MurloCultura 2015 - Nr. 5

1917 da Spresiano a Murlo. Una famiglia in fuga dalla guerra

di Redazione

100 ANNI DALLA GRANDE GUERRA


Con nostra sorpresa e piacere, siamo stati contattati tempo fa dal Sig. Mauro Menegazzo, veneto di Spresiano, cittadina della provincia di Treviso lungo il Piave. Rievocando il centenario della prima guerra mondiale che ricorre quest'anno, ci ha raccontato che aveva iniziato a sistemare le vecchie foto e i ricordi di famiglia, quando si è imbattuto in un racconto del nonno che narrava le vicende del bisnonno (ritratto nella foto qui sotto), il quale nel 1917, con i figli e un carro trainato da buoi, arrivò profugo proprio a Murlo, dove lavorò alle miniere di lignite allora gestite dalla Società Ansaldo. Di seguito la sua lettera e le testimonianze.

Innanzi tutto mi presento, il mio nome è Mauro Menegazzo, vivo con la mia famiglia a Spresiano in provincia di Treviso, da sempre viviamo in questa zona. Cosa c'entro Io con Murlo? La storia è alquanto curiosa. Era ferragosto, ed avevo un gran mal di schiena, sono stato costretto a letto per qualche giorno e per passare le giornate ho guardato vecchie foto e letto vecchi racconti, interrogando internet sui vari luoghi ed accadimenti. Fino a quando mi sono imbattuto in questa storia curiosa, che coinvolge la mia famiglia e perlappunto Murlo, così ho deciso di contattare l'Associazione culturale di Murlo, in modo da condividere la vicenda.
Ci troviamo nel 1917 durante la prima guerra mondiale, è la storia di una famiglia che subì i tragici eventi di quei giorni. Il fronte sull'Isonzo era stato sfondato a Caporetto, l'esercito italiano era in rotta, compiendo il ripiegando, per dispiegarsi sulla linea di estrema difesa del Piave. La famiglia di mio bisnonno viveva d'agricoltura molto vicino alle rive del fiume, in un piccolo paese della provincia di Treviso, collocato nei pressi del promontorio del Montello, perlappunto Spresiano.
Il paese fu evacuato completamente, i carabinieri consegnarono le ordinanze di sgombero ai capi famiglia, non c'era se e non c'era ma, la gente se ne deve andare.
Gli edifici vengono requisiti per le truppe, come le derrate alimentari, nelle corti delle case vengono posizionate le batterie d'artiglieria, nei campi coltivati vengono scavate trincee. Non vi fu un piano di dove mandare la gente sfollata, con che mezzi questa doveva sostenersi, dove alloggiare, e quant'altro.
Ciò che segue è il racconto di un viaggio tra avventura e tragedia, narrato da due figli di mio bisnonno Valentino Barbon: Attilia Barbon e Piero Barbon, mio nonno.

 

Racconto pubblicato nel libro "In fuga dai tedeschi" di Camillo Pavan [1]
Testimonianza di Piero Barbon, classe 1908
Mio papà aveva fatto il bersagliere, e... attacca i buoi al carro, e parti! Siamo arrivati fino in provincia di Siena, con il carro, i buoi e le mucche. La prima sera ci siamo fermati in una casa di contadini a Santa Cristina di Quinto e abbiamo dormito in stalla, e da lì cammina, cammina, sempre col nostro carro e i buoi. Pàra via, pàra via, pin pian [vai avanti, vai avanti, piano piano]: direzione Padova, Rovigo, Ferrara, fino a Firenze. Su per gli Appennini, con il carro e i buoi. Non avevamo una meta precisa, non conoscevamo nessuno in Toscana. Ci si fermava a mangiare dove capitava. Cinque-sei erano montati sul carro: mia madre, mia nonna e i figli a turno (eravamo in otto fratelli, ma due erano militari); mio padre a piedi conduceva i buoi, sempre a piedi, camminando.
Il carro era coperto con un tendone appoggiato a degli stropóni [rami di salici] che facevano arco, il tendone era quello che di solito serviva per coprire le pannocchie, ed era abbastanza impermeabile. Dietro al carro erano attaccati anche una vacca e un vitello; la vacca serviva per il latte. Alla notte andavamo a dormire dalle famiglie lungo la strada.
Arrivati a Firenze non c'era posto e ci hanno mandato a Livorno, ma neanche lì c'era posto per noi. Allora ci hanno detto: "Andate a Siena, che lì troverete lavoro". Siamo andati a Siena, oltre Siena, a Murlo, e abbiamo trovato una miniera di lignite di proprietà dell'Ansaldo. Lì c'era lavoro e anche da dormire al coperto, e lì ci siamo fermati fino alla fine della guerra.

