La pietra misteriosa nella piazza della Cattedrale
SEGNI DELL'UOMO
Accanto a quella che oggi appare come una finestra per illuminare la sala "omnicomprensiva" della Palazzina a Murlo, esiste una rudimentale scala per accedere al livello più alto della piazza della Cattedrale. Mi riferisco a quella specie di palcoscenico naturale, così come appare a chi per la prima volta entra nel castello, realizzato chissà quando e da chissà chi e utilizzato da chiunque voglia mettersi in mostra o esibirsi durante qualche ricorrenza o manifestazione.
Fig. 1. La "misteriosa" pietra di Murlo. |
In tempi non lontani, quando nel castello di Murlo viveva una consistente comunità e prima che le vie e la piazza acquisissero l'aspetto attuale, nelle giornate di autunno il vento alzava nubi di polvere che gli abitanti si ritrovavano dappertutto in casa. Allora non c'era la finestra con le sbarre accennata prima ma un ampio portone tinto di grigio che dava accesso all'oliviera, un locale piuttosto spazioso lastricato con pietra serena uguale a quella che si vede passeggiando per le vie di Siena. In questo ambiente, convenientemente attrezzato, ogni proprietario portava il raccolto di olive per ricavarne olio. Poi, col mutare dei tempi non fu ritenuto più conveniente mantenere una struttura del genere poiché erano venute meno le condizioni che ne giustificavano l'esistenza e allora, dopo averlo liberato degli impianti, venne adibito ad altri usi.
Non so se tutti i lettori sappiano come funzionasse un frantoio prima dell'arrivo dell'energia elettrica e come questi potesse operare col solo apporto di quella umana o animale. Eppure, per secoli è stato così fino alla comparsa di energie alternative che soppiantassero con successo quelle ancestrali. Il principio era semplice: le olive raccolte e depurate da oggetti estranei venivano ridotte in poltiglia per mezzo di apposite macine verticali e successivamente spremute fino al totale recupero dell'olio. Semplice no? E allora andiamo a vedere più da vicino questa successione di operazioni e il nesso che avevano con il segno dell'uomo oggetto del nostro decimo incontro.
Fin da quando venne compresa l'utilità dell'olio, non solo per l'alimentazione ma anche per altri usi che spaziano in vari campi, dalla cosmetica, alla medicina e all'artigianato, il metodo per ottenerlo non si distaccò molto col trascorrere del tempo, semmai vennero affinate le tecniche con il ricorso a strumenti sempre più perfezionati ma lasciando inalterati i principi. Ma torniamo al segno dell'uomo di questa puntata.
Si tratta di un manufatto che è sotto gli occhi di chiunque si rechi a Murlo e si trovi a transitare per via delle Carceri. Ben pochi riescono ad identificarlo pur salendoci sopra senza porsi domande sulla singolarità della sua forma e dimensione, e senz'altro ben pochi hanno idea a cosa sia servito e come sia capitato lì. Di certo qualcuno se lo sarà domandato ma è altrettanto certo che nessuno gli possa aver detto a cosa servisse quel conglomerato di breccia dura e compatta posto all'inizio del muro di contenimento del piazzale ed anche su quell'incavo ricavato nella parete laterale in vista. Se fosse possibile poterlo smuovere dal suo posto e rovesciarlo mettendo in luce quella che adesso è la sua base per restituirle la posizione originale, comparirebbe sulla sua superficie una traccia circolare incavata nella roccia di circa due piedi e mezzo di diametro e profonda alcuni centimetri. Una di queste pietre è tuttora visibile, transitando dalla frazione dell'Olivello, accanto al pozzo proprio di fronte alla casa di Franco Petrucci.
