MURLOCULTURA n. 5/2009 | ||
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Mutare per sopravviviere
Ancora a proposito dei piccoli Comuni di Camillo Zangrandi |
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Tutti
i Comuni italiani, grandi e piccoli, si lamentano, ormai sono anni,
della continua riduzione dei trasferimenti da parte dello Stato. Vi è
sempre il “cattivo” di turno: prima era “l’elegante” Padoa Schioppa,
ora è “il perfido” Tremonti, per andare indietro solo di due
governi. Le lamentele sono certo giustificate, perché, sono i
Comuni che sono i più vicini ai cittadini e sentono il loro fiato sul
collo. Poi, anche quando sono già previsti, gli stanziamenti arrivano
in ritardo; inoltre, un conto è avere -ad esempio- l’ICI pagata in
contanti dai cittadini, un conto è avere un credito nei confronti dello
stato. Da tempo i Comuni si trovano da affrontare crescenti richieste e
bisogni dei cittadini, improrogabili interventi di manutenzione del
territorio, non parliamo poi del recentissimo periodo molto difficile
di crisi economica, almeno per una parte della cittadinanza italiana.
Pur con tutte le ragioni espresse, non abbiamo l’impressione che
l’attuale impostazione verrà modificata nei prossimi anni,
indipendentemente dal “colore” dei futuri governi; forse, e tutti ce lo
auguriamo, il modo di procedere sarà modificato, migliorato e/o meglio
segmentato tenendo conto della destinazione di spesa, delle diverse
aree geografiche, della diversità dei bisogni. Adesso è attuata in un
modo semplice e diretto, ma rozzo. Sembra, infatti, di leggere un filo
conduttore, ormai da circa 10 anni, nelle leggi dello Stato e dalle
decisioni dei Governi, nei confronti delle cosi dette autonomie locali.
Un “fil rouge” che da un lato “punisce” ma dall’altro offre vie di
uscita e premia, come si vedrà. Se questo è vero, cosa stanno facendo
le autonomie locali per fronteggiare questa situazione, esistente da
anni e che perdurerà nel tempo?
Al di là delle “lamentele”, nella stragrande maggioranza dei casi, si limitano al piccolo cabotaggio: piccoli aggiustamenti delle spese, riduzioni di interventi, alleggerimento dei costi con la creazione di “cooperative” che svolgono attività prima a carico del Comune (1), aumenti di diritti di segreteria e oneri di urbanizzazione, aumenti delle imposte locali e delle addizionali, abnorme aumento delle entrate attraverso le multe (2). Si sono fatte strada anche vari tipi di “associazioni comunali” (unione, comprensorio, comunità..), ma normalmente si fermano alla messa in comune di qualche servizio, che altrimenti non potrebbe essere gestito dal piccolo comune da solo. Ma anche queste sono un numero limitato rispetto alla totalità dei piccoli comuni e comunque restano un palliativo. Per il resto siamo fermi ai confini medioevali (3), ad una burocrazia vecchia, ad una parvenza di democrazia formale, ad un uso del linguaggio -anche per piccole decisioni- non comprensibile, ad uno scarso utilizzo delle nuove tecnologie per informare e tenere il contatto con i cittadini. Una volta i partiti tenevano il collegamento tra governanti e governati, oggi l’intermediazione di queste forze è solo elitaria, spesso auto referenziale. Non è certo questo il modo migliore per affrontare le sfide del terzo millennio, per gestire in modo adeguato il territorio (manutenzione e sviluppo), i crescenti e nuovi bisogni degli abitanti (trasporti, sociali), le trasformazioni epocali e la presenza di culture diverse anche in piccoli comuni. Non è più possibile pensare e agire in modo burocratico, sempre riferito al passato, occorre procedere in modo strategico, rivolto all’individuazione e alla risoluzione dei problemi strategici, modificarsi in funzione di essi attraverso la realizzazione di nuove strutture organizzative moderne, snelle, veloci, poco costose, adeguate ai territori amministrati ed i bisogni dei loro cittadini. Esiste una via maestra per raggiungere questi risultati: la “politica delle fusioni” tra Comuni, in particolare per quelli al di sotto dei 5.000 abitanti. Non solo fusione dell’esistente tout court, perché si tratta di attuare un processo di completa ristrutturazione del territorio, partendo, quando necessario, dai confini stessi dei comuni coinvolti. Non si tratta di novità, perché da circa 10 anni le leggi dello Stato invitano, spingono (anche se sempre in linguaggio burocratico) e soprattutto mettono a disposizione stanziamenti maggiori rispetto alla norma, per i comuni che decidono di attuare una fusione tra loro. Il sistema legislativo, statale e regionale, riconosce -attraverso un sistema premiante- la superiorità dell’obiettivo della fusione rispetto alle altre forme di “associazioni comunali”. Queste sono un livello intermedio per una migliore gestione dei servizi comunali, ma fondamentalmente sono un “ripiego”, salvo quando rappresentano solo un passaggio intermedio in quanto attuate con la precisa e reale finalità di procedere verso la fusione. Sono ancor più un ripiego se il territorio