Considerazioni sul rapporto tra le cave di serpentino di Poggio la Croce e dintorni, ed il cantiere dell’Eremo di Torri
STORIA DI MURLO E DINTORNI
Che il territorio di Murlo sia un luogo di eccellenza riesce a capirlo anche chi non ha studiato, anzi proprio chi non è stato un gran secchione riesce ad apprezzarne meglio le qualità. E questo può farlo in tutta sicurezza andando a girellare al suo interno senza la preoccupazione di graffiarsi attraversando la macchia che giorno dopo giorno si fagocita la residua viabilità medievale. Forse sta proprio lì l'origine del fascino che il territorio esercita su chi lo attraversa, nel presentarsi ogni volta con un aspetto diverso a seconda della stagione e del periodo di tempo intercorso tra una visita e l'altra.
Il piacere della riscoperta è proporzionale proprio a questo, alla possibilità lasciata alla natura di potersi rigenerare fino al punto da apparire differente da come ricordata tanto da avere voglia di riscoprirla ancora, quasi fosse la prima volta.
Dopo aver associato il Chiostro di Torri col territorio di Murlo grazie al Marmo Nero di Vallerano, la voglia di saperne di più su tale argomento si è fatta pressante col trascorrere del tempo e divenuta poi possibile grazie alle conoscenze di Barbara Anselmi in campo naturalistico e geologico. Proprio attraverso la sua competenza in materia è stato possibile ricostruire, e in un certo modo anche percorrere, quello che probabilmente fu il tratto più interessante effettuato dal materiale a partire dal cantiere di cava fino a quello posto a piè d'opera della fabbrica di Torri. Proprio all'Abate dell'Eremo di Monte Specchio era demandato l'incarico di sovrintendere alla conduzione delle cave di serpentinite da parte del Comune di Siena assicurandogli assistenza e protezione così come si evince dal suo Costituto redatto nel 1262 e leggendo per intero quanto contenuto nel riferimento I-CV intitolato: "De defendendo hermo de Montespechio, et rebus et possessionibus eius" [trad. Sulla difesa dell'eremo di Montespecchio, e delle sue cose e possessioni]. Il serpentino nero, impiegato in gran copia nel duomo di Siena ed in molte altre chiese del circondario ed oltre, veniva cavato in una zona impervia di Poggio la Croce ma soprattutto dalle "prode dei fossi" di Pietracupa e dei Fangacci, meglio conosciuto oggi come il "fosso degli Scalpellini" (foto) dove si trovava il materiale migliore.
Uno scorcio degli affioramenti di serpenitinite nel fosso dei Fangacci,
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Nei vari cantieri allestiti presso la cava, doveva avvenire la prima sbozzatura del materiale estratto per uniformarlo all'impiego al quale era destinato avendo cura di evitare carichi in sovrappeso tenuto conto che il trasporto avveniva per la quasi totalità a soma, per mezzo di carovane di muli e su sentieri impervi che impedivano l'uso dei carriaggi. Gran parte di quella viabilità è ormai scomparsa o trasformata poiché gli antichi tracciati, pur se presi come guida, sono stati rettificati per adattarli alle esigenze del vivere in evoluzione. Risalendo dalle tracce delle antiche cave lungo i fossi menzionati a quelle ancora in parte attive di Poggio la Croce, è possibile percorrere quel tratto di strada di cresta derivato dall'originale tracciato per giungere dopo un percorso tortuoso, variabile e dalle forti pendenze, ad un fondo valle che fino ad epoca recente era stato usato come campo di tiro a segno. Risalendo ancora il lungo sentiero che costeggia i resti di un insediamento antico nel fitto del bosco si giunge al cosiddetto Palazzaccio, complesso del tutto abbandonato ma che conobbe maggiori fortune in epoca passata. Anche se ormai ridotto a rudere e soffocato dalla macchia, la sua invidiabile posizione sovrasta l'antico ponte di Macereto e le attuali risaie laddove esisteva la Locanda ed i Bagni Termali del Doccio, che segnavano il confine tra il Vescovado ed il Comune di Siena. Nel risalire il corso del Merse, con le viste sui castelli di Capraia e di Frontignano, l'antica carovana di muli che trasportava le bozze di serpentino, proseguiva oltre Orgia e Stigliano per giungere infine al cantiere di Torri. Un lungo viaggio con gran parte del materiale già pronto per essere integrato con quello in travertino necessario a completare la dicromia degli archi e con altro predisposto per realizzare basi e capitelli secondo il progetto elaborato nelle forme volute dal Maestro d'Opera del Chiostro.
Dall'osservazione di quanto finora accennato, non sfugge all'occhio attento come il problema del trasporto, avvenuto attraverso sentieri impervi e con notevole dispendio di energia, non fosse il più impegnativo poiché quello vero era rappresentato dalla comunicazione, ovvero dal rapporto esistente tra il cantiere di Torri e le cave di fornitura. Quest'ultime, per fornire un servizio adeguato dovevano disporre di informazioni tali da garantire l'invio di materiali sulla maggior parte dei quali non operare ritocchi per porli in opera, ma solo piccoli aggiustaggi per renderli definitivamente idonei. A tale proposito è lecito immaginare un intenso periodo di preparazione per fornire ai cantieri delle cave l'appropriata serie di sagome sulle quali aggiustare i conci di serpentino. Questi, una volta giunti a piè d'opera e collocati nella giusta posizione sopra una sagoma simile a quella di cava, consentivano la preparazione dei restanti conci in travertino per completare l'arco in dicromia. Sembrerebbe ovvio soffermarsi su problemi del genere, che ai giorni d'oggi appaiono marginali e risolvibili con un colpo di telefono o l'invio di un fax ma che a quel tempo costituivano il più grave impedimento proprio per difetto di comunicazione. Se osserviamo la successione degli eventi dal punto di vista appena accennato, viene normale interrogarsi sul comportamento di un tecnico moderno se a seguito di un'improvvisa distorsione temporale si trovasse proiettato in un epoca dove gli attuali ritrovati tecnologici e di comunicazione venissero azzerati e quindi costretto a far ricorso a sistemi ormai dimenticati per risolvere un problema come quello della costruzione del Chiostro di Torri e dell'organizzazione del suo cantiere.
Se, nell'effettuare una visita al Chiostro, verrà anche tenuto conto della situazione pratico-organizzativa al momento della sua costruzione, non dovrà destare meraviglia se ci apparirà completamente diverso da come lo vediamo, ovvero: carico di quel cumulo di esperienze che il trascorrere del tempo e lo sviluppo tecnologico si sono portati via.
Il Chiostro dell'Abbazia di Santa Mustiola a Torri, nel Comune di Sovicille (foto Martina Anselmi). |
Riferimenti bibliografici
Il Constituto del Comune di Siena dell'anno 1262, di L. Zdekauer, 1974; rif. Distinctio I, CV.
Il marmo nero di Vallerano, di B. Anselmi, Murlo Cultura 5/2013.