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Ospitiamo
volentieri per la prima volta nel nostro periodico Gabriele
Maccianti, studioso senese che sta completando in queste settimane il
suo ultimo volume, dove ha ricostruito le turbolente vicende
dell’immediato primo dopo guerra (1919-1922) a Siena e in
provincia. Nel suo lungo lavoro di ricerca archivistica, si è
imbattuto in molti documenti su Murlo. Su nostra richiesta Gabriele
si è gentilmente prestato a raccontarceli...
"Alle
21, fra l’entusiasmo vivissimo della popolazione, l’intiero paese
e le frazioni erano illuminate da centinaia e centinaia di lampadine
elettriche, assicurate a festoni di verde, che davano un aspetto
fantastico e grazioso”. Così - nel racconto del periodico fascista
senese, Il Popolo Senese - il 23 giugno 1929 l’energia
elettrica arrivò a Casciano di Murlo e negli altri principali centri
abitati del Comune. Finalmente, si potrebbe aggiungere, perché
l’antico possesso vescovile era uno degli ultimi della Provincia a
vedere le tenebre rischiarate dalla luce elettrica. Poco dopo Giorgio
Alberto Chiurco, al momento uomo forte del fascismo senese, parlò
dalla sede della Società di Mutuo Soccorso e Dopolavoro,
incitando i paesani "alla devozione e all'obbedienza al governo
nazionale che, non colle parole, ma coi fatti, [risolve] problemi
vitali, vincendo ogni difficoltà per la prosperità e la sicurezza
dell'Italia nostra".
Le
parole di Chiurco, al di là dei toni roboanti, rispondevano a
un’esigenza sentita - per più motivi - dal Regime. In primo luogo,
Mussolini, memore anche del suo passato di sindacalista socialista,
intuì fin da subito i vantaggi in termini sia di prestigio che di
consenso che la risoluzione dei più pressanti bisogni quotidiani
avrebbe arrecato al governo. Impresse quindi un’accelerazione agli
interventi nel settore delle opere pubbliche. In secondo luogo
l’incapacità di esaudire i bisogni della popolazione aveva
compromesso la credibilità della classe dirigente liberale. Il
fascismo, succedutole in maniera traumatica, doveva mostrare il
diritto di governare anche in virtù di una maggiore efficienza. Per
un regime che intendeva “ruralizzare”, il Paese era di
fondamentale importanza migliorare le condizioni di vita nelle
campagne e consentire ai contadini di essere “partecipi di alcuni
elementari benefici, acqua potabile, scuole, assistenza medica”. La
volontà del governo si trasmise verso il basso. Nel febbraio 1929,
nell’assumere la carica di Podestà di Trequanda, Benvenuti promise
ai suoi amministrati che avrebbe portato “l’acqua e la luce”
necessari a far “risorgere” il paese “a vita nuova”. Una
terza motivazione, di prospettiva più ampia, spingeva il regime a
intervenire in profondità nel settore delle opere pubbliche.
Assicurare buone condizioni di vita alla popolazione costituiva il
presupposto basilare per “migliorare la razza”, fascistizzare in
profondità il Paese e avviare la definitiva trasformazione
dell’Italia in una grande potenza. Nella
Provincia di Siena il miglioramento della rete di approvvigionamento
idrico era al primo posto dei problemi. L’acqua proveniente dalla
sorgente di Vivo d’Orcia raggiungeva ormai il centro storico del
capoluogo, ma in gran parte del suburbio di Siena, abitato da oltre
diecimila persone, molti capoluoghi di comune e moltissime frazioni
né il rifornimento il rifornimento assicurato da piccoli acquedotti
né le scorte di acqua piovana custodite nelle cisterne erano in
grado di esaudire le richieste, specie nei mesi estivi, costringendo
gli abitanti a sfruttare l’acqua dei pozzi, come a Radda, o delle
fontanelle, non di rado a secco nei mesi estivi, come a San
Gimignano. A Trequanda, nel secco autunno 1921 “il cisternone
comunale è quasi vuoto, la vasca del lavatoio è pressoché esaurita
[e] gli abitanti di Castelmuzio sono costretti a prendere l’acqua
un po’ quà e un po’ là, con i barili”. Il disagio maggiore
gravava però sui contadini che abitavano nelle innumerevoli case
coloniche disperse nel mare di colline. Le cisterne di raccolta di
acqua piovana “di cui più o meno sono fornite” le case
esaurivano le riserve “dopo pochissimi giorni da che la pioggia è
cessata” costringendo i contadini “a percorrere d’estate
chilometri e chilometri per andare a prendere un po’ di pessima
acqua”. In gran parte dell’Italia rurale la modernizzazione
doveva ancora cominciare e tutto si svolgeva pressappoco come si era
