Come eravamo?
EDITORIALE
Già: com'eravamo qualche tempo fa prima della pandemia? Senz'altro diversi anche se per accorgercene è stato necessario che trascorresse un bel po' di tempo. Il luogo dove viviamo è piuttosto defilato ed il rapporto esistente tra abitanti e superficie del territorio lo fa apparire addirittura spopolato a chi non lo conosce a fondo. So benissimo che si tratta di un discorso sul quale ci sarebbe molto da ridire visto che il settanta per cento del territorio si presenta come bosco dove non abita nessuno e che, se valutato in maniera giusta farebbe risalire la presenza umana sul rimanente ad una concentrazione quattro volte superiore all'attuale. Però quando si fa notte e ognuno si ritira nella propria casa scende ovunque il silenzio infondendo sull'abitante solitario un senso di inquietudine che ne accentua il disagio. Nel cielo stellato di stasera non c'è una nube, permettendo alla luna piena di creare un paesaggio che rievoca ricordi lontani di antiche paure che la ragione non riesce a scacciare. Si tratta di una sensazione lontana che fa riaffiorare le lunghe serate invernali trascorse da sfollato con i miei fratelli nel podere di Ginestrelle nei pressi di Montisi. I miei genitori avevano deciso di metterci al sicuro, convinti che sarebbero stati più liberi nei momenti di difficoltà in arrivo con l'approssimarsi dell'esercito alleato. Si apriva così un mondo del tutto sconosciuto, specie il notturno così diverso da quello di città. Le serate venivano trascorse presso il canto del fuoco dove c'era sempre qualcuno che raccontava le storie, anche quelle più assurde che pur affondando le loro radici nella realtà divenivano con lo svolgersi della vicenda sempre più surreali a seconda del narrante portato a ricamarci sopra. Senza dubbio c'era meno cultura scolastica ma non se ne sentiva la mancanza sia perché compensata dall'estro e dalla fantasia oltre all'abitudine di ritrovarsi a veglia o a cantare di poesia. A quel tempo chi possedeva una radio era annoverato tra la gente ricca anche se era stato costretto dal regime a farla piombare per ridurne il campo di ricezione e il conseguente ascolto di trasmissioni provenienti da paesi con i quali eravamo in conflitto. Questa carenza di contatti col mondo esterno induceva a volerne sapere di più sul luogo in cui vivevamo. Non bisogna dimenticare che c'era poco tempo per la cultura visto che la gente iniziava a lavorare giovanissima, ma questa carenza era compensata da una maggiore solidarietà che trovava tutti uniti e decisi nel momento del bisogno. Ogni angolo del territorio non restava inesplorato ed anche il più giovane di allora ne aveva maggiore conoscenza di quanto non ne sappia oggi il residente che non ha sentito il bisogno di esplorarlo per intero. Così come stanno le cose, assieme al nuovo che arriva, si chiudono quelle porte sul passato che ormai solo uno sparuto gruppo è in condizione di poter ancora socchiudere. Eravamo migliori o peggiori? Chi può dirlo, ma senza dubbio: eravamo diversi.