Il Mulino della Befa
SEGNI DELL'UOMO - settima puntata
Dopo essere stati a far merenda da Brunello alla Befa, è facile che venga la voglia di sgranchirsi le gambe per attenuare gli effetti di qualche bicchiere di troppo. Quale migliore occasione quindi per rientrare in equilibrio e acculturarsi andando a scoprire qualche segno dell'uomo ancora rimasto nei paraggi?
Usciti dal ristorante proviamo a tornare indietro invece di proseguire verso la stazione di Murlo e, dopo aver superato il cimitero, imboccare lo stradello appena accennato a sinistra seguendo il cartello che indica il "Mulin dei Frati".
Proprio da questo straordinario crocevia è possibile inoltrarsi in un percorso da dove ne partono altri, ognuno dei quali ha la facoltà di condurre in altrettanti luoghi fantastici capaci di riallacciare dialoghi smarritisi col trascorrere del tempo. Seguendo quello indicato dalla freccia, tra i diaspri della collina di Monte Pertuso e il limitare del bosco di lecci dove appaiono le prime sughere, si arriva ben presto ad una passerella di ferro ancorata a robusti spuntoni di calcare messa proprio in quel punto per attraversare il torrente Crevole.
Non è facile descrivere il posto perché appare come un concentrato di bellezze naturali da togliere il fiato, di segni dell'uomo lasciati in varie epoche e di luoghi storico-mistici tuttora di possibile lettura. Il dilemma consiste solo nell'operare una scelta ma l'impatto con il fabbricato dell'antico mulino, trasformato con gusto in un raffinato luogo ove trascorrere brevi vacanze, scioglie subito ogni dubbio in merito, invitando a seguire la sua storia ed i suoi annessi ancora in essere. Proposito più facile da formulare che accettare in toto poiché equivarrebbe a muoversi in un contesto speciale ad occhi chiusi. Meglio quindi effettuare una breve panoramica prima di affrontare il tema di questa puntata sui segni dell'uomo. Ai lati del luogo in cui ci muoviamo esistono due colli che si fronteggiano e che si fregiano dell'appellativo di monte, vale a dire Monte Pertuso e Monte Ambrogio, pur arrivando appena a 272 metri di altitudine il primo e 231 il secondo. Malgrado questo dato di fatto, bisogna dire che sembrano molto più alti di quanto non lo siano veramente, per come incombono sulla stretta valle dove "le due Crevole", quella di Murlo e quella di Monte Specchio (oggi Crevolone), s'incontrano. Sulle sommità dei due poggi gli antichi costruirono edifici; e se di Monte Pertuso si conoscono vita, morte e miracoli, di Monte Ambrogio invece non si può dire altrettanto. Gli storici stessi sono restii a pronunciarsi, probabilmente perché le notizie fino ad oggi pervenute non sono tali da dare attendibili risposte. Su Monte Pertuso esisteva un grosso villaggio di estrazione longobarda, una chiesa dedicata a San Michele Arcangelo che lo testimonia, ed un castello che i senesi distrussero nel 1271 per scacciarvi i fuoriusciti ghibellini che vi si erano insediati. La fortezza, i cui resti si vedono ancora, andò poi in rovina mentre il toponimo che identifica il posto va forse ricercato nella galleria percorribile fino a mezzo secolo fa che collegava la predetta fortezza alla chiesa.
In basso, alla confluenza dei due torrenti menzionati, dove le acque venivano a trovarsi più copiose che altrove, venne edificato un mulino molto tempo prima che la ferrovia passasse poche decine di metri più a ovest. Del toponimo "Mulin dei Frati" che adesso gli viene attribuito, non si trovano riscontri in documenti ufficiali, ed anche il Catasto Leopoldino lo identifica come "Molino della Befa". Il nome più pittoresco indicato nel cartello deve avere preso spunto, in epoca recente, dalla chiesa di Monte Pertuso dove la presenza di religiosi non doveva certo mancare assieme alla loro convenienza di venire a macinare le granaglie proprio in quel mulino lì. Ma ritornando all'oggetto di nostro interesse, non passa inosservato l'ampio invaso sul retro dove l'acqua, proveniente da uno sbarramento di presa piuttosto lontano (Fig. 1), costituiva il "bottaccio-riserva" per farlo funzionare.
