Di
solito, chi si trova a transitare in auto lungo la via Cassia - che
fortunatamente non è più tangente a Lucignano - a malapena nota il
piccolo borgo e tantomeno si domanda quanto sia antico o che tipo di
evoluzione possa aver subito nei secoli. Questo, invece, non sfugge
ai moderni pellegrini della via Francigena, i camminatori che ancora
oggi scelgono di venire a percorrere l’antico tracciato che un
tempo attraversava Lucignano d’Arbia da porta a porta. Non è
affatto raro incontrarli in primavera e in estate, con i loro zaini,
i bastoncini, una cartina o una piccola guida, mentre si guardano
intorno affascinati. Così, qualche mese fa, mi è capitato di
raccontare a una coppia di australiani “di passaggio”, del primo
documento ufficiale che cita Lucignano: Ego Theodorigus Venerab.
Sanctae Senensis Ecclesiae Episcopus, qualiter per hunc scriptum, et
per nostram vestramque convenientia eligere, ordinare atque
confirmare providere te Johanni Presbitero filii q. Oliperti in
Ecclesia Plebe Sanctae Christinae sita Licignano, qui de sub jure
sedis Beatae Mariae esse videor [1]. Si tratta di un atto di
donazione, avvenuta nell'anno 913, della pieve di Santa Cristina di
Lucignano da parte del vescovo di Siena Teodorico a ser Giovanni di
Oliperto, prima testimonianza scritta dell'esistenza di questo borgo
fortificato. Oggi però sappiamo che la chiesa è intitolata a San
Giovanni Battista e non a Santa Cristina, come riportato nel
documento. E allora? Che si tratti di una diversa Lucignano,
Lucignano nel Chianti o d'Arezzo o Lucignano d'Asso? E' interessante
scoprire come gli esperti abbiano sciolto questo dubbio [2]. Nel
medesimo documento, atto pubblico rogato da ser Andrea notaio,
venivano specificati diritti e doveri del pievano, con un lungo
elenco di spettanze, terre, orti, casali, corsi d'acqua, pascoli, e
una altrettanto lunga e dettagliata lista di tributi dovuti alla
mensa vescovile in cambio della suddetta donazione. Vi si legge ogni
cosa: somme di denaro, pane, maiale, orzo, vino, frumento e
quant'altro, insomma, il classico corrispettivo "in natura".
Questo atto formale fa capire che il vescovo Teodorico doveva avere
sulla pieve anche una giurisdizione temporale e non solo spirituale.
Infatti, nei documenti simili della stessa epoca, non si riscontra
nel conferimento di pievi o parrocchie, l'imposizione ai rettori
eletti di pagare tributi alla mensa vescovile. Inoltre, visto che
questo vescovo Teodorico era figlio di Bernardo I conte di Siena e
considerando che il bisnipote di Teodorico, Gherardo, gli successe
nel 944 conferendo a sua volta la pieve a Gualberto di Martino con il
solito canone annuo, e che dopo di lui la chiesa venne ulteriormente
confermata ad altri con le stesse modalità riportate nel documento
del 913, tutto ciò fa ritenere che la chiesa di Santa Cristina in
Lucignano fosse una delle più antiche appartenute a questa famiglia
di conti senesi, i quali nel tempo continuavano ad esercitare un
certo controllo su di essa, conferendo diritti e doveri in cambio
della donazione. Ebbene, trattandosi appunto di una antica famiglia
di conti senesi, questi evidentemente non potevano averla fondata in
una diocesi diversa da quella di Siena. In tal modo viene fugato ogni
dubbio, e il documento del 913 farebbe proprio riferimento a
Lucignano di Val d'Arbia, escludendo così Lucignano nel Chianti,
dove peraltro esiste una chiesa dedicata a Santa Cristina e San
Cristofano, ma che fa parte della diocesi di Arezzo. Non sappiamo
esattamente quando la pieve di Santa Cristina abbia cambiato nome in
San Giovanni Battista, come la conosciamo oggi, ma un'iscrizione su
una delle campane della pieve di Lucignano così recita: Federicus
Petrucci Senen. Archidiaconus Ecclesiae Cathedralis. A.C.D.
