Si riparla di fusioni di Comuni
ISTITUZIONI
Sento già i commenti prima ancora che cominciate a leggere: è tornato con la sua fissazione... Avete ragione anche perché sembra che non sappia scrivere di altro se non di questo argomento. Non è proprio così ma in questo giornalino vi sono autori così autorevoli e brillanti sugli altri argomenti che mi astengo: non vi è spazio per i mediocri, nell'interesse del giornalino.
In realtà è da qualche tempo che volevo tornare sull'argomento, non tanto perché vi è qualcosa di nuovo da dire, anzi tutto "sa d'antico", ma perché non mi sembra che accada nulla o quasi -parlo a livello nazionale e di Toscana- nonostante le leggi nazionali e regionali abbiano dettato anche tempi ristretti e definiti per l'accorpamento dei piccoli comuni in "Unioni di Comuni" e abbiano incentivato la loro "Fusione", specialmente in Toscana. L'altra ragione è che in questi giorni, quasi improvvisamente, questa problematica è tornata ad essere materia di attualità e di discussione politica, perché si è "scoperto" che una fusione tra comuni consente di sfuggire alle maglie del "patto di stabilità". Ben venga qualsiasi ragione per rimettere in movimento un processo che sembrava uscito dalle strategie degli enti locali, ma si tratta di una visione riduttiva, se pur importante, dei risultati che da una "fusione" tra comuni possono derivare ai cittadini dei comuni che si "fondono" e all'intera comunità nazionale.
Se la non applicabilità del patto di stabilità può consentire dei vantaggi, in determinate situazioni finanziarie, quelli che derivano ai cittadini da una "fusione" tra comuni sono molto più importanti e attengono a diversi aspetti:
ECONOMICO-FINANZIARIO: ai comuni che si fondono da parte dello Stato viene corrisposto, per 10 anni, un contributo straordinario pari al 20% dei trasferimenti erariali attribuiti ai medesimi per l'anno 2010 (fino ad un massimo di 1,5 milioni di euro); da parte della Regione Toscana viene assegnato al "nuovo" comune un contributo annuale, per 5 anni, di 250.000 euro per ogni comune originario. Si tratta di cifre estremamente importanti soprattutto per i comuni più piccoli, che in virtù anche dell'esclusione dal patto di stabilità possono essere immediatamente utilizzati.
PERSONALE: superamento del blocco del turn over con la possibilità, nei primi 5 anni della fusione, di assumere personale sia a tempo indeterminato che determinato, in caso di necessità e fatto salvo l'equilibrio di bilancio.
COSTI DI FUNZIONAMENTO: pur essendo questo in concreto un aspetto variabile da caso a caso, , sono ormai numerosi gli studi -oltre ai risultati consuntivi di fusioni già effettuate- che hanno analizzato questo tema arrivando a conclusioni estremamente interessanti per quanto riguarda la ricaduta economico-finanziaria positiva sui cittadini. Le analisi si sviluppano su due direttrici: da un lato gli effetti che derivano da un processo di razionalizzazione delle spese corrente e generali (soprattutto riduzione delle diseconomie di scala che caratterizzano i comuni più piccoli), dall'altro le minori spese di personale (a livello medio generale incidono per circa il 27% del totale delle spese dei comuni) non solo per la riduzione del numero dei dipendenti (riallineamento rapporto dipendenti per abitanti) ma anche per la minore spesa media del personale pro capite (variazione verso il basso del mix dell'organico). In questo capitolo del "personale" si può considerare anche la riduzione del costo della "politica", in seguito alla contrazione strutturale ed immediata degli amministratori diretti (sindaci, assessori, consiglieri) ed indiretti (staff e rappresentanza in società partecipate – i comuni italiani vantano circa 120.000 partecipazioni in 6.500 società partecipate).
ENTRATE TRIBUTARIE: attualmente il minore livello di imposte/tasse ed entrate tributarie pro capite si rileva statisticamente nei comuni compresi nelle fasce tra 10.000 e 20.000 abitanti. Se ne deduce che la fusione di piccoli comuni in un comune più grande comporta la possibilità di una minore pressione fiscale o in alternativa, mantenendo la medesima imposizione, la possibilità di disporre di maggiori risorse da destinare all'incremento della quantità/qualità si servizi per i cittadini.
A questi effetti misurabili in termini economici, che naturalmente genereranno il massimo risultato una volta che il processo di fusione è entrato a regime, se ne aggiungono, a mio parere, altri altrettanto importanti soprattutto per quanto riguarda la qualità della gestione e sono collegati alla possibilità di governare un territorio più ampio o "area vasta", come si usa dire, e quindi a tutte le azioni e decisioni di carattere strategico, in primo luogo la politica di gestione e sviluppo del territorio, come anche i trasporti pubblici, l'organizzazione scolastica.