Fig. 1. Lo sbarramento della presa d'acqua del mulino della Befa, sul torrente Crevolone. |
L'insieme delle strutture che sono comuni in ogni mulino, in questo della Befa appare in maniera particolare e dettagliata. Tutto il tratto che l'acqua percorre a partire dalla bocca di presa sulla platea, è un susseguirsi di soluzioni studiate ad hoc per superare le varie difficoltà naturali prima di sfociare nell'accumulo attiguo al mulino. La platea, come viene chiamato lo sbarramento attraverso il corso del Crevolone per prelevarne una parte delle acque da destinare al funzionamento del mulino, è stata ubicata laddove il torrente forma un'ampia ansa proprio nel punto dove ha inizio il ripido sentiero che disegnando nel bosco ampi ghirigori, conduce ad una zona "accetinata" più in alto da dove hanno inizio "le sugherete". E' questa una robusta costruzione a mattoni e pillole di fiume tenuta assieme da una malta di calce di eccezionale durezza che ha consentito al manufatto di mantenersi leggibile fino ai nostri giorni. Esistono vari muri che sbucano dal restone accumulatosi contro lo sbarramento, e seppure nascosti in gran parte dalla vegetazione, dalla ghiaia e dai materiali trascinati dalle piene, riescono a far comprendere all'osservatore curioso il funzionamento di questo sistema di presa. Il torrente giunge allo sbarramento dopo aver descritta un'ampia curva laddove la maggior portata delle acque viene convogliata, tramite un apposito corridoio, verso una bocca di presa la cui apertura è regolata da una saracinesca a ghigliottina. Il muro di sbarramento del torrente determina il livello dell'invaso che risulterà essere sempre più alto della bocca di presa per l'acqua del mulino. In parole povere: se il torrente continua a scorrere oltre lo sbarramento, vuol dire che a monte dello stesso esiste una riserva d'acqua capace di alimentare il bottaccio del mulino stesso. Durante i periodi di magra, allorché l'acqua ristagna prima dello sbarramento, la capacità operativa del mulino sarà garantita fintanto che il livello della riserva supererà la soglia della bocca di presa. Questa apertura sul muro veniva sbarrata da un porta a saracinesca che, scorrendo tra due guide verticali ricavate nelle spallette, poteva venire sollevata di quel tanto da garantire il regolare flusso delle acque verso il bottaccio del mulino. La saracinesca veniva sollevata per mezzo di una robusta vite collegata a un marchingegno azionabile dall'alto che ne permetteva appunto l'apertura desiderata. Si trattava di una operazione delicata poiché bisognava fare attenzione che le acque non acquistassero una velocità tale da provocare erosioni sulle pareti di terra del gorello ove scorrevano, evitando così il deterioramento di quel manufatto e l'accumulo oltre misura di fanghiglia sul fondo del bottaccio. Era questi uno degli inconvenienti che si verificavano presso il mulino, specie nel periodo delle piogge autunnali con l'apporto massiccio di detriti, foglie ed altre sostanze organiche presenti sul terreno. Ma è proprio il percorso del gorello a stupire con le soluzioni che presenta prima di esaurire la propria funzione. Infatti, per non interferire con la via per Resi, una parte di esso risulta "tombinata" ovvero scorre entro un cunicolo murato al di sotto della strada, che per un buon tratto vi passa sopra. Anche la ferrovia carbonifera riservò nella struttura del ponte, assieme ai passaggi della strada e del torrente, un tombino per l'acqua portata dal gorello.
Un'opera interessante davvero che, seppure in parte scomparsa o dimenticata, la dice lunga sull'inventiva dei nostri predecessori, abituati a risolvere i propri problemi di sopravvivenza aguzzando l'ingegno e rimboccandosi le maniche al fine di far divenire produttive alcune situazioni naturali.
Ma le sorprese che questo luogo riserba non si esauriscono con le vicende del mulino perché se osserviamo bene il tratto di sentiero che dal guado conduce verso il rilevato della ferrovia, notiamo sulla destra una cava ormai abbandonata da un bel po' dalla quale si traeva il calcare per produrre calce. Per contro, sulla sinistra, nel piazzale antistante il mulino si trovano ancora le strutture di due piccole fornaci per calce oggi abilmente conservate e adattate a deposito per attrezzi e a griglia per ottenere arrosti appetitosi.
Queste strutture sono ancora ricordate da qualche anziano della Befa o di Murlo come le fornaci del Guerrini, dal nome del fornaciaio che le ebbe in gestione nel dopoguerra (Fig. 2).
Fig. 2. Le fornaci del Guerrini, costruite accanto al mulino della Befa. A destra delle fornaci, è localizzata la piccola cava di calcare marnoso, ancora oggi visibile, usata per la produzione della calce. A monte del mulino, il gorello oltrepassava il ponte della ferrovia mineraria attraverso un apposito tombino (disegno di L. Scali). |
Anche se hanno cambiato aspetto e funzione sono da ritenersi fortunate per avere resistito all'abbandono dell'uomo ed al trascorrere del tempo, anzi, direi con un pregio in più per essere state in altro modo riutilizzate, dimostrando così che in questo caso l'ingegno umano non è venuto meno.