MurloCultura 2015 - Nr. 1

Girovagando

di Luciano Scali

SEGNI DELL'UOMO

Il titolo può non dire granché ma dà l'impressione che sia stato messo lì da qualcuno che, non avendo meglio da fare, se ne sta andando in giro senza una meta precisa, lasciandosi trasportare più dai piedi che non da inesistenti pensieri. Talvolta accade nel camminare (allorché si cerca uno spunto per riempire la testa vuota), un qualcosa che inviti a fermarsi, per poter osservare gli oggetti da vicino, con maggiore attenzione. Quante volte sarò passato dal villaggio della Miniera? Non lo so, penso proprio di averne perso il conto ma non l'interesse per quanto ancora nasconde e che potrebbe rivelare. Ogni volta che ci passo si rinnova l'impressione della sua progressiva perdita d'identità quasi che il tempo, simile ad un impietoso scalpello, ne sgretolasse le strutture. Sono passati quasi tre lustri da quando la nostra Associazione, ancora euforica per la realizzazione del percorso didattico, cullava l'idea di recuperare la "Fortezza", il vecchio "manufatto per calce" situato in fondo al villaggio, per adattarlo a museo della miniera e delle attività che si erano svolte nel comprensorio. Un'idea ambiziosa forse, ma che avrebbe rappresentato il naturale completamento di un progetto più vasto capace di far rivivere quella zona che più di ogni altra aveva contribuito allo sviluppo dell'intera comunità di Murlo.
Un sogno utopico forse e proprio per questo pieno di fascino che per alcuni mesi ci fece sognare ad occhi aperti nella speranza che alcune importanti vestigia del passato venissero sottratte al naturale degrado e recuperate per fini didattici a complemento del già realizzato percorso. Ma, come tutti sanno, i desideri sono fatti dello stesso materiale dei sogni che svaniscono all'alba e, di quanto lungamente vagheggiato, rimane oggi un opuscoletto con testi, disegni e proposte a testimonianza dell'impegno profuso nel tentativo di concretizzare un'idea.

Fig. 1. Una delle fornaci da calce di Miniere di Murlo, conosciuta come "La Fortezza", vista da due angolazioni differenti. Sono visibili le chiavi realizzate con gli spezzoni di binario.


Oggi mi sono soffermato più a lungo del solito ai piedi della Fortezza, scattando qualche foto che andrà ad impinguare la corposa cartellina ad essa dedicata nel dossier del villaggio minerario. Un sistema come un altro per tenere sotto controllo l'evoluzione del degrado in una importante testimonianza del passato, ma soprattutto per tutelare, seppur virtualmente, un raro esempio ancora in essere che ricordasse come la produzione di grandi quantità di legante venisse ottenuta con metodi piuttosto semplici. L'interesse suscitato dalle vista di quelle strutture che consentivano di tenere assieme l'intero edificio e che oggi mostrano la loro precarietà, suscitano nel riguardante due sentimenti contrastanti: di tristezza per il loro prossimo collasso e di insperata opportunità di poter visionare ancora il segreto di particolari metodi costruttivi ormai superati. L'osservazione di quanto resta dell'originale struttura ci dice che il manufatto fu realizzato in due tempi, forse a seguito di un improvviso ripensamento in corso d'opera allorché venne acquisita la certezza di poter disporre di illimitate quantità di materia prima, e in secondo luogo di come questi facesse parte di un più ampio progetto finalizzato a modificare la primitiva politica mineraria limitata alla sola escavazione della lignite. In altri termini: la lignite non più reperita come bene da porre sul mercato in qualità di combustibile, bensì da usarsi in loco come mezzo di trasformazione di risorse esistenti in prodotti più pregiati e di maggior valore aggiunto, quali calci, cementi e laterizi. La Fortezza era uno di questi "manufatti di trasformazione"; un'autentica meraviglia costruttiva della quale avemmo modo di parlare su questa nostra rivista qualche anno fa. Anzitutto l'imbocco dei fornelli realizzato con volta tronco-conica "a strombo" in mattoni terzini e poi il rivestimento interno dei forni verticali a blocchi di "gabbro" reperiti nelle vicine cave assieme alla terra refrattaria per tenerli uniti. Ma quello che ancora oggi meraviglia e che alcuni dettagli rivelano, consiste nella conoscenza da parte del costruttore dei fenomeni in atto durante l'esercizio della fornace, ovvero della dilatazione delle sue strutture per apporto di calore e del conseguente restringimento durante le fasi "di riposo". Fenomeni naturali importanti da non sottovalutare, responsabili "dell'allentamento" delle strutture stesse e quindi forieri del loro possibile degrado. Un vero libro scritto in quanto resta della Fortezza, sul quale leggerne la storia, che non si sofferma al periodo della sua operatività e a quello dell'abbandono ma che la dice lunga sul mestiere e l'esperienza dell'ingegner Pirckher che ne fu l'artefice. All'osservatore attento non sfuggiranno le catene, alcune delle quali ancora in opera sulle pareti con il compito di assecondare i movimenti di dilatazione e restringimento accennati, ma anche, e soprattutto, di contenerli. Subendo esse stesse i movimenti relativi alle variazioni delle temperature, tenevano sempre le strutture murarie in tensione impedendo loro di scollegarsi e di conseguenza di limitare le infiltrazioni di umidità nelle fessure venutesi a creare con tali movimenti. E infine le chiavi di dette catene delle quali parlammo nella prima puntata dei "Segni dell'uomo" e riferite al recupero di spezzoni di binari Vignoles con i quali venne armata la prima strada ferrata dal villaggio della Miniera all'innesto con la ferrovia di Asciano-Monte Antico, nei pressi della Volta al Salcio.

Fig. 2. Particolare della catena di contenimento delle dilatazioni realizzata con un binario Vignoles.

 

Della loro presenza è utile fare un breve accenno che dà la quasi certezza che non si tratti delle chiavi originali ma di successive messe in opera più tardi con la gestione della miniera da parte della SAI Ansaldo. Infatti con la chiusura per fallimento nel 1893, ogni attività venne a cessare e riprese, appunto con tale gestione la quale dimostrò di voler dare nuovo impulso alle attività collaterali della miniera, ripristinando l'uso delle antiche fornaci. Proprio a quel periodo debbono riferirsi le chiavi che vediamo oggi ancora in opera sulle pareti della Fortezza ricavate da spezzoni della primitiva ferrovia, disarmata all'epoca del fallimento. Infatti quella ripristinata dalla SAI Ansaldo aveva caratteristiche diverse, a scartamento intermedio e quindi ridotto rispetto all'originale.
Girando ad occhi aperti durante una giornata triste d'inverno è possibile fare incontri con qualche loquace fantasma del passato il quale, in modo insolito, riesce a raccontare un po' della sua storia che, a rifletterci bene, è anche la storia del luogo in cui attualmente viviamo.

 

La Fortezza e i suoi fantasmi - di Luciano Scali

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