Non ho fatto finora cenno al fatto che, come noto, le leggi statali e regionali prevedono anche l'alternativa "Unione di Comuni" per realizzare gli accorpamenti dei piccoli comuni con la messa in comunione di servizi e attività amministrative; come è la situazione del nostro comune nell'Unione dei Comuni della Val di Merse. Come è sempre apparso chiaro anche nei precedenti articoli sull'argomento, non ho mai nascosto la mia preferenza per la soluzione "fusione" nei confronti dell' "unione", indipendentemente da quelli che sono i maggiori vantaggi economico-finanziari previsti dalle leggi in questo caso. Con il passare del tempo questa convinzione si è rafforzata, essendo passati da una situazione teorica ad una sperimentazione pratica con la nascita di "unioni di comuni" in diverse regioni italiane ed anche da noi.
Le esperienze dicono che le "unioni", se da un lato hanno consentito, per alcuni servizi buone performances in termini di efficienza ed efficacia, dall'altro mostrano tutti i limiti della struttura organizzativa in termini di capacità di governare un'area vasta, specialmente in un aspetto importante come quello urbanistico. Non sono nemmeno così chiari i reali risparmi ottenuti da questo tipo di accorpamento di comuni (vantaggi economici derivano dal fatto che anche per l'unione sono previsti contributi economici statali e regionali, anche se inferiori a quelli previsti dalla fusione). In realtà rimangono in vita le unità amministrative di tutti i singoli comuni che fanno parte della stessa, il rapporto dei cittadini con l'Unione "tende ad essere indiretto, sporadico e limitato a una mera fruizione dei servizi offerti, gravato da scarsa informazione e conoscenza, anche perché, nella maggior parte dei casi, i Comuni fondatori interpretano e percepiscono l'Unione come una organizzazione funzionale di secondo livello al loro servizio e non come ente sostitutivo del loro ruolo e della loro titolarità". Ne consegue una scarsa visibilità dell'Unione per i cittadini; essi sentono i provvedimenti, le scelte, le decisioni come atti del proprio comune. Al contrario l'Unione è sentita lontana, come una sovrastruttura: il rapporto che si crea è più tra gli eletti dai cittadini nel singolo comune e gli eletti all'Unione, trattandosi di un organo elettivo di secondo grado.
Infine, un ulteriore argomento a favore della scelta della "fusione" viene dalla eliminazione-trasformazione delle Province. Il passaggio delle loro competenze/funzioni passa alle Regioni e ai Comuni; questo rende indispensabile ed urgente - perché il processo è avviato - che i comuni abbiano una struttura e dimensione maggiori per avere la capacità di prendere in carico le nuove responsabilità che ne deriveranno e per semplificare il rapporto con le regioni che sarebbero impossibilitate a gestire i rapporti con un numero troppo elevato di comuni.
Considerato che il processo per arrivare ad una "fusione" è lungo sia per i passaggi legislativi da rispettare sia per la natura e complessità stessa della materia da gestire e dell'insieme dei problemi da risolvere, mi auguro che tutte le prese di posizione, di cui si parla nel "P.s:", mettano effettivamente in azione un veloce e reale processo virtuoso, ma anche con la partecipazione dei cittadini. Essi sono i soggetti più importanti quali destinatari dei cambiamenti, ma devono essere i cittadini stessi che si fanno protagonisti rendendosi conto che quello di cui si parla è un processo necessario ed ormai ineludibile: il rischio è che le decisioni vengano prese dall'alto anziché partire dal basso.
P.S.: stavo finendo di scrivere questo articolo, quando nel giro di qualche giorno l'argomento "fusione di comuni" diventava il leitmotiv di interviste, dichiarazioni dei massimi esponenti del più importante partito della Toscana, dal presidente della Regione ai Sindaci delle più grandi città. Tutti più che favorevoli ad una rapida realizzazione di un processo volto alla riduzione dei 280 comuni ad un numero limitato tra 50-100, a secondo delle opinioni: quasi una parola d'ordine. Nessun accenno alle "Unioni di comuni", considerata una via superata o tutt'al più - quando esiste - un ponte di passaggio per arrivare alla "fusione". E' abbastanza sintomatico che l'approccio dei sindaci dei capoluoghi di provincia veda come "fusione" l'aggregazione al capoluogo di tutti i comuni limitrofi. Se questo approccio ha, da un lato, una sua logica, dall'altro, è necessario, a mio parere, che il risultato della "fusione" di più comuni sia equilibrato come territorio, senza asimmetrie e/o sbilanciamenti eccessivi verso un comune.
Bibliografia
FUSIONI: quali vantaggi? Ministero dell'interno-Dipartimento degli Affari Interni e territoriali , Direzione centrale della Finanza locale.
DALL'UNIONE ALLA FUSIONE DEI COMUNI: le ragioni, le criticità e le forme di Brunetta Baldi e Giovanni Xilo.
ANCI NAZIONALE. Documenti vari.
ANCI TOSCANA. Documenti vari.
Legge Regionale Toscana n 68 del 27/12/2011.
IRPET. Studi vari.