranco Parati |
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Chi
l’avrebbe mai detto! Eppure talvolta i sogni finiscono per avverarsi,
magari sotto forma di spedizione scientifica alla ricerca di un
qualcosa che il profano non riuscirebbe mai a immaginare. Cose che si
nascondono nei meandri più profondi della mente e dei quali non se ne
conosce l’esistenza ma che riescono a condizionare il carattere e i
comportamenti delle persone. “E c’era proprio bisogno di andare in cima
ai monti più alti del mondo per scoprire quello che uno nasconde dentro
alla testa?” Sembra proprio di si e lo dimostra il fatto che Carolina
Lombardi non c’è andata da sola ma insieme ad una numerosa equipe di
tecnici, affiatata e dotata di larghi mezzi per giungere allo scopo
prefissato. Siamo contenti ed orgogliosi che una ragazza di Murlo abbia
avuto l’opportunità e i requisiti per partecipare a una così
prestigiosa avventura ove non si trattava di recarsi in un luogo
affascinante solo per diporto, bensì per acquisire nuove conoscenze con
esperimenti che altrove sarebbe stato impossibile effettuare.
Dopo quasi 11 giorni di viaggio in progressiva ma calibrata salita, i 49 partecipanti alla spedizione scientifica HIGHCARE (High Altitude CArdiovascular Research),
accompagnati dai portatori sherpa e da una mandria di yak dalle lunghe
corna e dal pelo variabilmente sviluppato, hanno raggiunto il campo
base dell’Everest sul versante nepalese (data l’impossibilità per gli
occidentali di utilizzare il versante tibetano per i noti problemi
politici con la Cina). Attrezzature professionali da alpinismo per
altissima quota e strumenti scientifici tra i più sofisticati e
innovativi, necessari per studiare la fisiologia e fisiopatologia umana
sopra i cinquemila metri, sono stati portati da Milano sino alla quota
di 5400 m, alla base dell’Everest, con i mezzi di trasporto più vari.
Dai Modernissimi jet quali
l’Airbus A340 o il Boeing 777 agli autobus sferraglianti e scalcinati.
E poi i piccoli e datati aeroplani ad elica, che solo un benevolo
occhio divino ha aiutato a volare bucando a vista nuvole dense.... E’
un volo che nessuno dimenticherà più nella vita, si sorvolano le
vallate vedendo in lontananza la catena hymalaiana, ti senti
accarezzare i piedi dai fiumi sinuosi e trattieni il fiato fin quando
non senti che, incredibilmente, l’aereo è fermo, sei sano e salvo sulla
cortissima pista di atterraggio di Lukla, a 2800 mt, compressa tra uno
strapiombo e una parete di roccia verticale. Nuova
tappa... nuovo mezzo di trasporto! I mastodontici elicotteri militari
russi, su cui siamo saliti di corsa come una vera truppa da sbarco, che
ci hanno aiutato a spostarci ancora più in alto, a Namche Bazar (3500 m
s.l.m.). L’ultimo
pezzo, quello più duro, sarebbe stato poi impensabile senza l’aiuto
degli yak e di quel popolo meraviglioso degli Sherpa tibetani. La
carovana si estendeva a perdita d’occhio lungo la valle del Kumbu, ed
era composta oltre che dai 49 membri del team internazionale anche da
oltre 200 portatori carichi della strumentazione e da decine di Yak. Il
21 settembre, la spedizione raggiungeva le tende del campo,
frettolosamente e approssimativamente rimesse in piedi, nell’arco di 24
ore, dopo essere state abbattute dal poderoso spostamento d’aria
causato da una gigantesca valanga caduta a poche centinaia di metri. Il
giorno dopo, 22 settembre, il campo base dell’Everest era attraversato
da una frenetica attività. Medici (cardiologi, internisti, neurologi,
neuropsicologi, ematologi, endocrinologi), ricercatori, dottorandi,
specializzandi, studenti, infermieri, ingegneri, guide alpine e
semplici volontari erano tutti impegnati a togliere le attrezzature dai
sacconi e dalle valigie ipertecnologiche -a prova di urto e umidità-
portate dagli sherpa e dagli yak. Venivano attrezzate oltre alla
