MURLOCULTURA n. 5/2008

Il saccheggio
della rocca di Crevole

Dopo l’abbandono del castello, smantellato dalle truppe imperiali durante la Guerra
di Siena, è proseguito, ininterrottamente fino ai nostri giorni, il saccheggio dei rude

di Giorgio Botarelli

Associazione Culturale di Murlo
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Il castello di Crevole, per secoli prestigioso possedimento dei vescovi di Siena, viene definitivamente abbandonato a metà Cinquecento dopo essere stato smantellato e ridotto a rudere dalle truppe ispano-medicee nel corso degli eventi che avevano caratterizzato la cosiddetta Guerra di Siena. E’ il settembre 1555 quando, caduta ormai da qualche mese la città, il conte Sforza, alla testa dell’esercito imperiale, cinge d’assedio la fortezza di Crevole, assaltandola ripetutamente con la fanteria. La guarnigione a difesa della rocca, capitanata da Faustino da Perugia, riesce a respingere gli assedianti per quattro volte, sinché, intuita l’inutilità di un’ulteriore resistenza, fugge dalla rocca con una sortita notturna e si rifugia in Montalcino [1]. Lo Sforza, invaso il castello, ne fa guastare le mura, riducendolo ad un ammasso di rovine che mai più verrà ricostruito.

Negli anni successivi, l’opera di demolizione di quanto rimasto in piedi proseguirà lenta ma inesorabile fino ai nostri giorni, in parte dovuta al naturale deterioramento che subisce con il tempo ogni struttura abbandonata a se stessa, in parte dovuta all’intervento di quanti intravidero nelle macerie del castello una comoda ed economica o anche redditizia fonte di materiali utili per essere riciclati altrove, ma soprattutto, come vedremo, nelle immediate vicinanze. A testimonianza di questo incessante stillicidio, restano vari processi intentati dall’autorità vescovile nei confronti di personaggi del posto e non, che, incuranti del divieto dell’arcivescovo di demolire ulteriormente le muraglie rimaste e di asportare qualsiasi oggetto rinvenuto sul luogo, buttavano giù muri, scale, volte e quant’altro per recuperare pietre conce, sassi e mattoni o scavavano alla ricerca di tutto ciò che potesse essere rivendibile, come ad esempio le ferraglie, tipo serrature, cardini, inferriate, chiodi o palle da cannone. D’altra parte, l’arcivescovo stesso concedeva talvolta il permesso di prelevare materiali dai detriti accumulatisi, senza però autorizzare l’abbattimento delle strutture ancora buone; l’antica fortezza, nonostante le disastrate condizioni in cui versava e che la rendevano inutilizzabile, doveva rimanere comunque imponente simbolo del potere vescovile, passato e presente, per cui mai l’arcivescovo ne avrebbe tollerata la completa distruzione. Fra i procedimenti per furto dai ruderi del castello o per danneggiamento delle residue muraglie, l’istruttoria di seguito illustrata, risalente all’ultimo decennio del Seicento, offre, con la varietà per estrazione sociale dei soggetti implicati, un singolare quanto verace spaccato di vita in un angolo della campagna del Vescovado di Murlo in quello scorcio di fine secolo [2]. Davanti ai funzionari dell’arcivescovo sfilano a deporre miseri pigionali di Crevole, un prelato senese con qualche possedimento in loco, un canovaio ed un merciaio di Vescovado, un fabbro di Casciano, un ballarino di Siena [3]. Ognuno con le proprie ragioni, ognuno con le proprie necessità: da un lato, povera gente con l’impellenza di rimediare un temporaneo lavoro per racimolare qualche soldo per la sopravvivenza giornaliera; dall’altro, il cittadino benestante che intende dotarsi di una residenza rurale per le sue villeggiature. Nel mezzo, modesti possidenti e artigiani locali che si arrangiano come possono per sbarcare anche loro il lunario.

 

Crevole, 19 maggio 1692

Agostino Vincenzo Palagi, coadiutore della cancelleria arcivescovile di Siena ed il canonico Giovan Battista Bidini, maestro di casa dell’arcivescovo, recatisi in ricognizione presso la rocca di Crevole, notano molte filaia di mattoni, quadrucci et altro lavoro da fornace buonissimo accatastati in vari luoghi, scavati da poco e ricavati dai resti della rocca; in particolare constatano che un muro maestro è stato abbattuto di recente e che sono stati smurati di fresco alcuni archi che anticamente reggevano una volta poiché nelle mura della rocca appaiono ancora le basi di tali archi. Inoltre, presso la casa di Ansano Perpignani [4], posta nella piazzetta di Crevole, vedono ammonticchiati circa ottocento mattoni buoni per murare.

Conclusa l’ispezione e informatisi in giro su chi avesse sbattuto giù i muri ed eseguito il lavoro, fanno convocare nella sala del convento dei padri di Crevole [5], Giovanni Martelli e Giovan Battista Golini, abitanti del posto, per interrogarli in merito ai fatti [6].

