MurloCultura 2016 - Nr. 5

Silvio Moricciani prigioniero di guerra

di Annalisa Coppolaro

RICORDI E PERSONAGGI

94 anni, prigioniero di guerra dei tedeschi nel campo di lavoro di Teplice - Stalag IV C
"Sogno ancora spesso quei due anni di terrore"

Silvio MoriccianiLo incontro una domenica di novembre. Torna ora dalla sua quotidiana passeggiata di un'oretta a piedi vicino a Vescovado. Silvio Moricciani, nato nel giugno del 1922, ha ancora una buona memoria e occhi brillanti di chi ama la vita e di chi ha lottato per tenersela stretta. I suoi ricordi della guerra sono vivi e presenti. Mi dice che anche ora ha incubi di quegli anni terribili, prima i combattimenti sulle montagne della Grecia, poi quando è caduto prigioniero dei tedeschi e si è ritrovato, dopo un terrificante viaggio stipato in un treno con settanta persone in una carrozza al caldo e senza mangiare e bere per cinque giorni, a lavorare in un campo di prigionia a Teplitz, oggi Teplice, confine tra Germania e Repubblica Ceca, dove è rimasto per due lunghissimi anni, fino alla fine della guerra.

"Non avevo ancora 18 anni quando da Castiglion d'Orcia, in campagna, dove abitavo, mi hanno mandato prima a Messina per un mese e poi, dopo una ventina di giorni di viaggio via terra, parte in treno e parte a piedi, siamo arrivati in Grecia. Dovevamo partire in nave da Bari ma poi ci hanno fatto andare per terra perché una nave intera da Bari per la Grecia era stata bombardata e fatta colare a picco con migliaia di persone dentro... Ci siano ritrovati a combattere sulle montagne, a vedere i compagni che morivano accanto a me. Eravamo al confine con l'Albania e tanti sono morti in quei mesi, ricordo che succedeva anche che in Albania degli italiani provarono ad avvicinarsi alle donne che erano in quella zona e vennero evirati a colpi di coltello, e poi morirono dissanguati.
Dopo l'avvento di Badoglio e quello che ne derivò, cademmo prigionieri dei tedeschi, prima nostri alleati, dopo nostri nemici. Ci presero tutti come tanti sacchi di patate e ci misero nei treni per la Germania, non sapevamo cosa ci sarebbe accaduto... Salimmo sui vagoni del treno ad Atene e poi senza bere né mangiare, al caldo di settembre, per sopravvivere bevevamo l'urina dei compagni di viaggio... eravamo una settantina, non riuscivamo a muovere nemmeno un piede in quella situazione tremenda, pensi che ci fecero scendere a un certo punto per fare i nostri bisogni in un campo ma non avevamo mangiato né bevuto per cui non ce n'era nemmeno bisogno... Alla fine ci dettero un pane da un chilo, a eravamo così tanti che non toccava che poche briciole a testa. Poi siamo arrivati in questo campo di lavoro vicino Teplitz (passato tristemente alla storia come Stalag IV C, ndr). Dalla Grecia eravamo partiti vestiti con pantaloncini corti, siamo arrivati lì e c'era la neve, nella baracca dove dormivamo c'erano i candelotti di ghiaccio attaccati ai soffitti e non credo di aver sentito mai tanto freddo. Il giorno dopo, sveglia alle cinque, sempre senza mangiare, ci tolsero tutto quello che avevamo, a me anche l'orologio e quello che avevo con me, ci tagliarono barba e capelli con qualche sforbiciata a caso e poi ci misero in una stanza dove c'erano dei tubi di acqua bucati per cui ci facemmo una specie di doccia, poi ci misero in piedi in un cortile e ci cosparsero tutti di petrolio, quello per i lumi, perché eravamo pieni di parassiti, pidocchi, piattole, cimici, il petrolio era contro questi animali di cui eravamo invasi, ma ci bruciava la pelle, gli occhi, ogni cosa per giorni. Avevo nella testa ancora quelle immagini di quei compagni di viaggio ammazzati in treno senza pietà con un colpo di pistola e via quando qualcuno si lamentava o faceva un commento o si provava a fare un gesto di protesta, ne hanno ammazzati tanti. Poi ci dettero una specie di tuta da lavoro di un materiale tipo carta e degli zoccoletti e ci mandarono nelle fabbriche. Lavoravamo in una fabbrica di carri armati dalle 12 alle 15 ore al giorno, lavoro a catena, non potevamo parlare con nessuno, solo lavorare, pause per andare al bagno di cinque minuti facendoci dare il cambio da uno dei caporali, senza mangiare altro durante il giorno se non un pezzetto di pane, e un pochina d'acqua con dentro due pezzetti di rapa. Io quando sono partito dalla Grecia ero 82 chili, alla fine di questi due anni pesavo 42 chili, ma almeno sono ritornato. Si beveva a una cannella, almeno quello, e poi se qualcuno si lamentava o faceva un gesto di qualche tipo, veniva fatto fuori subito con un colpo di pistola.
Tutte le mattine passava un camion a raccogliere i morti, li mettevano tutti su un rimorchio poi con la spalatrice li prendevano e li buttavano in una grande fossa vicino alle baracche e ci buttavano un po' di terra sopra, sai quanti ce ne saranno stati sepolti lì... La mattina si usciva dalle baracche e si andava a piedi nelle fabbriche per un chilometro almeno, tanti non riuscivano a camminare dalla debolezza e cadevano, i soldati andavano a scuoterli con un calcetto e se non si muovevano venivano ammazzati come bestie. Eravamo come le bestie, anzi peggio. Poi a volte suonavano gli allarmi e andavamo nei rifugi, ma non erano tanto sicuri per cui tante volte ci nascondevamo sotto ai grandi castagni, per non farsi vedere dagli aerei che passavano a bombardare, molti di noi vennero ammazzati in questo modo, io sono stato fortunato perché le bombe non mi presero e comunque dovevo lavorare e basta, era dura ma almeno stavamo nelle baracche e poi in fabbrica, e si soffriva la fame e il freddo ma siamo sopravvissuti. Dopo oltre un anno venni trasferito in un altro centro, credo si chiamasse Kosten, vicino a Teplitz.


