Il valore didattico del lago dell’Acquabuona
SEGNI DELL'UOMO - quinta puntata
Quando decisi di trasferirmi a Murlo, non avevo la cognizione esatta del contesto nel quale ero venuto ad abitare. Mi aveva affascinato il luogo ma non pensavo che racchiudesse in se tutto quello che sarei riuscito a scoprire nell’abitarci stabilmente. I suoi contenuti sono affiorati poco a poco col trascorrere del tempo e simili al mitico filo di Arianna si stanno ancora oggi collegando tra loro dando luogo a storie affascinanti, restate da sempre sotto i nostri occhi, ma divenute comprensibili solo di recente. Avevo sentito parlare vagamente del lago dell’Acqua Buona, o Acquabona a seconda di chi lo menzionava, senza immaginare che avesse pressappoco la mia età e che si fosse formato artificialmente a seguito dell’intervento dell’uomo. Nel luogo in cui si trova ubicato, correva un’antica strada ridottasi ormai ad una traccia angusta rassomigliabile piuttosto a un fosso anziché a un percorso quotidianamente frequentato dai minatori di Casciano che si recavano al lavoro in miniera. Viaggiava sul crinale di Colle Lungo, o Collo Lungo per qualcuno, proveniente da un altro luogo singolare chiamato per le sue caratteristiche Pietra Focaia per condurre a Pieve a Carli, antica chiesa nei pressi di Murlo. Con l’apertura dei cantieri la strada prese anche un’altra direzione, quella verso il villaggio minerario dove i minatori quivi giunti venivano poi smistati nei vari punti di escavazione della lignite. Nella zona, a partire dalla via del Leccio Scritto (la via che l’Olivello porta a Casenovole), esistevano due fossi che, riunendosi prima di entrare nel Crevolicchio, formavano tra loro un poggio che veniva a trovarsi tra quello di Colle Lungo e dell’Acqua Buona (fig.1).
Fig. 1. La zona dell'Acqua Buona nel Catasto Leopoldino del 1821, ancora senza il lago (immagine in alto) e nel rilievo catastale del 1933, con il lago già formato (ricostruzione grafica di L. Scali). |
La genesi del lago prese avvio negli anni Trenta e precisamente con la gestione della miniera da parte della ditta Venanzio Sampoli di Siena. Questa, per nulla intenzionata ad estrarre la lignite dal sottosuolo e a ripristinare la funzione del pozzo del Cerrone allagatosi con l’abbandono della gestione SAI-Ansaldo, si limitò a scavarla a cielo aperto e a cercare la sistemazione della terra di copertura del banco nelle zone limitrofe. Si narra che nel coltivare a cielo aperto i cantieri di Roma Alta, la terra di risulta venisse sistemata nelle vicinanze dando luogo a un grosso deposito che per troppo sovraccarico e per le piogge scivolò verso valle interessando la strada dei cantieri e andando addirittura a creare un temporaneo sbarramento nel fosso Crevolicchio. Il predetto gestore, prontamente attivatosi, ritenne di avere individuata la soluzione ottimale riversando la terra di risulta nella vallata del fosso dell’Acqua Buona creatasi nel punto di contatto tra i diaspri e il deposito minerario nei pressi della galleria Roma Intermedia. L’accumulo dei detriti venutosi a creare col protrarsi dei lavori, formò la diga di terra che ancora oggi resiste e sulla quale corre un sentiero angusto proveniente dall’antica cava di Roma Alta. Il costante apporto d’acqua dei due rami del fosso provenienti dai poggi dell’Acqua Buona e di Colle Lungo, oltre a mantenere inalterato il livello del laghetto, contribuisce lentamente a ricoprire di terra la vegetazione originaria sommersa dalle acque. Si stanno così ricreando in quest’area ristretta, sotto i nostri occhi, e con ben pochi che se ne rendano conto, le medesime condizioni che milioni di anni or sono dettero luogo all’intera zona mineraria. E’ proprio qui che si concretizza il nuovo segno dell’uomo, che per necessità contingenti di lavoro apportò drastiche modifiche all’assetto naturale del territorio ricreando in miniatura ciò che la natura stessa aveva fatto al momento in cui venne a formarsi il deposito organico nei bacini lacustri miocenici, per trasformarsi poi in carbone. Da questo invaso artificiale nessuno vedrà mai trasformata in lignite la porzione di bosco sommerso dalle acque come accaduto realmente nei cantieri minerari limitrofi, mancando i tempi necessari per ottenerla. Si verificheranno semmai quelle fasi iniziali che danno avvio al processo di carbonizzazione ma che non potrà aver luogo per la sopravvenienza di altre cause. A seguito del colmarsi della cavità in tempi piuttosto brevi, i rapidi fenomeni fisici di modifica del terreno prevarranno su quelli chimici assai più lenti di trasformazione del legno sommerso in carbone, provocando nuove erosioni capaci di incidere il deposito di terra, trascinare i residui del bosco sommerso e riportare così la valle alle caratteristiche originali perdute.
Tutto questo può sintetizzarsi con altri termini (Fig. 2):
- il fosso dell’Acqua Buona scava, col suo scorrere, una valle nelle rocce giurassiche prima di confluire nel Crevolicchio depositandovi i materiali trasportati;
- lo sbarramento del fosso, procurato dall’uomo, facilita la sedimentazione dei materiali erosi trasportati sulla vegetazione sommersa ricoprendola del tutto;
- il sedimento finirà col riempire il bacino e, a riempimento avvenuto, il fosso inizierà di nuovo a scorrervi sopra scavando una traccia nello sbarramento e successivamente in quel sedimento di cui era stato artefice ripristinandovi le condizioni per dare luogo ad una nuova vallata simile alla precedente, quando il descritto “evento anomalo” non era ancora iniziato.
Fig. 2. Ipotesi di evoluzione del laghetto dell’Acqua Buona. |
Di questi esempi nel territorio di Murlo ne esistono numerosi e i più possono ravvisarsi, per essere meglio osservati, negli invasi dei vecchi mulini. Presenti in più parti del nostro comune, laddove esistevano corsi d’acqua di una certa importanza, sono ancora oggi abbastanza leggibili ma ben pochi riescono ad associarli a quei fenomeni che permisero la formazione della lignite rinvenuta nel bacini minerari del Serpentaio e dello Schiavone. Negli invasi artificiali creati apposta per far funzionare i piccoli mulini dell’epoca, venivano a ricrearsi le condizioni verificatesi nel lago dell’Acqua Buona dando un bel po’ da fare ai mugnai, costretti nei periodi di magra a togliere dal bottaccio del proprio mulino l’accumulo di fango che vi si era depositato e che ne limitava capacità e funzionamento. Un esempio di “bottaccio colmato” è ancora visibile a Lupompesi nella località detta dell’Ingolla ove, contrariamente a quello del Mulino di Mezzo e a quello di Vallerano, il muro di sbarramento ha resistito. Nei due luoghi menzionati la caduta del muro di contenimento ha consentito al corso d’acqua di riprendere il suo primitivo percorso e di cancellare la gran parte di quel segno dell’uomo che lo aveva modificato.