Il Conglomerato rosa de L’Orsa
Se qualcuno, consultando il secondo quaderno culturale della nostra Associazione, sofferma lo sguardo a pagina 11 laddove si parla dei materiali impiegati per la costruzione dell’Eremo di Montespecchio, noterà che tra questi viene menzionato il “conglomerato rosa” usato in larga parte nella realizzazione della chiesa. La ricerca della cava, che ritenevamo fosse vicina al cantiere, richiese un tempo maggiore del previsto e venne poi localizzata da Barbara Anselmi nei pressi del podere L’Orsa su indicazione di Rovaldo Silvestri, profondo conoscitore dei “sassi” presenti nel territorio di Murlo. Ma vediamo un po’ la descrizione di detto materiale che ne fa Barbara nel quaderno sopra menzionato: “Venne impiegato insieme alla serpentinite nel paramento esterno della chiesa e in esclusiva nella costruzione delle pareti interne e per il rivestiment o della volta. Si tratta di un conglomerato di origine lacustre in cui si riconoscono elementi di diversa litologia, cementati da una matrice calcarea color rosa salmone, a struttura molto fine. Talvolta la matrice è dominante rispetto ai clasti, conferendo maggiore uniformità e quindi maggior pregio a questo materiale lapideo che, ricordiamo, rappresentava la sola pietra rinvenibile nelle vicinanze adatta a rea lizzare il motivo dicromico del paramento esterno del- la chiesa, non essendo presenti in zona marmi bianchi come quelli utilizzati nel duomo di Siena. Il calcare rosa affiora presso la località L’Orsa, in particolare nelle pareti scoscese dell’alveo del fosso delle Bucacce e del torrente Sata, ove si riscontrano grossi massi erratici e frammenti dello stesso materiale. Questo calcare venne usato in prevalenza per la sua disponibilità ed anche per essere più facilmente lavorabile nei confronti della serpentinite. Dettagli di lavorazione che avallano tale supposizione sono riscontrabili specialmente nei “pezzi speciali” di collegamento per “rinterzare” la muratura, come nelle spallette delle porte, delle finestre e laddove veniva richiesta una specifica sagomatura del concio da adibire a particolari funzioni.” La cava della quale si era perduta la dislocazione, rivela oggi la sua posizione dominante rispetto al cantiere di utilizzo, consentendo a quel tempo il comodo trasporto del materiale lavorato fino a piè d’opera e permettendo inoltre di fornire agli scalpellini del cantiere le bozze di materiale grezzo dalle quali trarre i pezzi speciali aggiustabili sul posto. Il corso del fosso delle Bucacce segna il punto di contatto tra le rocce di origine lacustre e quelle più antiche riconducibili alle serpentiniti oltre che a delimitare il per imetro della cava. Qualche centinaio di metri oltre l’abitato di Campopalazzi, sulla provinciale per Montepescini e nei pressi della località La Pieve, è facile rinvenire interessanti campioni di Ostraea lamellosa che confermerebbero l’origine lacustre del conglomerato. Più in basso, un altro fosso, ai cui bordi vennero identificate due fornaci per calce e dalle quali prese il nome, presenta nel proprio alveo grossi ciotto li calcarei venuti alla luce per effetto dell’erosione operata dallo scorrimento delle acque. Questi: quale unica presenza di calcare visibile nella zona, furono utilizzati per alimentare quelle fornaci che il Catasto Leopoldino menziona come “dirute” per fornire forse la calce balzana occorrente a edificare le strutture dell’eremo di Montespecchio.