 

Giovanni Martelli, nativo di Grotti, è pigionale da due anni di Giovan Battista Borghi del vicino podere dei Pianelli; interpellato se abbia veduto o sentito dire chi ha cavato i mattoni dalla rocca, risponde che vi ha lavorato anche lui, levandone pochi però, e che gli altri li han cavati Pietro Poggi, pigionale del Perpignani, Pietro Mocenni di Crevole e Giovan Battista Golini, pigionale di maestro Alessandro canovaio di Vescovado [7]. Il primo fra tutti a cavare detti ammannimi [8] fu comunque Pietro Poggi.

- Chi dette l’ordine di cavare i mattoni e quanto gli dava al giorno? prosegue il Palagi [9].

- Lo scorso novembre, andando un giorno a cercar di guadagnarmi un poco di pane, mi vide il Perpignani secolare [10] e mi chiese se avevo voglia di cavare un po’ di mattoni dalla rocca. Gli dissi di sì, mentre per il compenso stabilì di non fare a giornate ma a un tanto il cento.

- Quanti giorni ha lavorato e a che prezzo?

- Sei giorni e mi menava buono nove crazie per cento di lavoro intiero [11].

- Quanto ha guadagnato in tutto?

- Otto lire, ma non ha finito di pagarmi perché non è venuto mai a contare i mattoni, e quelli che sono vicino alla sua casa li ho portati io assieme a mia moglie e ai miei figlioli.

- Da dove li ha cavati?

- Li ho cavati con uno zappone da viti da sotto terra nella rocca, in un luogo dove anticamente era una camera, ed erano fra due muri.

- Chiese al Perpignani se avesse licenza di farlo?

- No, perché avevo visto altri suoi pigionali al lavoro e avevo sentito dire che aveva il permesso.

- E da chi l’aveva avuto?

- Dall’arcivescovo.

- Da quanto tempo i pigionali del Perpignani scavavano i mattoni?

- Pietro Poggi faceva questo lavoro da quattro mesi, non di più.

- Com’è possibile che in tanto tempo un uomo abbia scavato solo i mattoni che si vedono accatastati intorno alla rocca?

- Non ne vedete una gran quantità perché la maggior parte di quelli scavati da Pietro Poggi sono andati al podere del ballarino, qui a Crevole [12].

- Sono state asportate anche pietre concie o quadrate e, nel caso, dove sono state portate?

- Per quello che ho veduto non manca altro che una pietra lunga un braccio [13] e larga altrettanto ma non so chi l’ha portata via.

- Ci sono stati altri che abbiano portato via detto ammannime?

- Pietro Mocenni ha portato alcuni mattoni alla casa di maestro Alessandro canovaio.

- Nello scavare ha trovato ferramenti o altri metalli fra quelle rovine?

- Non vi ho trovato altro che una campanella di ferro da attaccar a muri che vendetti ad Angiolo pizzicaiolo di Vescovado a sei quattrini la libbra per comprar tanto pane, e pesava tre libbre [14].

- Ha sentito o veduto se altri abbiano trovato degli oggetti metallici fra le rovine?

- Dai miei citti avevo sentito dire che Pietro Poggi una volta aveva trovato una palla di ferro fra quelle rovine, ma non so di che peso era e chi ce l’abbia ora.

Il Martelli viene quindi congedato: nel verbale è registrato come persona di circa cinquant’anni e più, miserabilissima.

 

Tocca poi ad essere interrogato a Giovan Battista Golini, nativo di Colle Malamerenda e pigionale da cinque anni di maestro Alessandro canovaio di Vescovado. In primo luogo gli viene chiesto se abbia mai lavorato alla rocca di Crevole e per chi.

- Si vi ho lavorato e lo facevo per Pietro Luci [15].

- Per quanto tempo ha scavato mattoni e in che quantità?

- Ho lavorato per circa un mese, ma solo un poco ogni giorno e avrò scavato circa un migliaio e mezzo di mattoni che sono ancora tutti accatastati nella rocca, poiché il Luci non ne ha fatti portare via nemmeno uno. Finora non è venuto a contarli ed io per acconto ho ricevuto dieci lire.

- Chi altro ha lavorato alla rocca?

- Ho veduto Giovanni Martelli pigionale del Borghi ai Pianelli, Pietro Poggi pigionale del Perpignani e Pietro di Domenico...che sta sul suo [16].

- Chiese al Luci se aveva il permesso di scavare?

- Non glielo chiesi perché mi cercò tramite Pavolo suo mezzaiolo: disse che mi avrebbe pagato ed io non cercai altro.

- Sa o ha sentito dire se Pietro Poggi e gli altri avessero licenza di scavare mattoni?

- Ho sentito dire dalla madre del Perpignani per il quale lavorava il Poggi che avevano la licenza da Siena.