 

 

Intervista pubblicata nel libro "Spresiano. Profilo storico di un Comune" di G. Simionato [2]
Intervista a Attilia Barbon, classe 1912
Abitavo ai Calessani [3] ed ero la terzultima di undici fratelli. Giunsero un giorno - avevo allora cinque anni - alcuni carabinieri, i quali rivolgendosi ai grandi parlavano concitatamente: solo una parola ripetuta mi rimase impressa: sgomberare, sgomberare. Giunsero anche altri militari con cannoni che furono sistemati nel cortile; alcuni soldati stranieri sparsero della paglia nella nostra grande cucina per potervi passare la notte. Un soldato prese il secchio di latte appena munto ed uscì tranquillamente: quella sera rimanemmo senza cena. Per tutti i ragazzi della contrada quella confusione pareva una grande festa.
Il mattino dopo, mio padre scavò una buca dietro la casa e vi seppellì insieme alla macchina da cucire la dote che mia sorella andava preparando, perché aveva espresso il desiderio di farsi suora. Salimmo tutti - mancava solo Bepi perché già alla guerra - su di un carro coperto dove avevano trovato posto coperte, qualche indumento e alcune stoviglie. Dietro al carro trainato dai nostri due buoi era legata la mucca che ci fornì il latte durante tutto il lungo viaggio. Sostammo otto giorni a S. Cristina di Quinto; nel frattempo mio fratello Bruno era ritornato a casa con l'intenzione di riprendere ciò che avevamo dovuto abbandonare nella partenza precipitosa. Purtroppo non trovò più nulla: anche il maiale era sparito, ed il nascondiglio era vuoto. I "grandi" dicevano che doveva essere stato qualcuno del posto.
Con noi v'erano altre famiglie; alcune partirono per Milano (come lo zio Toni), altri conclusero il loro viaggio nei dintorni di Firenze. Mio padre voleva recarsi a Roma perché diceva di conoscere questa città dove aveva fatto il militare. Raccontava poi spesso che una sera, mentre eravamo in mezzo alle montagne lungo il viaggio (forse gli Appennini), scoppiò un temporale con vento e pioggia "che Dio la mandava". Alla sua invocazione rivolta alla Madonna apparve una signora con un lume in mano che rischiarò la strada fino a quando ritornò la calma. Fu sempre convinto che la Vergine venne in nostro aiuto.
Alcune grandi città suscitarono la nostra meraviglia (Ferrara, Bologna, Pisa): a Firenze rimanemmo circa un mese perché c'erano due nostre zie suore. Oltrepassata Siena, ci fermammo a Lupompesi, una frazione di Murlo. Fummo alloggiati in una cascina ed avemmo a disposizione una stalla per le bestie, una cucina e una camera grandi.
Non so perché rimanemmo, forse mio padre pensò che Roma fosse troppo distante, ma l'ospitalità della gente del posto fu davvero calorosa. Eravamo gli unici profughi nei dintorni e tutti trovammo qualcosa da fare: i più grandi lavorarono a Montemurlo [Murlo] in una miniera, Nando andò al pascolo con le pecore, Augusta presso i proprietari di una vicina villa quale bambinaia, mio padre presso dei contadini, e noi più piccoli, con la mamma e la nonna in casa, sbrigavamo qualche incarico.
Gli inviti a pranzo per noi erano frequenti, ma eravamo restii ad accettare; mia madre ogni volta, con dolcezza, ci convinceva che il rifiuto poteva ritenersi offensivo.
Durante la permanenza morì mia sorella Virginia, di due anni, ed il papà accompagnò in convento a Siena la sorella Augusta. La gente del posto desiderava che rimanessimo, disposta a darci del terreno in affitto, ma mio padre nei Calessani aveva la casa, quattro campi e mezzo di terra ed una grande nostalgia del suo paese.
Nel novembre 1918 ritornammo in treno: il carro e gli animali in un vagone merci, noi in carrozza viaggiatori.
Prima della partenza ci furono donati alcuni fiaschi d'olio, delle forme di pecorino e un rotolo di stoffa.
Purtroppo, a Spresiano non trovammo più nulla: la casa quasi distrutta, i filari di viti a terra, nessuna possibilità di recarci nei campi per la presenza di residuati bellici, carcasse di animali e qualche resto umano ancora insepolto. Finimmo molto presto quanto avevamo portato con noi e fu difficile per i primi tempi trovare da mangiare. Ricordo che lo zio aveva trovato alcuni chili di farina, ma la mangiarono solo i più grandi perché, essendo rancida, fu da noi rifiutata; un po' di latte e poi a letto. Un ricordo è ancora vivo nella mia memoria. Io e mio fratello, i più piccini, giocando in compagnia dei coetanei di Pompesci [Lupompesi] avevamo assunto quella parlata che doveva suonare alquanto strana per i nostri paesani, i quali sottolineavano con allegre risate l'uso di termini diversi e la cantilena toscana. Noi restavamo male, convinti che ci prendessero in giro, tanto che mio fratello Giovanni spesso diceva con cadenza toscana: "E voi mascalzoni, che non sapete nemmeno parlare!", riaccendendo un coro di risate. Mio fratello era tornato da militare quando la casa fu rimessa in ordine, il terreno bonificato. Noi riprendemmo a frequentare la scuola, i più grandi a lavorare nei campi".