piccole e gialle tende a igloo personali, anche le tende laboratorio
blu intenso, e la tenda laboratorio-soggiorno a geode arancione, dando
forma sul ghiacciaio ad un colorato villaggio “highteck”. Qui
avrebbe operato per quasi due settimane la imponente spedizione
HIGHCARE 2008, organizzata dall’Istituto Auxologico Italiano in
collaborazione con l’Università di Milano Bicocca, e patrocinata dalla
Regione Lombardia (Assessorato Sanità) e dal CAI (Club Alpino
Italiano). L’obiettivo era studiare gli effetti dell’ipossia ipobarica
sul corpo umano, facendo uso di costosissimi contenitori a tenuta per
l’azoto liquido, necessario a conservare i numerosissimi campioni di
sangue prelevati ad una temperatura di -80 gradi per successive analisi
di proteomica e genomica, e utilizzando attrezzature moderne o
addirittura sperimentali per la raccolta di dati cardiorespiratori e
neurologici. Tra queste le magliette MagIc, con inclusi sensori
indossabili in fibre di tessuto conduttore, appositamente studiate per
effettuare registrazioni continue di ECG e frequenza cardiaca, attività
respiratoria e movimenti del corpo sia durante il sonno in tenda, sia
durante la scalata. Non mancavano poi registratori portatili per le
polisonnografie, per il monitoraggio in continuo dei parametri vitali
quali pressione arteriosa e frequenza cardiaca sui volontari, per gli
ecocardiogrammi e per la rilevazione della rigidità arteriosa. Il
tutto tra notevoli difficoltà e inconvenienti tecnici, compresa la
scarsa performance dei generatori di corrente elettrica a benzina, che
poco bruciava in carenza di ossigeno, la difficoltà a garantire un
riscaldamento decente alle tende laboratorio per la riluttanza a
carburare delle stufette a gas ( più che calore nell’aria emanavano in
effetti gas non combusto...), e la progressiva moria di computer
portatili, il cui disco rigido andava in blocco, uno dopo l’altro, per
la bassa pressione atmosferica, come si legge sul diario on-line
aggiornato sul sito www.highcare2008.eu. L’importanza
e l’unicità di questa spedizione era stata sottolineata durante la
sosta del gruppo a Kathmandu dall’ottantaseienne lady britannica
Elizabeth Hawley, forte della sua pluridecennale esperienza come
certificatrice e testimone storica vivente di tutte le spedizioni
Himalayane fatte sino ad ora. Mrs Hawley aveva definito la spedizione
HIGHCARE 2008 “la più grande spedizione scientifica mai organizzata
sull’Everest”. La spedizione HIGHCARE è stata ideata, progettata e
realizzata da Istituzioni e ricercatori italiani, ma ha però una solida
dimensione internazionale, fortemente voluta dal suo promotore e
coordinatore, il Prof. Gianfranco Parati, primario di cardiologia
all’Istituto Auxologico Italiano di Milano, e professore straordinario
di medicina interna all’Università di Milano-Bicocca. Ricercatori,
trekker e alpinisti erano in effetti provenienti non solo da Italia, ma
anche da Polonia, Germania, Francia, Svizzera, Stati Uniti d’America e
naturalmente Nepal. La
preparazione di questa spedizione si era basata su una serie di
ricerche preliminari, condotte per quattro anni in cima al Monte Rosa
presso la Capanna Margherita a 4559 m. La sua realizzazione, supportata
dall’Istituto Auxologico Italiano e dall’Università di Milano-Bicocca, è
stata possibile grazie a notevoli finanziamenti da parte di sponsor
pubblici e privati, tra cui Boehringer Ingelheim Germania e Banca
Intesa San Paolo. Il suo obbiettivo consisteva in “uno studio
approfondito degli effetti cardiorespiratori, metabolici, ematologici e
neurologici dell’ipossia ipobarica prolungata, e nel valutare
l’efficacia di interventi correttivi farmacologici e non farmacologici
per prevenire e curare
il male acuto di montagna e per identificare nuove prospettive
terapeutiche per i pazienti affetti da ipossia cronica” come indicato
nella presentazione ufficiale sul sito web www.highcare2008.eu.
