MurloCultura 2013 - Nr. 5

La ferrovia Fell del Cenisio a Murlo

di Luciano Scali

SEGNI DELL'UOMO - prima puntata

 

Con il numero scorso, la rubrica “Il Muratore” lascia il posto a “I segni dell’uomo”. Questa definizione si riscontra spesso nel campo dell’editoria e del giornalismo, ma diviene d’obbligo nel nostro caso laddove si parla della storia, del costume e degli eventi che interessano da vicino il territorio in cui viviamo. Quando l’uomo interviene sulle caratteristiche dell’ambiente per adattarlo alle proprie esigenze, lascia dietro di se alcune tracce che perdurano nel tempo sopravvivendo addirittura al contesto di cui facevano parte. L’ambiente si evolve ma alcuni segni restano invariati con la capacità di narrare la propria storia a coloro che abbiano voglia di ascoltarla e comprenderla. I segni di cui parlo sono poco appariscenti, si mascherano nell’ambito in cui si trovano e quindi risultano di difficile lettura all’osservatore che voglia rilevare tracce capaci di condurlo a riscoprire l’evento che le ha lasciate. Se per combinazione lo sguardo distratto vi si sofferma sopra, non sempre riesce a scorgere nel suo nuovo impiego quello originale per cui era stato fabbricato. Può apparire piuttosto come una presenza inappropriata anche se riesce a svolgere con buon risultato la sua nuova funzione. Così è la realtà ed anche nel vivere quotidiano accade spesso di trovarsi protagonisti in campi nei quali mai avremmo immaginato di capitare, eppure continuiamo ad andare avanti senza sentirci fuori posto o penalizzati per questo. La prima nostra storia vera è nata così: nel notare alcuni dettagli bene in vista su altrettanti manufatti obsoleti e dove, per la loro funzione originale non avrebbero mai dovuto esserci. Non è cosa comune accorgersi che una porzione di rotaia è stata usata quale chiave di catena per tenere assieme le parti di una costruzione lesionata, e riscontrare come riesca ad esplicare in maniera appropriata tale funzione. Chiunque capirebbe al volo che si è trattato di una soluzione di ripiego, della necessità di usare un materiale a portata di mano anziché andare a cercarsene un altro, più esteticamente appropriato magari, ma tutto da fabbricare. Proprio grazie a questa apparente anomalia è stato possibile venire a conoscenza di una storia affascinante altrimenti destinata a finire nel dimenticatoio. Guardiamo più da vicino il soggetto di nostro interesse costituito da una porzione del medesimo tipo di rotaia presente in due diversi manufatti distanti tra loro: sulle pareti della fornace continua presso il villaggio della miniera conosciuta come “la Fortezza”, e nel ponte sul Crevolone all’imbocco della galleria delle Verzure (fig. 1).

 

 
Fig. 1. Spezzoni di rotaia Vignoles dell’armamento originale della ferrovia, usati come chiavi di catene nel ponte sul Crevolone all’imbocco della galleria delle Verzure (immagine a sinistra) e sulla fornace continua per calce (“la Fortezza”) nel villaggio della Miniera.

 

 