svolto nei secoli passati. Nel Comune di Murlo, servito almeno in
parte dall’Acquedotto del Vivo, la priorità si chiamava però
energia elettrica. All’inizio
degli anni Venti la rete distributiva di energia elettrica copriva
già parte del territorio della provincia. L’elettrificazione della
Toscana, iniziata nel 1905 dalla Società Ligure Toscana di
Elettricità e dalla Società Mineraria del Valdarno, era proseguita
negli ultimi anni del regime liberale. All’avvento al potere del
regime fascista le vie e le piazze di oltre trenta capoluoghi di
comune erano illuminati dall’energia elettrica, prodotta
prevalentemente della centrale termica alimentata a lignite di
Castelnuovo dei Sabbioni, nei pressi di Cavriglia, ma in gran parte
delle frazioni e nelle campagne il calar delle tenebre coincideva con
l’oscurità. Uno dei Comuni in cui mancava ancora l’elettricità
era come abbiamo detto Murlo (gli altri erano Monteriggioni,
Trequanda, San Giovanni d’Asso e Radicondoli) e la promessa fatta
agli abitanti di risolvere la questione andava ancora onorata. Nel
1927 la Società Elettrica del Valdarno (Selt) presentò un
esorbitante preventivo di circa quattrocentomila lire che il Podestà
Mario Ettore Bayon, un ingegnere genovese che, dirigendo la
costruzione della ferrovia per Monte Antico, aveva preso dimora a
Murlo, giudicò impossibile da sostenere per le modeste risorse
comunali. Il successore, il Commissario Prefettizio Cancelletti ebbe
maggiore fortuna. La ditta Messeri di Firenze dichiarò la sua
disponibilità a compiere l’opera in cambio di un più ragionevole
compenso di 165.000 lire da pagare in quindici rate annuali e la
realizzazione dell’intervento ebbe finalmente inizio. Il
Fascio sfruttò con la massima attenzione possibile anche
l’intervento compiuto a Murlo, trasformando l’inaugurazione in
una manifestazione di consenso. La mattina si tenne una solenne messa
officiata dal pievano Don Olinto Fralassi; nel pomeriggio un concerto
della Filarmonica di Monticiano; poi dopo i brevi interventi di
Giorgio Alberto Chiurco e Antimo Pescatori, Segretario provinciale
del Fascio, venne servito “un sontuoso rinfresco” e proiettato un
film realizzato dall’Opera Nazionale Dopolavoro. Non casualmente si
tenne a Casciano, “rocca inespugnabile di patriottismo” anche nel
periodo liberale (la definizione è di Chiurco, Storia della
rivoluzione fascista, vol. III, p. 553). Diversamente, nell'altro
centro abitato, Vescovado, la numerosa componente operaia dei
minatori propendeva verso il Psi. Le elezioni comunali dell'autunno
1920 avevano sancito una bipartizione dell'elettorato, con dieci
consiglieri eletti tra le fila del Psi e dieci tra quelli dei
"partiti dell'ordine". Un caso unico del senese che impedì
l'elezione del Sindaco. La situazione era in stallo. Alle politiche
del maggio 1921 il Psi ottenne a Vescovado 272 voti a confronto dei
154 dell'altro raggruppamento politico, mentre "Blocco
nazionale", formato da liberali e fascisti, s'impose a Casciano
con 251 suffragi contro 154. Marginale, invece, il radicamento del
Partito popolare (progenitore della Dc), votato solo da 31 elettori
nell'intero comune. Non
vi furono, durante i ventitré anni di durata del Regime, cerimonie
altrettanto imponenti nel Comune. Una piccola ma preziosa
pubblicazione edita nel 1940, Opere del Regime in Provincia di
Siena, che elenca minuziosamente gli interventi compiuti Comune
per Comune, il numero di quelli portati a termine nel Comune di Murlo
è sostanzialmente modesto. Oltre all'impianto della rete di energia
elettrica, il più costoso di tutti, figurano, degni di essere
menzionati, la costruzione a Vescovado dell'edificio scolastico
(160.000 lire) e della Chiesa dedicata ai caduti (40.000 lire). per
quanto riguarda l'approvvigionamento idrico, il Comune di Murlo,
attraversato dalla conduttura dell'Acquedotto del Vivo, non aveva
grandissimi problemi e durante il Ventennio gli interventi furono
limitati ad aumentare la portata di acqua verso Vescovado,
Poggiolodoli e San Francesco. L'aumento esponenziale delle spese
militari, avrebbero, col passare degli anni, diciamo dalla metà
degli anni Trenta, gradatamente ridotto gli investimenti
infrastrutturali sia a livello nazionale che locale.
Nell'immagine, l’articolo originale pubblicato da Il Popolo Senese,
settimanale della Federazione fascista provinciale del Fascio.
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