- Chi altro ha avuto i mattoni?

- Sono andati via solo quelli del ballarino e quelli del Perpignani, che sono qui a Crevole. Maestro Alessandro invece ne ha presi un migliaio per rifare il forno della Comunità.

- Dove li ha portati maestro Alessandro?

- Sono nel mio orto, ce li ha portati Pietro che sta sul suo.

- Aveva il permesso maestro Alessandro?

- Non lo so.

- Ha trovato chiodi, gangari o altro metallo fra le rovine?

- Ho trovato quattro libbre di chiodi, due palle di ferro da artiglieria di quaranta libbre circa l’una e altri pezzi di palle simili che pesavano circa trentatre libbre. Vendei le due palle al Merlini, merciaio di Vescovado [17], a un soldo [18] le due (libbre) e presi tanto cuoio.

- Quanto ne ricavò in tutto?

- Due libbre e due oncie di cuoio e il resto in denari, per un totale di quarantacinque crazie, se non erro.

- Sa chi abbia abbattuto il muro dove prima era un sellarone [19]?

- Lo abbattè Pietro Poggi quando lavorava per il Perpignani.

- Che mese era quando vendette le palle al Merlini?

- Eravamo di Quaresima, tra marzo e aprile.

 

Lasciato andare il Golini, i funzionari dell’arcivescovo si recano immediatamente presso l’orto di maestro Alessandro, dove vengono rinvenuti, interrati vicino ai muri della casa, circa un migliaio di mattoni. Terminato il sopralluogo fanno ritorno a Murlo.

 

Murlo, 20 maggio 1692

Il giorno seguente, sono convocati a Murlo Pietro Poggi e Pietro Mocenni residenti a Crevole, e Alessandro Faleri canovaio di Vescovado. A Pietro Poggi, nativo della diocesi di Arezzo e da sette anni abitante a Crevole come pigionale del Perpignani, viene domandato se abbia visto dentro la rocca i mattoni accatastati da più parti e se sappia chi sia stato a fare il lavoro.

- Si li ho visti e in buona parte ho fatto io il lavoro.

- E chi dette ordine di farlo?

- Il prete Perpignani fu il primo, poi il Perpignani secolare e poi il ballarino.

- Che parole precise disse il prete Perpignani quando dette l’ordine?

- Trovandosi il prete a Crevole l’anno scorso d’agosto e girovagando io in cerca di lavoro, mi chiese se volessi andare a scavare dei mattoni nella rocca poiché gli servivano per la casa del suo podere e per altre case che aveva a Crevole. Gli risposi che l’avrei servito, ma non volevo esser molestato dalla giustizia, sapendo che quella era proprietà dell’arcivescovo. Mi rispose allora che aveva licenza di potersi servire di quanto gli occorresse, per cui cominciai sulla sua parola a scavare mattoni, e in più volte ne scavai circa millesettecento. Poi non ne volli più sapere, perché mi dava tanto poco del cento che io non ci potevo campare. Mentre stavo lavorando venne suo fratello, e poiché avevo paura gli domandai se in verità avesse il permesso di scavare: mi rispose che all’arcivescovo bastava che non si toccassero le mura castellane e la torre, per il resto potevo prelevare tutto ciò che mi serviva.

- Sa che nella rocca c’era una muraglia maestra che arrivava da un muro castellano all’altro per retta linea e sopra la quale vi era un sellerone?

- Si lo so, ma quando tagliai il sellerone venne giù quasi tutta da sola perché era fradicia, e di tutti quei mattoni se ne servì il Perpignani, dal quale avevo avuto l’ordine di sbatter dove e quello che volevo senza toccare le mura e la torre.

- Sa che c’erano due archi a uso di stanze di cui si vedono ancora le mensole nelle muraglie?

- Si, li ho sbattuti giù io su ordine del Perpignani e ho preso i mattoni.

- Sa o ha sentito dire che sia stato abbattuto un altro arco sotto cui anticamente c’era una cisterna?

- Si l’ho abbattuto io, sempre per ordine del Perpignani, ma ci cavai pochi mattoni perché si rompevano, dato che erano mura fradice, e li ha presi il Perpignani.

- Il Perpignani ha messo in opera i mattoni scavati?

- So che nella sua casa ha tirato su un tramezzo e ha impianellato una stanza.

- Hanno lavorato altre persone per il Perpignani?

- Martello di Crevole [20] ma non so in che quantità.

- Ha scavato dei mattoni per altre persone oltre al Perpignani e al ballarino?

- No, per nessun’altro.

- Quanti mattoni ha scavato per il ballarino?

- Circa sei migliaia tra mattoni, mattonelle e quadrucci.

- Ha mai sbattuto giù dei muri o degli archi per lui?

- I mattoni li ho presi sottoterra perché mi disse di non toccare le mura. E così feci.

