Il tombino del Fondo Bello
SEGNI DELL'UOMO
Il tempo passa in fretta e per coloro che si trovano in età avanzata, appare come se si muovesse con una marcia in più. Per i non più giovani sembra che le cose da fare si moltiplichino allorché, quanto apparso sotto tono fino a quel momento, acquisisce di colpo una valenza nuova apparendo sotto una veste inedita quasi si proponesse per la prima volta. Ne consegue che alcune di quelle situazioni, considerate normali, divengono d’un tratto eccezionali col cessare dello scopo per il quale erano state concepite. Una ferrovia rimasta inattiva per decenni e della quale ogni traccia sembrava essere stata rimossa dal contesto d’appartenenza, sta iniziando oggi a destare una certa curiosità presso chi si trova a percorrerne l’antico tracciato. Rendersi conto di questa realtà equivale all’effetto prodotto dalla consultazione di un libro che rivela i propri segreti dopo essere rimasto per decenni in bella vista in biblioteca. Un caso del genere si manifestò nei miei confronti allorquando decisi di arrivare al villaggio della Befa attraverso un percorso inedito propiziato dal prolungato periodo di magra del torrente Crevole. Fu come aprire gli occhi su un mondo ignorato pur avendolo avuto da sempre accanto ogni qualvolta mi trovavo a percorrere il tracciato dell’antica carbonifera. Molti dei suoi dettagli ben noti apparivano diversi se osservati da un altro punto di vista e lo stupore provato fu simile a quello degli abitanti di tutto il mondo quando scoprirono la faccia nascosta della luna attraverso le foto scattate dal primo marchingegno spaziale che le orbitava attorno. Una situazione cristallizzatasi al tempo della costruzione della strada ferrata dove i segni dell’uomo sono tuttora inalterati su quel tratto rimasto al di fuori del tracciato dell’odierna Siena - Monte Antico. Altrove della vecchia carbonifera è rimasto solo il ricordo dopo i sostanziali mutamenti causati dalle distruzioni di guerra e dagli adeguamenti alla tecnica ferroviaria moderna. Le modifiche apportate sui manufatti originali presenti nel tratto che dal villaggio minerario conduce alla valle dell’Ombrone, sono da imputare principalmente al naturale degrado dovuto alla cessata manutenzione piuttosto che all’intervento dell’uomo il quale, come accaduto altrove, non avrebbe permesso loro di raccontare la propria storia.
Abbiamo iniziato ad ascoltarla osservando insieme il tombino del Serpentaio del quale parlammo nel nostro precedente numero di Murlo Cultura, e dell’altro pressoché scomparso di Peratti, manufatti difficili da notarsi pur transitandovi sopra ogni qualvolta si presenti la necessità di recarsi all’Olivello o a Resi. Di realtà simili se ne trovano ancora; alcune malconce o al limite del collasso, altre invece straordinariamente ben conservate quasi fossero state realizzate soltanto pochi mesi fa. Proprio di uno di questi tombini vorrei parlare oggi poiché poco conosciuto e divenuto pressoché inaccessibile a causa della folta macchia cresciutavi attorno e dove ben pochi potrebbero supporre di poterlo localizzare pur transitandovi sopra. Il luogo dove si trova è selvaggio e ben lontano da apparire come il suo toponimo lo identifica: “il Fondo Bello”. Si tratta del bacino di un fosso dal breve percorso che, opportunamente tombinato, attraversa il rilevato della ferrovia carbonifera.
Fig. 1. L'entrata (a sinistra) e l'uscita (a destra) del tombino del Fondo Bello. |
Questo manufatto non sembra aver subito quei danni riscontrati in altri cunicoli dalle caratteristiche similari, ma solo una riduzione dell’ampiezza della porta d’entrata a causa dell’accumulo di materiali smottati dal terreno circostante. Non si ravvisano lesioni di sorta sul paramento interno la cui lunghezza supera i dieci metri. Contrariamente agli altri tombini che attraversano i terrapieni della carbonifera, il pavimento di quello del Fondo Bello mostra una cunetta in pietra ben assestata e apparentemente integra, con la porta di uscita ed i muri laterali, in ottimo stato di conservazione. Questi ultimi, dall’andamento divergente e di diversa lunghezza, fanno da spalla alle pareti inclinate del rilevato ormai coperte da vegetazione e da folta macchia fino alla sponda sinistra del torrente. La spalletta sud più corta, si addossa al breve tratto in cui la carbonifera viaggiava in trincea ed oggi pressoché occluso da una frana tuttora aperta in una zona di diaspri instabili. Le foto ed i disegni allegati mostrano che il tunnel venne costruito, volte comprese, interamente in pietra acconciata, salvo che per gli archi a tutto sesto delle due porte di accesso, realizzati in muratura di mattoni.
Fig. 2. Sezione schematica del tombino del Fondo Bello (disegno di Luciano Scali). |
Come gli altri terrapieni che caratterizzano il tratto centrale del percorso ferroviario al lato del Crevole, anche quello in esame risulta realizzato con la tecnica usata per quelli dell’Ajola e di Quato. Per conferire la necessaria stabilità al manufatto col trascorrere del tempo, si provvedeva alla sua costruzione alternando i rinterri con strati di pietrame al fine di evitare fenomeni di ruscellamento sulle pendenze e la conseguente formazione di calanchi che ne avrebbero propiziata la distruzione. La stesura di piote sulle superfici inclinate avrebbe poi costituita la definitiva copertura protettiva verso i fenomeni sopraccennati. L’attuale vegetazione a prevalenza arbustiva nei rilevati, garantisce oggi una sufficiente protezione del terrapieno anche se non sarebbe più compatibile con una linea ferroviaria attiva d’altri tempi per i rischi d’incendio che la fuoriuscita di faville dal camino avrebbe potuto procurare.
Fig. 3. L'interno del tombino del Fondo Bello, ancora perfettamente integro. |