Dal rilievo effettuato direttamente sopra uno dei campioni situato in posizione accessibile si riscontra che la sezione e le sue dimensioni corrispondono ad una rotaia del tipo Vignole compatibile con le informazioni apprese da una pubblicazione specializzata sulle ferrovie secondarie e industriali nella provincia di Siena (1).
Raggiunta l’unità politica d’Italia, avevano preso avvio dal Piemonte grandi iniziative finalizzate ad unificarla anche sul piano territoriale cercando di legare in un unico contesto realtà suddivise in piccoli stati autonomi fino a farle divenire una vera Nazione. Nacquero così grandi progetti innovativi che in previsione di poterli realizzare spinsero enti e investitori privati a impiegare i propri capitali in imprese che promettevano lavoro duraturo e adeguati profitti. Nel frattempo a Murlo, in un territorio rimasto per secoli nell’immobilismo più assoluto, qualcuno aveva scoperto un giacimento di lignite facendo intravedere la possibilità di sostanziali cambiamenti per innescare un periodo di progresso mai conosciuto. Il bisogno di capitali spinse persone benpensanti a reperirli laddove potevano trovarsi per impiegarli in un’impresa di sicuro successo. Fortuna volle che tra gli abitanti di Murlo vi fosse qualcuno che attraverso le sue origini piemontesi avesse conoscenze in quell’ambiente e che ad esse potesse rivolgersi. Così fu, e proprio da Torino, assieme alla prima società mineraria ivi costituitasi, arrivarono capitali e tecnici per dare avvio ad una impresa di grandi promesse. Le risorse naturali presenti in gran copia nel territorio costituivano il presupposto per il sicuro successo dell’impresa. Venne dato inizio alla costruzione di un villaggio minerario e preso in esame il problema relativo al trasporto verso i mercati della lignite scavata e dei leganti derivati dalla cottura dei calcari e delle marne presenti nella zona.
Nel frattempo, ancor prima della scoperta della lignite nel comprensorio di Murlo, e precisamente al confine tra il Piemonte e l’Alta Savoia venne deciso di costruire una ferrovia che collegasse la Val di Susa a Saint Michel de Maurienne.
Fin dall’inizio del diciannovesimo secolo una strada voluta da Napoleone valicava il colle del Moncenisio (2083 m s.l.m.) per assicurare un rapido transito delle merci tra Francia e Italia ma restava intransitabile per buona parte dell’anno a causa delle abbondanti nevicate, le slavine e il disgelo. Tali difficoltà spinsero alla ricerca di un collegamento tra i due territori da potersi effettuare con qualsiasi tempo, che venne individuato nel traforo del Frejus tra le stazioni di Bardonecchia e Modane. Però i lavori, a causa delle difficoltà accennate procedettero assai lentamente nei primi anni tanto da consigliare l’attivazione di una linea ferroviaria provvisoria che utilizzasse il valico del Moncenisio in attesa che il traforo del Frejus venisse completato. Nel 1865 un certo Thomas Brassey associato con l’ing. John Barraclough Fell, propose all’imperatore Napoleone III di costruire una linea ferroviaria provvisoria tra i paesi di St. Michel de Maurienne e Susa che transitasse per il Moncenisio. Nel febbraio del 1867 presero avvio i lavori per la sua realizzazione ricorrendo a soluzioni tecniche d’eccezione con l’ausilio di un binario a aderenza artificiale capace di consentire ai convogli in transito di superare le forti pendenze del tracciato. Pur affiancandosi alla strada carrozzabile esistente, chiusa per buona parte del periodo invernale, questa poteva rimanere agibile grazie a particolari gallerie artificiali che la proteggevano dalla neve e dalla caduta di valanghe. Poiché il tracciato si snodava sul ciglio di paurosi burroni, i finestrini delle carrozze del convoglio furono realizzati molto in alto affinché i viaggiatori non rischiassero d’essere presi dal panico nell’affacciarsi (Fig. 2).

 

Fig. 2 - Il treno Fell del Moncenisio. Da notare la posizione molto alta dei finestrini delle carrozze passeggeri.

 