- Sa se il lavoro per il ballarino sia stato messo in opera?

- Il ballarino ne ha fatti portare circa tremilaottocento al suo podere e i restanti sono accumulati nella rocca, e io non sono stato finito di pagare.

- Sa se maestro Alessandro abbia fatto scavare mattoni e in che quantità?

- Per lui li ha scavati Pietrino della Bechina di Crevole [21] ma non so quanti.

- Pietrino ha sbattuto dei muri?

- Non lo so.

- Aveva la licenza maestro Alessandro?

- Non lo so.

- Sa dove li abbia fatti mettere?

- Ho visto che ne aveva alcuni nel suo orto e non so altro.

- Ha trovato ferramenti di sorte alcuna nella rocca?

- Trovai un campanaccio tutto consumato dalla ruggine che ho in casa, e pesava circa una libbra; poi alcune bandelle di ferro tutte rugginose di circa due libbre che ho in casa e due palle di ferro di circa sessanta libbre che a marzo vendetti a Giovanni, fabbro di Casciano [22], a un soldo la libbra.

 

Finito con il Poggi, l’interrogatorio prosegue con Pietro Mocenni, nativo della Pieve a Corsano e da circa otto anni abitante a Crevole.

- Per chi ha scavato mattoni alla rocca?

- Me li chiese maestro Alessandro poiché disse che gli servivano per aggiustare il forno della Comunità di Crevole [23].

- Gli chiese se aveva il permesso?

- Non glielo chiesi ma dubitando di poterlo fare senza incorrere nella giustizia glielo dissi e lui mi rispose: ne cavano tanti gli altri, ne posso prendere pochi io che me ne voglio servire per la Comunità. Che t’importa a te, quel che fo io è ben fatto... e così mi misi a lavorare.

- Quanti mattoni ha scavato per lui e dove sono?

- Circa duemila e sono a casa di maestro Alessandro a Crevole, in un orto sotto le gronde di casa.

- Chi li ha portati?

- Io per ordine suo.

- Si vedono quei mattoni adesso?

- No perché sono coperti dalla terra.

- Chi li ha ricoperti?

- Io assieme a Giovan Battista Golini.

- Chi dette ordine di coprire i mattoni?

- Nei giorni passati venne a Crevole il vicario di Murlo con gli sbirri a vedere e contare i mattoni che dal ballarino e dal Perpignani erano stati fatti scavare, e siccome quei mattoni che avevo portato nell’orto erano scoperti e il vicario non li aveva visti, mastro Alessandro chiamò me e il Golini suo pigionale e ci disse di scavare una buca nell’orto e ricoprirli di terra in attesa che passasse quel momento, che poi sarebbe andato a chiedere licenza all’arcivescovo di poter rassettare con quelli il forno della Comunità.

- Quanti sono i mattoni sotterrati nell’orto?

- Circa un migliaio.

- Li ha scavati sottoterra o ha abbattuto delle muraglie?

- Li ho scavati sottoterra.

- Ha trovato anche ferramenti?

- No, niente.

 

E’ il turno quindi di Alessandro Faleri canovaio, nativo di Vescovado e residente nel luogo.

- E’ d’offizio alcuno nella comunità di Crevole?

- Sono camarlengo [24].

- E’ solito andare a Crevole?

- Ci vo di rado.

- Ha veduto ultimamente scavare mattoni nella rocca?

- Ho veduto della gente e fra questi Pietrone [25] e uno dei Golini.

- Sa per chi scavassero?

- Lo chiesi solo a Pietrone, e mi disse per il Perpignani e il ballarino.

- Gli chiese chi aveva dato il permesso?

- Pietrone disse che il Perpignani e il ballarino avevano la licenza, ma non disse se dal vicario o da Siena.

- Ha veduto Pietrone o il Golini scavarli da sottoterra o sbatter dei muri?

- Quando li vidi, Pietrone scavava i mattoni da sottoterra e questo nel marzo, e già avevano sbattuto dei muri.

- Hanno avuto i mattoni altre persone?

- No, solo il ballarino, il Perpignani e alcuni io per rassettare il forno.

- A chi li chiese?

- A Pietrone pigionale del Perpignani. Pietrone mi disse di non volermeli dare perché non aveva licenza

- Da chi dunque ha avuto i mattoni per il forno?

- Alcuni giorni dopo venne da me Pietrino Mocenni dicendo che aveva sentito dire che cercavo dei mattoni per il forno, e che lui li aveva scavati e che me li avrebbe dati volentieri; gli dissi che me ne mettesse da banda un pochi, che li avrei pagati.

- Quanti mattoni fece mettere da parte a Pietrino?

- Ne tanti ne quanti.

- Sapeva se Pietrino avesse licenza?

- Non lo sapevo e non gli domandai niente.

- Sa dove siano ora i mattoni?

