La Roncola
RACCONTI
Arrivai a casa contrariato quella sera, non sapevo rassegnarmi d’averla persa.
Ne ricordavo perfettamente ogni dettaglio: la A per Agostino, incisa con il coltello sul manico, lo spago ormai consunto per appenderla e i quattro ribattini, due per parte per rendere solidale la lama al manico. Fino a quando non giunsi al parcheggio sperai di essermi sbagliato nella ricerca e di averla messa dentro al sacchetto dove tenevo occhiali e patente, macché non c’era proprio.
Mentre con Foffo prendevo il caffè, raccontai la mia disavventura agli altri convinto dell’impossibilità di poterla ritrovare data la tortuosità del percorso e la difficoltà di ricalcare esattamente il tracciato fatto nel pomeriggio. Ne parlai anche con Giorgio e Giuliana a Vignali, durante la cena, sempre con il pensiero fisso sulla roncola perduta. A letto, mentre stavo entrando nel dormiveglia che precede il sonno apparve mio padre dicendomi:
“Domani torna a cercarla!”
Ed io: “Ma babbino, dove la cerco? Hai visto la strada che ho fatto e in quali posti sono entrato! Non ho la minima idea da quale parte rifarmi...”
Lui scuotendo la testa continuava a dire: “Pensaci su”.
Io ci pensai tutta la notte senza riuscire a capire le cause, né individuare il luogo dello smarrimento.
Al mattino ero deciso; mi vestii in tenuta di “campagna” e uscii. Incontrai di nuovo Foffo da Aldo, prendemmo un cappuccino assieme e a tutti dissi della mia intenzione di rifare il percorso per rintracciare la roncola partendo dal ponte sotto Botrello, e così feci. Lasciai la vettura al solito posto di sempre e m’incamminai veloce lungo l’antica sede della ferrovia evitando le pozze d’acqua
Ricordavo di essermi fermato all’inizio della curva in trincea per scattare alcune foto, e in quel momento ebbi la certezza di ritrovarla. Giunto nel punto ove mi ero fermato la vidi. Era là tra l’erba dello stradello, bagnata dalla rugiada notturna, col manico rivolto nella mia direzione dove spiccava la A incisa da mio padre.
Prima di raccoglierla la fotografai mentre non potei fare a meno di urlare: “Babbino!”.
La raccolsi mettendola in borsa e mentre tornavo verso la vettura tenendola ben stretta ricostruii l’avvenimento. Ricordai di averla avuta tra le mani quando decisi di fare le foto e di averla appoggiata in terra per trarre dalla borsa la macchina fotografica e nel fare le foto d’aver riposta la macchina in borsa senza rammentare la roncola che vi si trovava sotto.
Rientrai a Murlo. Dalla mia partenza erano trascorsi appena cinquanta minuti.
Ho raccontato le conclusioni della mia storia in giro, tutti sono stati contenti per me e tutti si sono detti convinti di essere stato mio padre a guidare i miei passi.
Io sono un tipo scettico ma, in questo caso mi piace credere che le cose siano andate proprio così davvero!
Luglio 2000