L'autore dell'articolo ci ha raccontato anche un dettaglio non riportato nei racconti pubblicati. Durante il lavoro alle Miniere di Murlo, il ruolo del bisnonno fu quello di portare l'acqua ai minatori con il carro e i buoi. Grazie anche a questo lavoro riuscì a mettere insieme i soldi che gli permisero di tornare a Spresiano e, non senza difficoltà, di ricostruire la casa distrutta dalle granate della battaglia. In un'intervista del 1994 al nonno dell'autore (Piero Barbon) questo mestiere viene così ricordato [4]: "Mio padre... si portava acqua agli operai (ai minatori): 'na tina (un tino) di acqua sopra il carro. Si faceva un viaggio al giorno con una tina di acqua potabile per bere, perché in miniera non avevano acqua potabile, anche se c'era un fiume che passava là vicino. Noi comunque andavamo a caricare l'acqua in un altro paese più su che si chiamava Vescovado, dove c'era una bella fontana di acqua".

 

Fonti bibliografiche
[1] In fuga dai tedeschi. L'invasione del 1917 nel racconto dei testimoni, di Camillo Pavan. Editore Pavan, Treviso, 2004.
[2] Spresiano. Profilo storico di un Comune, di Giuliano Simionato. Marini editore, Villorba, 1990.
[3] Borgo di Spresiano, prossimo alla riva destra del Piave.
[4] Intervista di Camillo Pavan a Piero Barbon: http://camillopavan.blogspot.it/2010/03/intervista-piero-barbon-piero-pedrina.html

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