Christinae Liciniani Pleb. A.D. 1587. [3]
A
proposito del nome stesso di Lucignano, è interessante sapere che
Tito Livio, nella sua storia di Roma Ab urbe condita, libro X
cap. 3°, narrava di una rivolta degli abitanti di Arezzo contro una
potente famiglia locale, i Licini, a quanto pare a causa delle loro
immense ricchezze. La zona della Val d'Arbia è stata per secoli
oggetto di contese anche molto dure fra le diocesi di Arezzo e Siena
ed è verosimile che una famiglia tanto influente possa aver esteso i
suoi possedimenti in questo territorio dell'Arbia. Da questa antica e
potente famiglia sarebbe derivato il nome Licinianum,
diventato poi Lucinianum e infine Lucignano. In un’area di
grande importanza strategica quale la Val d’Arbia, attraversata
dalla via Francigena, sede di scontri importanti per l’espansione
di Siena, territorio fertile che dava abbondanti raccolti e nel quale
il Santa Maria della Scala fortificò una delle sue più grandi
fattorie, la Grancia di Cuna, la piccola altura su cui sorge
Lucignano richiamava l’attenzione del Comune di Siena, che nel 1186
muoveva causa ai conti Guiglieschi per impedire loro di costruirvi un
castello. Si arrivò alla conclusione che i conti Guiglieschi non
avevano alcun diritto di edificare un castello su questo poggio, sia
perché la terza parte di esso apparteneva al vescovo, sia perchè,
in nome di un privilegio concesso dall’imperatore Federigo al
Comune di Siena, nessuno poteva fabbricare castelli intorno alla
città per un raggio di dodici miglia. Ma allora, come oggi, la
“legge” venne ignorata e il castello di fatto costruito, tanto è
vero che nel secolo successivo la Repubblica mandava in Lucignano un
suo giudice a intavolare trattative con i conti Guiglieschi per la
sottomissione del castello (1253). E’ certo poi che in questo
stesso periodo furono i canonici della Cattedrale di Siena a
sopraintendere alla pieve di Lucignano, anche se con l’andare del
tempo, nel secolo successivo, essendo aumentate notevolmente le
rendite dei canonici senesi, con numerose annessioni di abbazie e
varie elargizioni, si assiste ad un graduale abbandono della pieve
stessa da parte del proposto. Sappiamo però che fino al 1342
risiedeva in Lucignano niente meno che un vicario, ovvero un
rappresentante del governo della Repubblica di Siena e che solo in
quell’anno tale figura venne eliminata e i “comunelli” che
dipendevano da Lucignano passarono sotto un altro vicariato.
Inevitabilmente il castello andò decadendo, a tal punto che,
smantellato delle sue mura, divenne facile preda delle scorrerie di
masnadieri che in quel tempo percorrevano il contado in lungo e in
largo, saccheggiando e depredando: e a Lucignano trovarono spesso
anche un comodo rifugio! Gli abitanti e i comunelli limitrofi però
non mancarono, nella seconda metà del Trecento, di fare istanza al
magistrato del Concistoro di Siena, affinché fosse ristabilito
l’ufficio del vicariato, per non doversi più rivolgere a quelli
vicini. Così, nel 1377 l’ufficio viene ripristinato, con l’obbligo
per gli abitanti di provvedere a loro spese all’edificazione di un
degno palazzetto per il vicario. In questa occasione, viene
realizzata anche una cisterna per la raccolta delle acque piovane,
che si trova ancora oggi sulla sinistra di chi guarda la chiesa. Nel
frattempo aumentavano le controversie fra gli abitanti di Lucignano e
quelli di Monteroni, stanchi questi ultimi di dipendere dal vicariato
di Lucignano e forse, soprattutto, di dover montare la guardia alle
mura del castello... come pure si susseguivano le richieste dei
lucignanesi al Comune di Siena, affinché venisse in loro aiuto con
qualche sgravio fiscale, visto che proprio gli abitanti dovevano
sostenere le spese per il mantenimento delle mura. Nonostante nel