- Non lo so; siccome non volevo rumori quando il vicario fosse venuto a Crevole per contare il lavoro scavato, dissi al Golini e a Pietrino che levassero i mattoni di lì e li coprissero, per non entrare in disgrazia col padrone.

- Ha pagato questi uomini?

- Ho dato a Pietrino tre lire una volta e poi due giulii [26]. Non ricordo di avergli dato altro.

- Ha saputo di ferramenti ritrovati?

- Ho vigilato e non è stato trovato nulla.

Il Palagi decide quindi di incarcerare il Faleri: ...allora gli comandai che direttamente si trasferisse alla cancelleria fino che non ricevesse altri ordini...e mandai ritenersi.

 

Murlo, 21 maggio 1692

Il giorno successivo, estratto dalle carceri segrete di Murlo, maestro Alessandro viene nuovamente interrogato e gli viene chiesto dapprima se fosse stato Pietro Mocenni ad offrirgli i mattoni o se in realtà fosse stato lui a chiederglieli.

- Pietro Mocenni venne alla mia bottega e in quell’occasione pattuimmo che me li mettesse da parte.

- E’ vero che dopo la mia venuta in Vescovado - continua il Palagi - ha cercato il vicario, pregandolo che, una volta scoperto, volesse asserire d’avergli dato licenza?

- E’ tutto vero.

Il Faleri viene scarcerato, dopo aver prestato mallevadore idoneo di star a ragione e pagare il giudicato (Sebastiano Luci). Testimoni, il canonico Bidini e Domenico Panicali, pievano di San Fortunato a Murlo.

Nella sala della casa del fattore di Murlo viene quindi sentito Lorenzo Merlini abitante in Vescovado.

- Conosce Giovan Battista Golini, pigionale di maestro Alessandro?

- Si lo conosco perché si serve a bottega mia.

- Ha mai comprato del ferro dal Golini?

- Comprai da lui due palle di ferro ed altri pezzi simili.

- Che quantità?

- Non ricordo bene perché sono due o tre mesi fa, forse centotrenta o centoquaranta libbre di ferro e gli pagai un soldo le due, e montò circa cinquanta crazie; e gli diedi parte suolo [27] e parte denari.

- Gli chiese dove aveva preso le palle e i pezzi?

- Mi disse di averli trovati nelle piagge di Crevole.

- Che ne ha fatto?

- Li detti ad un ferrazzuolo [28] che li portò alle ferriere e ne ricavai sessanta libbre di ferro e pagai una crazia per libbra di tiratura.

Il Merlini viene allora congedato.

 

Siena, 6 giugno 1692

Viene convocato presso la Curia arcivescovile di Siena, Giovanni di Domenico Paccani, fabbro ferraio di Casciano e gli viene chiesto se conoscesse Pietro Poggi di Crevole.

- Conosco uno di Crevole che si chiama Pietro ma non so di che casato sia.

- Sa di preciso dove abita e di chi sia mezzaiolo o pigionale?

- So che abita a Crevole e credo che sia pigionale del Perpignani.

- E’ solito servirsi alla sua bottega?

- Viene di rado, gli ho aggiustato due o tre volte zappe e bidenti.

- Le ha mai venduto ferro di sorte alcuna?

- Si, una domenica della passata Quaresima venne a Casciano con un sacco in spalla e mi chiese se volessi comprare due palle di ferro. Dopo aver discusso un po’ pattuimmo una crazia le due libbre e pesavano sessantadue libbre se ben ricordo, così gli detti i suoi denari.

- Che ne ha fatto delle palle?

- Le detti ad un ferrazzuolo perché le portasse alla ferriera di Monticiano [29] per tirar tanto ferro e mi riportò trentadue libbre di ferro, così gli pagai una crazia per libbra di tiratura.

- Domandò a Pietro dove avesse trovato le palle?

- Mi disse su per quelle balze di Crevole.

Il fabbro viene congedato.

 

Siena, 18 giugno 1692

Quasi due settimane dopo, sempre in Curia arcivescovile, viene sentito Iacomo Puccioni residente a Siena da circa venti anni.

- Possiede dei beni stabili nel Vescovado?

- Possiedo un poderuccio a Crevole con una casa per il lavoratore [30], mezza rovinata, che ho fatto restaurare, ed in più, adesso, ho cominciato a fabbricare una casa per mia abitazione, cioè ho allestito l’ammannimi e calcina [31].

- Di che ammannime si è servito per aggiustare la casa del lavoratore?

- Presi dalla rocca di Crevole dei pezzi di mattoni per rassettare il forno della casa e fare un parapetto e circa cento mattoni interi per il solaio.

- Ha preso altri mattoni e in che quantità?

- Non lo so, ma a casa ho il conto e non erano tutti interi, ma avevo ottenuto la licenza dall’arcivescovo ed è nella cancelleria di Murlo, poiché gli avevo detto che per la mia casa avevo bisogno di un pò di mattoni per i solai, per gli spigoli degli usci e delle finestre.