Fig. 2. Schema di una pressa artigianale per olio (disegno di Luciano Scali). |
Fig. 3. Il pozzo dell'Olivello con accanto la pietra simile e quella di Murlo, proveniente dal frantoio a pochi metri di distanza, oggi trasformato in abitazione. |
E allora? Allora niente: tutto qui, ma un segno abbastanza tangibile di un'attività antica, abbandonata di recente e che qualcuno, me compreso, ricorda. Se molti viaggiatori di oggi prestassero maggiore attenzione ai dettagli dei luoghi che stanno visitando invece di concentrarla in prevalenza sugli ultimi diabolici ritrovati della comunicazione, si renderebbero conto di avere sotto gli occhi interessanti resti di modi di vivere che stanno irrimediabilmente scomparendo dopo aver perduta gran parte della loro identità. La prima volta che mi trovai di fronte ad un simile "marchingegno" ancora nel pieno della sua funzione, ero assieme a mio padre ed ai suoi cugini che si recavano presso la fattoria di San Gemignanello a frangere le olive, un po' fuori mano dalla strada lauretana. Ricordo quel magazzino e la struttura mastodontica che sovrastava una pietra come quella di Murlo, ma messa per il suo giusto verso e ubicata sopra un basamento per tenerla più alta del pavimento in pietra serena. Una pila di fiscole alta oltre un metro e mezzo era ammucchiata sul basamento proprio all'interno del segno circolare inciso sulla roccia, il quale presentava sul davanti un foro con dentro inserito un manicotto di ferro sporgente nel sottostante vano. Al di sotto di questo collettore era posizionato un grosso conchino di coccio smaltato predisposto per raccogliere l'olio.
Sopra alla pila era posta una piastra metallica con la possibilità di scorrere tra due guide costituite da due grossi pali di leccio levigati a puntino e infissi ai lati della pietra.
Al di sopra di tutto, una grossa trave di quercia, dal curioso profilo a ginocchio, poggiava sulla piastra descritta, proprio in corrispondenza della sua convessità. Mentre una delle sue estremità si trovava sotto un'altra trave posta ortogonalmente al suo asse, l'altra s'inseriva in un palo, di non so quale essenza, dove era stata ricavata una vite senza fine. Questo palo perfettamente verticale, poteva girare su se stesso con le parti terminali conciate a puntone e ruotanti su altrettante ralle simili a quelle riscontrate nei ritrecine dei mulini. Un terzo trave posto di traverso supportava la ralla superiore mentre quella inferiore era ricavata sopra un supporto di pietra posto nel pavimento. Alla base del palo, allargato di quanto necessario, se ne trovava un altro orizzontale alle cui estremità opposte potevano disporsi due manovali che spingendo facevano avvitare il palo sulla trave superiore abbassandola. Così facendo il ginocchio della trave, agiva sulla piastra appoggiata sul mucchio delle fiscole costringendola a premervi sopra. In precedenza tra i dischi di schiancia era stata posta la poltiglia di olive proveniente dalla loro frangitura cosicché, per effetto della pressione l'olio contenuto tra i supporti cominciava a trasudare scorrendo sulla superficie esterna di tutto l'insieme, andando a raccogliersi nella scanalatura circolare ricavata sopra la pietra e, attraverso il foro e il manicotto, finire nel recipiente posto alla sua base.
Fig. 4. Una pressa antica proveniente dalla Sicilia (da www.turismoambientalesicilia.it). |
L'olio di "prima spremitura" così ottenuto non si può certo dire che avesse l'aspetto invitante come quelli che oggi siamo abituati a vedere nel negozio di Stefania, e nemmeno il sapore che forse non saremmo capaci di riconoscere. Conservato poi in grossi ziri vetrinati pian piano si spogliava depositando sul fondo le parti contenute in sospensione fino a formare un abbondante sedimento. Ma questo è un altro discorso che ne innescherebbe infiniti altri sconfinando in altrettanti campi, come quello della qualità, dei pregi e dei difetti di cui un prodotto antico così essenziale per la dieta mediterranea irrimediabilmente si porta dietro. A seconda poi dei luoghi, degli ambienti, della cultura e delle tecniche adottate, la struttura del frantoio poteva avere infinite varianti derivate, in massima parte, dai mezzi di cui l'addetto disponeva. Di una cosa però si può essere certi: la pietra di base rimase invariata fino all'avvento delle più moderne presse meccaniche per estrarre l'olio che, operando una drastica cesura col passato, davano avvio ad altre tecniche e a nuovi prodotti per attività diverse dall'alimentazione ma utili per le mutate necessità derivate dal progresso. Strano però, come una pietra murata capovolta da chissà chi in un angolo della piazza della Cattedrale, sia capace di raccontare un sacco di cose che a prima vista nessuno immaginerebbe.