Lavori al Museo
NOVITA' DAL MUSEO
Quello di vedere il Palazzone completamente ingabbiato non è certo uno spettacolo di tutti i giorni e quindi è normale, per coloro che giungono a Murlo per la prima volta, o vi ritornano per visitarlo di nuovo, domandarsi cosa i murlesi intendano fare al loro Antiquarium. Ma non è di questo che io volevo parlare, ma piuttosto delle impressioni personali che la vista dei ponteggi intenti ad avvolgere l'immobile, ha suscitato. Debbo dire che mi sono sentito trascinare quasi una vita indietro, a metà degli anni cinquanta quando, ritornato a casa dopo un lungo periodo di ferma militare, dovetti cominciare a lavorare davvero. Fu un'esperienza che ricordo con nostalgia e che avrebbe dovuto indirizzarmi verso quel mestiere per apprendere il quale avevo studiato e praticato con mio padre fin dalla prima giovinezza. I miei ricordi di ponteggi per erigere fabbricati sono di tutt'altra natura e di diverso materiale. Eravamo usciti da pochi anni da una guerra e la tecnica delle costruzioni, almeno al livello dei cantieri messi in atto da ditte come quella in cui lavoravo, si basava ancora su quella tradizionale dove la figura del carpentiere aveva il proprio peso. Si trattava di personaggi speciali, "dall'occhio vispo" che sapevano fare buon uso del legname messo a loro disposizione. A quel tempo svolgevo la mansione di assistente di un cantiere dove uno di questi, un certo Belardi, continuava a chiedere in continuazione legname per il suo lavoro: "quello che c'è un mi basta! Mi ce ne vole dell'altro! Dritto o torto un me ne 'mporta, poi ci penso io a ravversallo!" Aveva ragione lui perché comunque fosse riusciva sempre a usarlo per mettere assieme un ponteggio in massima sicurezza. Occorrevano abetelle, sostacchine, sottomisure, tavoloni e poi chiodi. Tanti chiodi.
All'inizio si aggiustava il legname con una sega a mano, poi col tempo riuscii ad ottenere dalla proprietà un banchetto con una sega a disco azionata dall'energia elettrica che equivalse ad un autentico salto di qualità. Il ponteggio diveniva così una vera opera d'arte esclusiva, adattata alla funzione che doveva svolgere per quel lavoro specifico. Vedere il carpentiere tirare su un ponteggio era un vero spettacolo. Si arrampicava come un ragno e quando inchiodava le sbacchere alle abetelle per creare i cristi sui quali appoggiare le sostacchine, si metteva un po' di chiodi in bocca per averli a portata di mano e, ad uno ad uno, riusciva a conficcarli nel legno. Come? viene da chiedersi. Il martello da carpentiere presenta, sia sulla faccia superiore che in quella inferiore un incavo dove appoggiare il chiodo in modo che, sorreggendo con la sinistra la tavoletta da inchiodare e quindi impossibilitato di reggere il chiodo, riusciva a conficcarlo nel legno usando una mano sola. Vederlo fare quel lavoro da solo usando mani, bocca e soprattutto testa era un vero spettacolo. I chiodi, poi non venivano messi in fila col rischio di spaccare la tavoletta ma sfalsati per fare più presa, ne bastavano tre per dare la certezza della tenuta richiesta. Alla tavoletta disposta in orizzontale che usciva da ambo le parti dell'abetella, ne veniva inchiodata un'altra inclinata che poi si fissava all'abetella stessa come un puntone. Si creava così un supporto a forma di croce su cui appoggiarvi la sostacchina. Le abetelle verticali venivano poi unite tra loro ed ancorate con traverse alla parete prendendo alloggio nelle buche appositamente predisposte.
Altre sottomisure poste in diagonale, dette controventature venivano poi inchiodate tra abetelle successive allo scopo di stabilizzarle in senso trasversale. I tavoloni, che costituivano il supporto di calpestio per gli operai, non venivano inchiodati alla struttura portante, ma solo appoggiati facendo attenzione che non facessero cavallina, ovvero che al passaggio dell'operaio si aprissero sotto i suoi piedi. I tavoloni poi che costituivano le rampe inclinate tra piani di diverso livello ma che a differenza delle altre venivano inchiodate, presentavano regoli trasversali in modo da costituire una rudimentale bramantesca antiscivolo qualora il legname fosse bagnato, come di solito lo era. Non vorrei aggiungere altro bensì sottolineare la differenza fra situazioni che distano tra loro poco più di mezzo secolo ma che segnano un salto tecnologico difficilmente rilevabile da coloro che non hanno avuto il privilegio di poterne seguire l'evoluzione.
Piccolo glossario di parole dimenticate
Abetella: si trattava di una trave d'abete di cm 13x16, o similare, della lunghezza che poteva variare da 5 a 8 metri o anche di più. Veniva usata quale montante verticale nei ponteggi.
Sostacchina: era anche sinonimo di abetella e le dimensioni potevano equivalersi ma nel cantiere ove lavoravo veniva usato tale termine per legname più corto ma con sezione più omogenea per tutta la lunghezza, da usarsi per collegamenti orizzontali.
Sottomisure: era il termine che si usava per il tavolame di abete dello spessore di 2 cm. e mezzo, di larghezza variabile e della lunghezza di 4 metri. Venivano usate per casseformi e per tutte le opere di carpenteria, per controventare i ponti, per creare spezzoni più o meno lunghi da inchiodare quali supporti meglio conosciuti come sbacchere.
Tavoloni: tavole di abete di spessore di circa 5 o 6 centimetri, larghe dai 30 ai 40 centimetri e di varia lunghezza che poteva arrivare fino ai 4 metri. Da tenere presente il loro peso che, se da un lato era garanzia di robustezza, dall'altro diveniva di difficile manovrabilità. Venivano usati come piano di calpestio nel ponteggio e dovevano sostenere, oltre a quello dell'operaio, anche il peso del materiale: mattoni, pietra e calce.
Bramantesca: con tale nome s'identificava in cantiere un piano inclinato costituito da tavoloni inchiodati sulla cui superficie di calpestio venivano fissati per traverso listelli di legno con lo scopo di evitare che uomini e carriole vi scivolassero sopra. Esempi in muratura con caratteristiche del genere e riferibili secondo qualcuno al Bramante, si possono vedere nella Grancia di Cuna o in piazza del Campo a Siena alla Costarella.
Cavallina: si dice quando, nello stendere i tavoloni in un ponteggio per creare un piano di calpestio o per operare, non si fa la dovuta attenzione al modo in cui i tavoloni si soprammettono ovvero: quello con maggiore sbalzo deve sempre soprammettersi con quello che ne ha minore per evitare che un operaio transitandovi sopra non finisca per scivolare di sotto.