Ottobre amaro
autunno, di solito, si presenta vestito di colori dorati, caldi, quasi volesse esortare gli esseri viventi a prepararsi, magari senza troppa fretta, ai rigori della brutta stagione. Ricordo ancora le vignette di Boccasile sulle riviste d’anteguerra dove, esaltando il clima tiepido dell’autunno, prosperose ragazze invitavano a fare lunghe passeggiate in campagna per ritemprare il corpo e lo spirito dalle fatiche del lavoro o della scuola. L’autunno di allora sembrava fatto apposta per questo, mentre quello di oggi sembra che non porti altro che cattive notizie o brutte sorprese. Il tempo, i mesi, i giorni e addirittura le ore sembrano aver assunta un’altra fisionomia fatta di precario e d’incertezze dove è sempre più difficile ritagliarsi uno spazio per costruire un futuro possibile. La graduale perdita di quella manualità imperante che un tempo consentiva di farsi strada attraverso i tanti mestieri che si differenziavano tra loro, ha creato un vuoto profondo in ogni campo, difficile da colmarsi entro tempi brevi. Anche le stagioni non sono più le stesse e se in epoche non troppo lontane i proverbi usciti da osservazioni attente potevano avere un senso, oggi vengono rammentati come qualcosa di pittoresco capace solo di dare una pennellata di colore ai sempre più rari racconti della veglia. Sembra quasi che la natura abbia deciso di volersi rifare per le troppe violenze subite da mezzo secolo a questa parte e che abbia scelto di farlo mettendo in campo eventi eccezionali, mai visti prima. Periodi di disastri ci sono sempre stati ma non con questa tecnica imprevedibile e perversa ove, con ricorrenze sempre più ravvicinate assistiamo a fenomeni che da eccezioni stanno divenendo regola. Quanto accaduto col nubifragio di fine ottobre ha lasciato segni profondi nell’assetto ritenuto consolidato nel nostro territorio e insinuato forti perplessità e dubbi nelle menti circa la sua futura tenuta. Molti segni dell’uomo sono scomparsi e molti altri appaiono a rischio entro tempi brevi. Buona parte delle modifiche apportate all’ambiente dal progresso e dalla mutata qualità di vita vengono messe in discussione per la scarsa capacità di opporsi validamente agli eventi straordinari che in questi ultimi tempi si stanno riproponendo con maggior frequenza. Le imponenti mutazioni climatiche in atto stanno mettendo a dura prova i materiali e le tecniche costruttive del momento e, soprattutto la politica di gestione del territorio che sembra non aver tenuto conto, nella progettazione delle nuove strutture, della capacità di tenuta dei luoghi scelti per accoglierle. Da tutto questo ne deriva un disagio diffuso e fortemente sentito da chi, costretto per necessità o scelta a vivere in zone ritenute ormai consolidate le trova invece inaffidabili da un momento all’altro. Porzioni di strade, ponti, ferrovia, servizi primari divenuti inagibili e, di conseguenza luoghi ritornati indietro di mezzo secolo ma con attività, esigenze e oneri rimasti attuali. Un quadro inquietante, di difficile soluzione e dalle pessimistiche prospettive anche in relazione alla carenza di risorse disponibili per poterlo mutare. Questi i problemi e quali le soluzioni? Osservando l’assetto territoriale di Murlo nelle mappe del Catasto Leopoldino è possibile notare come si fosse tenuto conto degli effetti sull’ambiente col succedersi delle stagioni e come si fosse cercato di porvi rimedio. Le strade che attraversavano il territorio potevano suddividersi in due categorie: quelle di cresta più lunghe ma percorribili tutto l’anno e quelle traverse, più brevi ma talvolta inagibili con la cattiva stagione. Le esigenze di traffico erano diverse e così pure i mezzi, ma nella loro semplicità garantivano il transito con qualsiasi stagione. I rari ponti esistenti sui corsi d’acqua principali erano realizzati con criteri tali da farli giungere pressoché intatti fino ai giorni d’oggi. La maggior parte di questi hanno resistito ad ogni calamità naturale e quelli andati perduti lo sono stati per mano dell’uomo durante il periodo di guerra. Perché allora non ripensare, nel clima d’incertezza e nella carenza di risorse, a un ritorno non dico al passato ma a prendere seriamente in esame criteri che in tempi non troppo lontani hanno funzionato. In periodo di siccità si possono ancora attraversare i torrenti con le ridicole passerelle che ben conosciamo, ma in caso di emergenza il ricorso ad una riqualificata viabilità di cresta potrebbe essere auspicata e capace di risolvere quei problemi ritenuti oggi insolubili. Il dotarsi di “vie di fuga” quando arriva il peggio non mi sembra sbagliato proprio per niente e potrebbe darsi, che a conti fatti venisse a costare anche meno. Occorrerebbe però proporsi di stare alle regole, cosa assai difficile per noi italiani inguaribili individualisti, ma sono certo che potrebbe funzionare davvero. E se così fosse questo ottobre 2013 potrebbe apparirci un po’ meno amaro di quanto, in effetti si è mostrato. ’