- Quanto ammannime ha fatto condurre al podere e chi lo ha fornito?

- Credo siano circa duemilatrecento tra pezzi e mattoni e li ha scavati dalla rocca un tal Pietrone di Crevole.

- E’ al corrente se abbia abbattuto dei muri nella rocca?

- Non credo, perché gli dissi di avere il permesso solo per il rovinato e gli proibii di toccare le muraglie.

Iacomo Puccioni viene così lasciato andare.

 

Siena, 25 giugno 1692

Passata una settimana, viene convocato in curia il reverendo Antonio Perpignani e gli viene domandato se goda di beni stabili patrimoniali o avventizi di sorte alcuna.

- Ho una casa e alcune botteghe a Siena lasciatemi dai miei antenati e alcuni beni avventizi a Crevole. Quest’ultimi sono in comune con mio fratello Ansano.

- Da quanto tempo li possiede?

- In parte da tre anni e in parte da due, perché li abbiamo comperati in due volte.

- Che tipo di beni sono?

- Alcuni boschi, tre case a Crevole e un’altra lontana per il contadino, più dei campi, il tutto pagato intorno a trecento scudi.

- Avete mai fatto fabbricare o restaurare dette case?

- Ad una casa rovinata nel villaggio di Crevole si è rifatto il tetto, parte del pavimento e alcuni tramezzi. Venne a lavorarvi un maestro milanese che abita a Casciano.

- Dove avete preso la calcina?

- Parte dal Pierucci e parte da Poggio alle Monache [32], circa tre moggia e mezzo di calcina [33].

- Ha usato dei mattoni per murare e da dove li ha presi?

- Buona parte erano nella casa rovinata, mentre quelli del tetto, i docci e le mattonelle, parte furono comprati alla fornace del Franceschi [34] e parte presi dalle rovine della rocca.

- E’ stato a Crevole l’agosto passato e conosce Pietro Poggi?

- Si vi sono stato ed il Poggi è mio pigionale.

- Di quanti mattoni e pezzi si è servito e chi li ha scavati?

- Di preciso non lo so ma li ha scavati solo questo Pietrone.

- Quanto pagava il cento per la scavo dei mattoni?

- Parte un giulio e parte nove crazie.

- Quanto dette a Pietro?

- Una volta gli detti sei lire.

- Aveva licenza di scavare?

- Si, avevo la licenza di monsignor arcivescovo, con che si lasciassero stare le muraglie.

- Che quantità aveva il permesso di raccogliere?

- Monsignore illustrissimo non mi limitò la quantità dell’ammannime del quale io mi volevo servire per resarcire la mia casa, poiché supplicandoli a concedermene, risposemi benignamente che io me ne servisse, purché non si sbattesse muraglia alcuna.

- Sa se siano state demolite delle muraglie?

- Ad agosto vidi che Pietrone abbatteva un pezzo di muraglia e gli dissi che non poteva, ma mi rispose che quella da fuori non si vedeva.

Al Perpignani viene quindi intimato di dire la verità, poiché risulta dall’istruttoria che lui avesse dato ordine di cavar che quantità di mattoni si poteva poiché n’haveva licenza da monsignor illustrissimo, asserendo che monsignore si contentava si sbattesse qualunque sorte di muraglia eccettuato le castellane e la torre.

- Non è vero niente, anzi, quando vidi che sbatteva la muraglia dove era un sellarone, gli ricordai che l’arcivescovo non voleva, ma lui rispose che la muraglia non si vedeva e perciò non importava niente.

- Oltre ad agosto, avete fatto scavare altro ammannime?

- No, ma non ricordo il mese, venne a casa mia a Siena un tal Martello di Crevole dicendomi che siccome ognuno alla rocca scavava dei mattoni, ne aveva anche lui e, non avendo da mangiare, mi pregava di volerli comprare. Gli demmo dei quattrini e ne facemmo condurre a casa nostra da ottocento a mille circa.

- Che prezzo fu pattuito?

- Non ricordo se un giulio o dieci crazie il cento.

Il Perpignani viene congedato.

Siena, 22 ottobre 1694

Un anno e quattro mesi dopo l’istruttoria, si decide di procedere nei confronti del solo fornaio di Vescovado, Alessandro Faleri, unico ad essere accusato di furto fra tutti i personaggi esaminati:

L’anno del Signore 1694, nell’indizione terza e il dì 22 del mese d’ottobre

Ad istanza dell’eccellentissimo signor promotore fiscale della Mensa arcivescovile di Siena, attesa la notorietà del diroccamento delle muraglie di Crevole e furto fatto del lavoro di fornace scavato e sbattuto dalle medesime muraglie e anco per essersi ritrovato da un migliaio di mattoni sotterrati o per dir meglio fatti sotterrare nell’orto da maestro Alessandro Faleri in Crevole, dalle deposizioni giurate de testimoni e ogn’altro resultante dal presente processo, si agita e procede contro maestro Alessandro Faleri suddetto in ogni miglior modo, per aver il medesimo scavato o fatto scavare e smantellare senza alcuna licenza di monsignor illustrissimo arcivescovo le muraglie della fortezza o torre di Crevole e da quella estratto molta quantità di lavoro, cioè mattoni e quadrucci, e questi poscia maliziosamente e furtivamente fatti sotterrare in un suo orto a Crevole ad effetto che non si venisse in cognizione del di lui furto, e perciò il medesimo esser incorso nelle pene, e non solo come sopra ma in ogni modo migliore e in ogni altro...