In quella condizione di terrore sono nate delle amicizie tra di voi?
"Sì, nelle baracche noi potevamo parlare anche se a lavoro era proibito, in fabbrica c'erano degli specchi che servivano alle guardie per controllare che non parlassimo tra di noi, ma nelle baracche di notte parlavamo e io ho fatto amicizia con tanti altri, ma ora non c'è rimasto quasi più nessuno, solo un amico sloveno di origine italiana con cui ancora mi scrivo, ci telefoniamo e ci siamo anche rivisti... Una esperienza come quella non si dimentica mai. Due anni di questa vita ti segnano per sempre. Non c'erano alternative, o lavorare o essere eliminati con un colpo di pistola, e accadeva tutti i giorni.


E come è finita? Quando siete stati liberati?
Era giugno del 45 e noi eravamo tra tre fuochi, fucili e cannonate da parte di tre fazioni, c'erano i russi, i tedeschi e gli americani, parecchi di noi non riuscivano nemmeno più a camminare e a proteggersi dal fuoco incrociato. Poi vennero i tedeschi con l'interprete a dirci che la guerra era finita e che eravamo liberi, a piedi siamo andati a cercare il comando italiano, ma era impossibile trovarlo, poi arrivarono i russi, trovammo infatti il comando russo ma non potevano prenderci in forza, ci dissero di cercare il comando americano che ci avrebbero pensato loro a rimpatriarci, ed era a 400 km di distanza. Anche quel periodo me lo ricordo bene, ci siamo incamminati a piedi senza mangiare e senza bere per giorni, a piedi attraversando i paesi bombardati, e cercavamo i fagioli e i ceci e li mangiavamo crudi, in quel modo, dalla fame che avevamo. Una volta abbiamo trovato una persona che fumava e aveva un accendino e abbiamo acceso un fuoco e siamo riusciti a fare i fagioli affumicati per poi mangiarli... Poi tempo dopo con gli americani dovevamo scaricare le patate e da quanta fame avevamo ci siamo messi a mangiare le patate crude in quel modo, non passavano ma almeno era qualcosa da mangiare... Bevevamo l'acqua dei fossi e dei fiumi che trovavamo sul nostro cammino... Ed eravamo praticamente mezzi nudi e stavamo tutti uno vicino all'altro per scaldarci, era freddo in quei paesi anche in estate, e ci abbiamo messo venti giorni ad arrivare al comando americano, comunque ci siamo riusciti anche se diversi sono morti nel viaggio, e gli americani ci hanno portato in Italia.
Arrivati a Firenze ci siamo messi in viaggio a piedi e con il treno anche se le linee erano tutte mezze distrutte dalla guerra, io ebbi fortuna perché trovai un amico che faceva il servizio di posta con il suo camioncino, e andava a Siena, Mario Casini. E con lui arrivai a San Quirico, e feci il viaggio in ginocchio perché non c'era posto nel piccolo camioncino ma meglio che a piedi di sicuro... Poi arrivai in Valdorcia e incontrai un conoscente, gli chiesi di andare ad avvertire mia mamma che stavo per rientrare, la mia famiglia non aveva più avuto notizie di me e trovarmi alla porta ridotto alla metà del mio peso e emaciato com'ero sarebbe stato uno choc. Il ritorno fu bello, ritrovare mia mamma e la mia famiglia ad aspettarmi fu bellissimo...
Qualche anno dopo il governo italiano ci ha dato venti mila lire per riconoscere il lavoro fatto in quei due anni, ma per me la vera vittoria era esser stato capace di tornare a casa perché tantissimi non ce l'hanno fatta. Mi sembrava quasi impossibile.

 

Stralag - immagine da http://stalag325.blogspot.it
Stralag IV C - immagine da http://stalag325.blogspot.it
Stalag o Stammlager è un termine tedesco con cui venivano indicati campi di lavoro generalmente riservati ai soli prigionieri di guerra militari; molti Stalag erano identificati da un numero romano e una lettera. Lo Stalag IV C, dove fu detenuto Silvio, si trovava presso la cittadina di Wistritz, alla periferia di Teplice nella Repubblica Ceca. In basso la targhetta di un prigioniero (immagine da: http://stalag325.blogspot.it).
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