Come sottolineato dal Prof. Parati, queste ricerche “utilizzano
l’ipossia ipobarica in alta quota come un modello sperimentale per
esplorare la fisiopatologia di alcune malattie croniche connesse con
l’ipossia tissutale, quali lo scompenso cardiaco, la malattia polmonare
ostruttiva cronica, l’ipertensione arteriosa associata alla sindrome
delle apnee notturne e l’obesità severa”. Numerose sono state le novità
sperimentate durante la ricerca al campo base e durante il tentativo di
ascesa all’Everest. Ricordiamo in particolare la “maglietta” MagIc, un
prototipo basato sull’uso di sensori indossabili messo a punto dagli
ingegneri del Polo Tecnologico della Fondazione Don Gnocchi di Milano,
utilizzata sia per
registrazioni dinamiche ECG secondo HOLTER che per polisonnografie
notturne soprattutto negli alpinisti che sono riusciti per la prima
volta a registrare tali parametri a quote superiori ai 5500 m. Un’altro
sottoprogetto riguarda un farmaco comunemente utilizzato per il
trattamento dell’ipertensione arteriosa, il Telmisartan, di cui si è
voluto testare la capacità di regolare la risposta all’ipossia
ipobarica attraverso il blocco selettivo del recettore AT1
dell’angiotensina II. Il
protocollo HIGHCARE 2008 prevedeva la registrazione non invasiva
battito a battito di pressione e frequenza cardiaca per studiare la
regolazione nervosa dell’apparato cardiovascolare, il monitoraggio
della pressione arteriosa per 24 ore, lo studio della attività
metabolica, la valutazione della rigidità arteriosa, e lo studio delle
caratteristiche del sonno in alta quota, separatamente in uomini e
donne che in HIGHCARE erano rappresentati in numero quasi eguale. Come
si legge sul diario HIGHCARE, “inoltre, abbiamo cercato di valutare gli
effetti di contromisure non farmacologiche quali la ventilazione
meccanica a pressione positiva delle vie aeree (CPAP) e il respiro
lento controllato. Abbiamo inoltre poi esplorato la relazione tra le
variazioni nei parametri biologici e nei parametri meteorologici quali
la temperatura, l’umidità e l’esposizione alla radiazione UV”. Il
gruppo di guide alpine capeggiato da Armin Fisher e Fabio Iacchini si è
infine cimentato nel compito di effettuare raccolta di dati biologici
alla quota più alta possibile, cercando di raggiungere la vetta
dell’Everest. Purtroppo le avverse condizioni meteorologiche, e le
continue valanghe che hanno causato feriti nel piccolo gruppo di
alpinisti francesi che hanno affiancato HIGHCARE al campo base, non
hanno consentito alla spedizione la conquista dell’Everest, ma non
hanno impedito raccolta di dati a quote intorno ai 6700 metri. Terminate
le ricerche, sulla via del ritorno, il gruppo di medici e ricercatori
milanesi capeggiato dal prof. Parati ha potuto recarsi a Kunde,
all’ospedale fondato da Hillary a sostegno della popolazione della
valle (circa 8000 persone), a cui sono stati donati i numerosi farmaci
non utilizzati nel corso della spedizione. E’ stata poi visitata la
scuola elementare di Namche Bazar, frequentata da circa 90 bambini dai
4 ai 10 anni, a cui è stato donato il sofisticato sistema di pannelli
solari e invertitori di corrente elettrica utilizzato da HIGHCARE al
campo base dell’Everest, che permetterà alla scuola di avere energia
elettrica
quotidianamente durante le ore di lezione. Dobbiamo dire che ciò che
abbiamo potuto lasciare in quei luoghi magici non è che “piccola cosa”
rispetto a tutto ciò che quei luoghi e quelle persone ci hanno
regalato. Ognuno dei partecipanti ha portato a casa qualcosa che niente
cancellerà, l’umanità, l’ospitalità, la generosità, la dignità di un
popolo che pur vivendo in condizioni climatiche estreme e con
pochissime risorse economiche non ha mai risparmiato ad ognuno di noi
un sorriso, uno sguardo profondo ed un sostegno impagabile. Ci siamo
portati a casa gli occhi dei bambini che gioivano per
il semplice regalo di una matita, delle donne che lavoravano per
strada, degli uomini che portavano i nostri pesi e che cucinavano per
noi. Ora,
tornati a Milano, è iniziata la parte forse più impegnativa e
certamente più eccitante dal punto di vista scientifico: la
elaborazione e analisi dei dati raccolti, ed ognuno di noi, all’interno
dei propri laboratori analizza con entusiasmo i tracciati, portandosi
un pezzo di Nepal nel cuore. Carolina Lombardi, Gianfranco Parati Università di Milano-Bicocca e Istituto Auxologico Italiano, IRCCS, Milano |
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