amministrato non corrisponde ad una logica geografica, economica, sociale, come è il nostro caso dell’Unione dei Comuni della Val di Merse, da Vescovado e Radicondoli, dall’Arbia all’Elsa attraversando due spartiacque, che determinano direttrici economiche differenti. Certamente una fusione tra comuni -per essere stabile ed efficiente- deve essere meditata; non è qualcosa che si risolve in tempi brevi, occorre una pianificazione di tutte le attività da realizzare nel giro di qualche anno, soprattutto se inserita in un processo che coinvolge territori più vasti nell’ambito provinciale/regionale. Le leggi dello Stato esistono, le Regioni hanno poteri costituzionali (4) sufficienti per intervenire sul territorio, modificare i confini delle circoscrizioni comunali, istituire nuovi comuni, prevedono normalmente a bilancio contributi per favorire le fusioni, contributi che si sommano a quelli straordinari che lo Stato eroga per dieci anni successivi alla fusione stessa. E’ possibile, auspicabile ritenere che le Regioni possano diventare il motore di un processo virtuoso volto a ridisegnare il territorio regionale, con un progetto di ampio respiro coordinato con le “autonomie locali” (Province e Comuni), attraverso la creazione di nuovi organismi comunali, originati dalla fusione di comuni più piccoli. Si prospetta una grande opportunità con le elezioni regionali del prossimo anno, per i nuovi eletti: intraprendere il progetto della modernizzazione delle “autonomie locali”, con particolare riferimento ai piccoli comuni, che, se iniziato immediatamente, potrebbe portare ad avere la nuova struttura funzionante con la fine della prossima legislatura (5 anni). La Regione Toscana, che si vanta, ed è spesso, all’avanguardia nell’intraprendere nuove strade, potrebbe farsi l’antesignana di questo progetto, in grado di trasformare in modo moderno la struttura organizzativa del suo territorio, in grado di affrontare le sfide future, sempre più complesse. Non occorre lo Stato, è qualcosa che può essere intrapreso a livello locale, Regione e Comuni insieme. Questo progetto può scorrere, nel corso dei cinque anni, attraverso alcune fasi che sinteticamente elenchiamo: A)-creazione di una “task force” regionale (rappresentati Regione, Provincia, Comuni) per l’analisi, verifica e ridisegno dei confini delle circoscrizioni comunali B)- piano di informazione e di sensibilizzazione dei cittadini C)- attuazione dei referendum per l’approvazione dei cittadini D)- realizzazione delle “fusioni” dei comuni approvate, attraverso nuove elezioni dei consigli comunali e sindaci e il trasferimento delle competenze In
questo quadro Murlo, il nostro Comune, come si colloca? E’ certamente
un piccolo comune con tutte le relative problematiche: come tale ha la
necessità di essere inserito in una fusione tra comuni, che
rappresenterebbe un passo avanti rispetto alla situazione attuale
(unione comunale), come si è già detto. Ma il nostro comune presenta
ulteriori problematiche, che ne rendono particolarmente complessa la
sua gestione: i suoi confini che risalgono al Vescovado di Murlo, la
grandezza del suo territorio e la collocazione/distanza dei suoi due
centri principali su due versanti opposti di uno spartiacque, che sono
stati e sono non solo una barriera geografica, ma determinano anche
comportamenti e flussi economici diversi. Se il Municipio non fosse a
Vescovado, quando e perché gli abitanti di Casciano dovrebbero venire a
Vescovado? Come fanno gli abitanti di Vescovado a sentirsi nella Val di
Merse? Per andare a Siena, che rappresenta il polo di attrazione
economica vicino più importante per ambedue i centri, Casciano e
Vescovado percorrono due strade diverse…. Note 1) - importante aspetto da approfondire quando si parla del precariato, molto alimentato da questo tipo di ristrutturazione dei costi delle Pubbliche Amministrazioni, forse la più grossa fonte di “precari” in Italia. 2) - non osiamo immaginare cosa potrà succedere se saranno approvate alcune proposte di legge al Parlamento a questo riguardo sulla destinazione degli incassi delle multe, anche se pensiamo che non verrà approvata la proposta più drastica di destinare il 100% degli incassi al proprietario della strada, in quanto per alcuni Comuni vi sarebbe lo spettro della bancarotta. 3) - è noto come i confini di quasi tutti i Comuni italiani risalgono al Medioevo, rispettano ancora adesso i confini delle antiche proprietà ecclesiastiche e nobiliari, non più esistenti; esistono anche comuni che hanno “enclaves” (pezzi di territorio) inserite all’interno del territorio di un altro comune. Alcuni tentativi di razionalizzazione effettuati durante il periodo fascista, sono stati immediatamente cancellati nel primissimo dopoguerra. 4) - articoli 117 e 133 della Costituzione. 5)
- si può pensare che o le fusioni dei piccoli comuni si realizzeranno
dal basso o che in un prossimo futuro possano essere imposte attraverso
leggi dello Stato. |
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