 

Murlo, 24 ottobre 1694

A Murlo, due giorni dopo, nella casa di monsignore illustrissimo arcivescovo contigua alla porta castellana [35], alla presenza dei testimoni Anton Maria Ercolani e Pietro Valeri, mezzaiolo da Ravina [36], davanti allo stesso Palagi coadiutore della cancelleria arcivescovile di Siena, compare l’imputato Faleri: dettagli la sopradetta querela e da esso bene intesa dal principio alla fine, viene invitato a dire tutto quello che sa e puole contro la medesima. Il Faleri tenta l’ultima carta per scagionarsi:

- Signor Palagi, io son tradito, perché è vero che io ho scavato da un migliaio di mattoni, ma questo l’ho fatto essendone consapevole il signor vicario di Murlo [37], il quale con l’occasione che andassimo assieme a Crevole a riconoscer questo danno, io gli dissi che avevo in pensiero di metter da banda un pochi di mattoni per fare assettare il forno di quella comunità et egli in verità non mi diede la licenza assoluta ma ne anco mi proibì che io ciò non facesse, poiché dettogli io questo mio pensiero esso rispose...che io mettessi pure da banda detto lavoro che verisimilmente monsignore illustrissimo non averebbe saputo che io ciò avesse fatto, mentre la maggior parte dello scavamento era stata fatta fare dal ballarino e i Perpignani. Quando poi l’altra volta vostra signoria venne a Murlo e io fui messo in prigione, io non volsi dire questo, perché il signor vicario di Murlo, tanto avanti che mi venisse ad esaminare, quanto anco nel tempo che io ero in prigione, il signor Mattei mi impose che io negasse d’avergliene parlato, come io in verità ciò sostenni, volendo più tosto accollarmi il male addosso di me che far danno al signor vicario. Del resto io non ho altro che dire contro questa inquisizione, solo prego la bontà sua a volermi perdonare...

Non è noto l’esito della vicenda, ma non vogliamo dubitare che abbiano alla fine prevalso la benevolenza e la magnanimità dell’arcivescovo...

 

Crevole agli inizi del Novecento

Crevole, inizio Novecento. Sullo sfondo la pieve di Santa Cecilia.

 

NOTE

[1] Vedi: La Guerra di Siena (1552-1559) di R. Cantagalli, Siena 1962, p.463 (nota 51). Vedi anche: I castelli di Murlo di V.Passeri, Siena 1995, p.49.

[2] Vedi: Archivio Arcivescovile di Siena (AAS), Cause Criminali 5577 n.22.

[3] I pigionali abitavano in case “a pigione” e rappresentavano la fascia sociale più povera in quanto lavoratori con impieghi stagionali o saltuari. Il canovaio era il fornaio, faceva il pane e lo vendeva, talora con altri generi alimentari. Il merciaio vendeva un po’ di tutto oltre alle mercerie, cuoio compreso, come nel nostro caso. Ballarino sta qui per maestro di ballo.

[4] I fratelli Perpignani, Ansano e il sacerdote Antonio, abitavano a Siena ed avevano alcune proprietà in comune a Crevole.

[5] Sono i frati agostiniani di Montespecchio da pochi anni trasferitisi a Crevole (1686) dopo aver abbandonato il loro eremo pericolante. Da quel momento, la pieve di S.Cecilia a Crevole era divenuta convento.

[6] Giovanni Martelli, di 43 anni, risiede a Crevole con la moglie Orsola di poco più giovane e due figli piccoli, Maddalena e Domenico. Giovan Battista Golini, sessantenne, vive nel borgo con la moglie Maria e i due figli, Francesco e Antonio (vedi: AAS, Stati d’anime diocesani 2813, anno 1691).

[7] Pietro Poggi, di 37 anni, abita a Crevole in una casa dei fratelli Perpignani con la moglie Caterina di 24 anni. Pietro Mocenni, di 23 anni, vive invece in una casa di proprietà della famiglia con la madre Francesca di 51 anni ed il fratello Giuseppe di 19. Alessandro Faleri, sessantenne fornaio, abita all’Antica con la moglie Niccola di 45 anni e i due figli, Margarita e Giovanni Andrea (vedi: AAS, Stati d’anime diocesani 2813, anno 1691), e possiede una casa a Crevole data a pigione a Giovan Battista Golini.

