Vallerano: luogo di tesori nascosti
L’ antico Vescovado è stato da sempre un territorio di cave e di miniere che, pur ubicate in luoghi estremamente selvaggi, hanno rappresentato utili fonti di sopravvivenza. A Vallerano, una delle frazioni nei pressi del fiume Merse, la miseria è sempre stata di casa a partire dal tempo delle devastazioni provocate dal passaggi o dell’esercito di Alarico diretto a Roma per conquistarla e saccheggiarne le ricchezze. Coloro che sopravvissero a tale sciagura, e così pure i loro discendenti non riuscirono più a riportare quei luoghi ai tempi felici di quando il legionario Valerio vi fece la sua comparsa e le dette il nome. I diaspri e le rocce antiche sopra le quali l’abitato si trova nascondono da sempre minerali utili che in un passato abbastanza recente attirarono l’attenzione di ricercatori intenzionati ad acquisirli intravedendo in essi una possib ile fonte di ricchezza. Ben presto l’ euforia iniziale apparve come il mate- riale di cui sono fatti i sogni che scompare alle prime luci del mattino, anche se le tracce ancora tangibili nel bosco servono solo a risvegliare ricordi ormai perduti nella memoria lontana.
Oggi la zona mineraria è divenuta di difficile accesso perché la macchia ha invaso ogni spazio libero chiu- dendo le vie per i piazzali della miniera ed ai resti dell’antico mulino posto dove il fosso della Brogina si getta in quello di Pietra Cupa. Una ventina di anni fa era possibile arrivare agevolmente al piazzale superiore della miniera seguendo lo stradello che si staccava dalla via per Vallerano all’altezza della fontanina dell’acqua e delle vasche di raccolta più in basso . Esse servivano da abbeveratoio agli animali e da riserva d’acqua per innaffiare i piccoli appezzamenti adattati con cura ad orto. Il sentiero li attraversava prima di addentrarsi nel bosco. Quasi subito si giungeva in un luogo ove si apriva la scenderia di collegamento tra l’esterno e le gallerie di coltivazione e carreggio in sottosuolo. Oggi accedere alla miniera da questo lato non è più possibile e la macchia che lo vieta, protegge in qualche modo anima li e persone dal pericolo che ancora la scenderia rappresenta. A dire il vero esisterebbe un altro passaggio difficilmente individuabile, mentre è praticabile un’altra via di accesso più lunga ma piena d’interesse naturalistico e culturale. Quest’ultima, che prende avvio dalla croce di legno posta all’ingresso del villaggio, nacque per accedere ad alcune cave di manganese localizzate sul versante occidentale di Vallerano e per recuperarne il minerale del quale è possibile ancora oggi osservare alcuni mucchi nel bosco. Il sentiero prosegue poi fino alla cong iunzione dei fossi di Pietra Cupa e delle Cave, al di là del quale esisteva una strada detta dei Fangacci che conduceva alle cave di serpentinite di Poggio alla Croce per proseguire poi verso Casciano.
L’ambiente è certamente cambiato rispetto al tempo delle cave, ma basta risalire il corso del fosso di Pietra Cupa per convincersi che la sua essenza e la selvaggia bellezza hanno invece conservato intatto il loro fascino. Dopo aver percorso qualche centinaio di metri nell’alveo del fosso gettando un’occhiata curiosa alle varietà dei ciottoli che ne costellano il greto, si giunge al piazzale dove si apriva la galleria inferiore della miniera. Copiosi sono i residui di minerale degradato sparsi intorno, dove è possibile reperire interessanti campioni di calcopirite e di altri minerali di rame. Ai bordi del pianoro la macchia cresce rigogliosa e selvaggia facendo scomparire il sentiero che sulla sinistra, attraverso la cosiddetta “Cetina del Righi”, conduceva al piazzale superiore ed a lla via di Vallerano. Sul lato destro del piazzale, due spezzoni di muro di contenimento formano un angolo indicando l’inizio del sentiero che in qualche decina di metri di percorso raggiunge la mulattiera diretta laddove esistono ancora alcune prospezioni sul terreno per localizzare il minerale. Il piazzale della galleria superiore si trova a pochi passi, delimitato da copiose discariche dove è facile reperire interessanti campioni dal colore azzurrino. Sul lato sinistro un sentiero si stacca dal piazzale e, dopo aver attraversata la predetta “Cetina”, incontra la parte terminale della mulattiera proveniente dal piazzale inferiore per immettersi a sua vo lta nella via verso il villaggi o di Vallerano. La mappa che riportiamo nella pagina seguente è stata stralciata da lla tesi di laurea di Barbara Anselmi. Venne eseguita nel 1918 ed allegata al permesso di ricerca di minerali di rame denominato “Vallerano” e gestito dalle Miniere Riunite Savelli. Questo interessante documento, dal quale è stata ricavata la vista a volo di uccello della zona riportata nella pagina precedente, mostra lo sviluppo dei percorsi in sottosuolo riferiti al piazzale superiore e collegati alla scenderia ancora aperta menzionata all’inizio dell’articolo. I riferimenti alla chiesa di S. Donato sono evidenti e così pure a quello del diruto mulino del quale si parlò nel numero unico della passata edizione della Festa in Collina. Questi viene indicato sul lato sinistro della carta a qualche centinaio di metri dalla miniera, al bordo del fosso di Pietra Cupa e a sbarramento di quello della Brogina. Le chiavi di lettura ancora rilevabili sul terreno, assieme alle notizie fornite da preziose carte come quella riprodotta, danno l’idea di quanto intensa fosse l’attenzione verso possibili risorse nascoste nel territorio e quale l’interesse verso una loro possibile acquisizione. Dopo secoli di vita trascorsa in condizioni di estrema indigenza, veniva ad accendersi nelle popolazioni locali la speranza di poter migliorare la propria qualità di vita e per qualche tempo le iniziative prese lo fecero credere davvero. In seguito tale aspirazione apparve, come già accennato, simile ad un sogno di breve durata e le attuali condizioni del villaggio lo sottolineano per intero.