1460 venisse dichiarata ufficialmente la necessità di apportare
modifiche e dare inizio a lavori di restauro tra cui ...due ponti
nuovi levatoi l'uno di fuore l'altro dentro, el muro buono dinanti al
fosso dentro, alto sopra la via della terra uno braccio e grosso uno
braccio; la casa de fanti, el tecto e murae uscia nuove; el forno che
stia bene..rimattonare la scala di nuovo co la calcina; farvi una
ciminea di nuovo per modo non vi sia fummo; le scale buone che vanno
insu la torre buone...[4], di fatto le richieste venivano spesso
rimbalzate da una competenza all'altra, a carico degli abitanti di
Lucignano o a carico di quelli di Monteroni, come pure gli interventi
di mantenimento delle terre coltivate, soggette storicamente alle
piene del fiume Arbia. Ne emerge un quadro di forte discordia, per
cui nei vari passaggi, nel corso dei secoli, sopravvive sempre e
comunque il non comune accordo, la non volontà di collaborare e
darsi una mano reciprocamente. Alcuni anni più tardi gli uffici di
Balia, considerando il luogo molto utile per la difesa di tutta la
Val d’Arbia, ordinavano ancora di concludere con la massima
sollecitudine la realizzazione di altre mura. Tutte le richieste di
intervento e relative delibere di approvazione di cui si trovano
tracce negli archivi, hanno comunque sempre avuto bisogno di molti
anni prima di vedersi trasformate in fatti concreti: non molto
diversamente da come accade oggi nei nostri “moderni” uffici
della Pubblica Amministrazione! Lucignano e la popolazione dipendente
furono governati con gli statuti della città di Siena almeno fino al
1409, anno in cui venne redatto un suo primo statuto, che restò in
vigore fino al 1740. Statuti et ordinamenti del comuno et huomini
del castello di Lucignano di Val d’Arbia, scritti per Antonio di
Johanni Gennari notaro: così si intitola lo Statuto di Lucignano
conservato presso l'Archivio di Stato di Siena. Consta di 63
articoli, i titoli dei quali sono scritti in rosso. Non solo, ma come
spesso accade nei documenti, molti di essi iniziano con dei piccoli
fregi e altri sono commentati con disegni a margine particolarmente
divertenti. Ad esempio, accanto all'articolo Che niuno possa
giocare ad alcuno giocho, troviamo disegnati tre dadi da gioco,
oppure una capretta a margine dell'articolo Del tenere le capre.
Curiosa anche la voce Della pena di chi non lassa robbare,
dove qualcuno ha poi aggiunto con inchiostro nero pignorare;
secondo questo articolo gli abitanti di Lucignano non avevano il
diritto (per statuto) di opporsi alla volontà di pignoramento
espressa dal governo. O ancora Dello andare alla Chiesa, dove
qualcuno ha aggiunto di chi non andasse al morto, per far bene
capire l'obbligo per tutti gli abitanti di Lucignano di accompagnare
i morti dall'abitazione alla chiesa e di non uscire assolutamente se
non a sepoltura avvenuta. E così piccole finestre di vita vissuta si
aprono improvvisamente anche tra le righe di semplici documenti
d'archivio, a ricordare un passato in cui il castello di Lucignano si
ergeva fiero delle sue due torri, stretto nell'abbraccio delle mura
attorno alla pieve e ad una piccola comunità... spesso impegnata a
"bisticciare" con quella della vicina Monteroni!
Immagini
In alto la Pieve di San giovanni Battista e in basso la cisterna sulla sinistra della pieve.
Note
[1] Vedi:
Caleffo Vecchio a cura di G. Cecchini, Siena 1931.
[2] Vedi:
Lucignano di Val d’Arbia. Ricordi e Documenti di A. Liberati
in Bullettino Senese di Storia Patria, Nuova Serie, anno IX,
1938; Memorie storiche delle parrocchie suburbane della Diocesi di
Siena di G. Merlotti, a cura di Mino Marchetti, Siena 1995.
[3] Vedi:
Lucignano d’Arbia di V. Bruchi, Siena 1958.
[4] Vedi:
Concistoro 2462, c.109.