[8] Ammannime deriva da “ammannire” cioè preparare, allestire. In particolare in edilizia significa predisporre una provvista di pietre, mattoni, calce e altri materiali per una costruzione.

[9] La trascrizione degli interrogatori non ricalca fedelmente il testo ma è parzialmente adattata per una più agevole lettura e per esigenze di spazio.

[10] E’ Ansano Perpignani; secolare, per distinguerlo dal fratello Antonio ecclesiastico.

[11] Una crazia corrispondeva a 1/12 di lira.

[12] Si tratta del podere Belvedere acquistato nel 1691 da Iacomo Puccioni, residente a Siena e di professione maestro di ballo (vedi: Murlo Cultura ott/nov/dic 2006, pp.14-15).

[13] Un braccio senese corrispondeva a m 0,60 circa.

[14] Una libbra era pari a kg 0,34, per cui la campanella di ferro pesava un chilo. Un quattrino, invece, era 1/60 di lira.

[15] La famiglia Luci di Siena possedeva allora nel Vescovado il podere del Casalino (vedi Murlo Cultura gen/feb/mar 2007, pp.8-9-10).

[16]  Si tratta di Pietro Mocenni, residente a Crevole, che abitava in una casa di sua proprietà. Il giorno seguente, come vedremo, verrà interrogato anche lui a Murlo.

[17] Lorenzo Merlini, quasi trentenne, abitava all’Antica con la moglie di 26 anni, due figli piccoli, Elisabetta e Giovan Battista, più due ragazze, Caterina di 19 anni e Maddalena di 15, forse a servizio in casa o al lavoro in bottega.

[18] Un soldo era 1/20 di lira.

[19] Per sellarone o sellerone s’intende probabilmente un arco o una volta.

[20] E’ Giovanni Martelli, il primo ad essere stato interrogato.

[21] Si tratta di Pietro Mocenni e la Bechina è la madre Francesca.

[22] Nel 1686 vive a Casciano la famiglia di maestro Domenico Paccani di 70 anni, formata dalla moglie Giovanna (59), i figli Giovanni (34), Uliva (20) e Tommaso (17), la nuora Cicilia (24), i nipoti Giuseppe (4) e Lucia (2) più il garzone Lorenzo (18) (vedi: AAS, Stati d’anime diocesani, n.2817). Maestro Domenico, molto probabilmente fabbro anche lui, nel 1692 era ormai morto e aveva lasciato il posto al figlio Giovanni.

[23] La Comunità di Crevole era una delle sette in cui era suddiviso il Vescovado di Murlo.

[24] Il Faleri fu camarlengo della Comunità di Crevole negli anni 1689-1690, 1691-1692, 1704-1706, 1707-1708; la carica era semestrale (vedi: L’Archivio Comunale di Murlo, di M.Carnasciali, Siena 1988).

[25] Si tratta di Pietro Poggi.

[26] Un giulio o paolo corrispondeva a otto crazie.

[27] Suolo sta probabilmente per cuoio.

[28] Il ferrazzuolo era l’operaio che nelle fucine, tenendo il “ferraccio” con le tenaglie lo rivoltava e lo portava sotto il maglio.

[29] Si tratta probabilmente della ferriera detta “di Ruota” ubicata sul torrente Farma ai piedi di Poggio al Carpino, documentata dall’inizio del XIV secolo e funzionante sino alla fine del XIX. Sul territorio di Monticiano, presso i torrenti Farma e Gonna, hanno comunque funzionato nei secoli varie ferriere.

[30] Il mezzaiolo o mezzadro.

[31] Poco dopo aver acquistato il podere Belvedere nel 1691, il Puccioni aveva fatto restaurare il casolare del mezzaiolo e l’anno seguente aveva poi cominciato a costruire nelle immediate vicinanze una casa padronale per le sue villeggiature: si tratta dell’edificio più grande, intonacato di bianco, dell’odierno agglomerato della Palazzina, sulla strada da Vescovado per Casciano.

[32] L’affermazione del Perpignani attesterebbe l’esistenza all’epoca di fornaci da calce presso il podere di Poggio alle Monache e presso il podere della Cucculeggia o del Casino, dato che quest’ultimi erano in quegli anni proprietà della famiglia Pierucci.

[33] Un moggio corrispondeva a kg 391,10.

[34] Della fornace del Franceschi non conosciamo l’ubicazione.

[35] Si tratta della porta di Tramontana, dato che l’edificio adiacente sulla destra è stato sino al XIX secolo proprietà della Mensa arcivescovile di Siena.

[36] Il podere Ravina era proprietà della Mensa arcivescovile di Siena.

[37] Il vicario vescovile a Murlo era Giovanni Antonio Mattei (in carica dal 1690 al 1694).


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