Dopo soli sedici mesi di lavori che videro la perforazione di numerose gallerie nella roccia e la costruzione di arditi ponti, il 15 giugno del 1868 la ferrovia Fell venne inaugurata e i treni presero servizio lungo i suoi 77 chilometri. Nel frattempo i lavori per la perforazione del tunnel proseguivano completandosi nel marzo del 1871. L’inaugurazione dell’intero tratto ebbe luogo il 17 settembre 1871 e due giorni dopo, il 19 settembre, la ferrovia Fell del Moncenisio cessò l’esercizio durato circa tre anni e 4 mesi appena, durante i quali furono percorsi 320.000 km e trasportati oltre 100.000 passeggeri. Col cessare dell’attività, buona parte del materiale rotabile fu avviato alla ferrovia che collega Losanna a Echalleus in Svizzera dove, ancora oggi uno dei vagoni restaurato partecipa a speciali manifestazioni di macchine a vapore; mentre una parte dei binari fu dirottata verso il territorio di Murlo dove stava prendendo corpo il suo villaggio minerario per poterne armare la ferrovia di collegamento con la “Traversa Toscana” e la rete nazionale. Come sia stato possibile riuscire ad accaparrarsi una parte delle rotaie della dismessa ferrovia del Moncenisio si può intuire dando uno sguardo ai personaggi che sottoscrivendo un capitale azionario di un milione e mezzo di lire, costituirono il 27 luglio 1872 in Torino, la Società della Miniera Carbonifera di Murlo. Quale presidente della società e tra i maggiori sottoscrittori figurava l’ingegnere Luigi Ranco esperto in costruzioni ferroviarie che gran parte aveva avuto nel traforo della galleria dei Giovi, in quello del Frejus ed anche nella temporanea adozione della ferrovia a aderenza artificiale Fell del Moncenisio. La firma dell’ingegner Ranco, che diverrà in seguito più volte deputato al parlamento italiano è quella che appare nei certificati azionari sopra menzionati. Cosa avessero di speciale le rotaie tipo Vignole (dal loro inventore) arrivate a Murlo è facile intuirlo: erano in buono stato, e poiché non doveva essere facile piazzarle sul mercato, costavano poco. Di sicuro a Murlo avrebbero svolto un servizio normale senza dover ricorrere alla terza rotaia come si era reso necessario sul Cenisio dove il treno era costretto ad affrontare pendenze tali che potevano superare l’otto per cento. La ferrovia carbonifera di Murlo nel momento in cui aveva dovuto scegliere tra due tratti possibili che la collegassero alla Centrale Toscana alle Taverne d’Arbia, oppure alla Traversa Toscana a Monte Antico, aveva scelto quest’ultimo poiché, affiancandosi al fiume Ombrone aveva tutto il percorso in discesa con il treno a pieno carico. Di certo lo spostamento dal Piemonte a Murlo di oltre quaranta chilometri di rotaia in barre da cinque a sei metri e mezzo cadauna, dovette rappresentare un problema di tutto rispetto. Il loro peso di circa 28 kg. per metro lineare assommava a 1120 tonnellate e le barre, una volta giunte alla Stazione ferroviaria di Siena ubicata a quel tempo alla Barriera di San Lorenzo, dovettero essere trasportate al Villaggio della Miniera probabilmente con mezzi di cui non si riesce a immaginare il tipo e attraverso strade alcune delle quali prive di ponti. Magari conforta il pensiero che una volta giunte sul posto le rotaie siano state messe progressivamente in opera al servizio dei cantieri lungo la linea per poterli rifornire dei materiali e per il trasporto degli operai vista l’inesistenza di strade che li collegasse. Notizie parlano di ripensamenti circa lo scartamento della strada ferrata preventivato all’inizio in versione ridotta e poi definitivamente assunto in quella normale. Affermazione non certo di poco conto se si pensa alle modifiche da apportare al manufatto con conseguente smontaggio del precedente, la sostituzione delle traversine con altre di dimensione maggiore e la rettifica alle dimensioni di alcune gallerie già realizzate. Finalmente l’attività della Miniera prese avvio con alterne vicende fino alla chiusura per fallimento nel 1894 dopo poco più di vent’anni di attività. La ferrovia fu disarmata e le rotaie vendute come ferro vecchio. Qualche pezzo rimase però nascosto da qualche parte in attesa di essere riscoperto e re-impiegato in altro uso com’è accaduto appunto a quei pezzi che ben pochi vedono ma che hanno la capacità di raccontare la loro storia a coloro che siano disposti ad ascoltarla.

 

 

Bibliografia

(1) Siena e il suo treno di Adriano Betti Carboncini, Cortona 1991.

 

FacebookTwitterGoogle Bookmarks
Associazione Culturale di Murlo APS
Sede legale: Piazza della Cattedrale 4 - 53016 Murlo (SI)
P.IVA 00808660526