MURLOCULTURA n. 1/2010

RACCONTO

Tra realtà e fantasia

Così si dice ogni qualvolta si verifica qualcosa di straordinario allorché la realtà si confonde con il virtuale dando avvio a storie che, pur essendo immaginate affondano le radici in fatti avvenuti davvero. Nel nostro caso la storia ebbe inizio con la scoperta di un chiodo sopra la parete pericolante del capannone degli argani al Pozzo del Cerrone. Anonimo fino a quel momento assunse grande importanza quando una vecchia foto dimostrò che vi era stato appeso un orologio. Il gancio illustrato nella pagina precedente divenne così la liaison tra il vero e l’immaginato capace di far tornare d’attualità un tragico evento realmente accaduto.


di Luciano Scali

Associazione Culturale di Murlo
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Ricordo chiaramente quella mattina quando, ormai deciso a fare una operazione programmata da tempo presso la Miniera, arrivato laddove si trovavano i ruderi del capannone degli argani, vidi un cumulo di detriti al posto del muro verso la collina.  Ebbi un colpo al cuore assieme al rammarico di non aver effettuato il rilievo dei basamenti dei motori ormai sepolti sotto le macerie.
Fotografai quanto restava soffermandomi addirittura su dettagli ancora visibili ma apparentemente senza senso, con la speranza di potervi rilevare in seguito la ragione della loro esistenza.
Sulle mura ancora in piedi ma prive d’intonaco, si aprivano tracce profonde attraverso i filari di mattoni: quali verticali, quali oblique che lasciavano immaginare un’originale trama di cavi elettrici ormai totalmente scomparsi.
Mi sembrò di radiografare un essere inanimato giunto al limite delle sua identità ma ancora pieno di desiderio di rivelarsi.  Poi, nella porzione di parete tra l’ingresso e l’ampia finestra, all’altezza delle loro piattabande , un chiodo rugginoso infisso nel muro attirò la mia attenzione. D’istinto lo fotografai.  Solo in seguito scoprii il nesso fra quell’oggetto superstite e voci di fatti lontani raccolte attorno, che sembravano avere avuto inizio proprio da lì.
Ebbi così l’impressione curiosa di vedervi attaccato il lungo filo di avvenimenti svoltisi tanto tempo fa, dipanato dalle Moire fino alla sua naturale conclusione secondo le decisioni del fato.

 

Il chiodo

L’addetto alla manovra dell’argano del pozzo Cerrone gettò ancora una volta il suo sguardo rassegnato all’orologio appeso accanto alla porta d’ingresso domandandosi se il tempo si fosse fermato.  Non passava mai quella mattina, anche se lo scandire dei secondi lo contraddiceva  rimarcandone il regolare trascorrere.
Non tutti i giorni sono uguali e così pure i pensieri nella testa. Talvolta ti senti libero come se nessun legame ti unisse alle persone e alle cose, altre volte invece non riesci a districartene... così... apparentemente senza alcun motivo.
  Di contrarietà ce n’erano a non finire ed anche di preoccupazioni.
La guerra stava andando male e gli alleati risalivano lentamente l’Italia mentre i tedeschi in ritirata apparivano sempre più nervosi e pressanti.
  Le ispezioni erano divenute più frequenti lasciando supporre la partenza dei tedeschi entro tempi piuttosto brevi.  Malgrado non si ricordassero contrasti seri con le autorità di occupazione, nessuno se la sentiva di azzardare previsioni sui comportamenti delle truppe al momento della partenza.  Di certo non se ne sarebbero andati salutando e ringraziando per l’ospitalità, e in previsione di questo, molti impianti erano stati nascosti in fondo alle gallerie per usarli di nuovo quando sarebbero ripresi i lavori.
All’improvviso la porta d’ingresso si spalancò con violenza e quattro o cinque soldati abbigliati in maniera mai vista entrarono con le armi spianate.
Facevano paura a vedersi, nelle loro tute mimetiche, carichi di munizioni e bombe a mano. Si trattava di un gruppo di guastatori, gente specializzata in distruzioni sistematiche di impianti e strutture d’ogni genere, incaricati di contrastare il più possibile l’avanzata del nemico.
Uno di questi, dopo essersi accertato dell’inesistenza di armi nell’officina si avvicinò all’operaio intimandogli di far discendere la gabbia dell’ascensore e quindi di togliere corrente dall’impianto e dalle gallerie.

“Ma ci sono ancora gli operai la sotto!” disse... "bisogna farli risalire!”

“Non c’è tempo!” gli fu risposto.

Provò a ribattere ancora ma la pistola appoggiata alla sua fronte lo dissuase ad insistere. Azionò argano e freno per far discendere la gabbia con lentezza attivando ripetute volte un segnale luminoso di emergenza nel sottosuolo per far capire ai compagni di risalire al più presto con i propri mezzi attraverso le uscite di soccorso.
Nel frattempo i guastatori, dopo aver legato l’esplosivo al traliccio cominciarono a far precipitare i carrelli nel pozzo per rendere più difficile il recupero della sua futura operatività.
Tutto venne eseguito rapidamente, e prima d’essere trascinato fuori ebbe modo di dare un’occhiata all’orologio e dire a se stesso: “Non passa proprio mai il tempo stamattina!”
Alcuni minatori giunti in superficie, dal bosco ove rimanevano nascosti, ebbero modo di vederlo salire spinto dai soldati, sul camion della miniera carico di roba trafugata, mentre il traliccio si ripiegava su se stesso dopo l’esplosione delle cariche di dinamite.

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Arrivarono gli alleati e la miniera si animò di nuovo. Tutti collaboravano con altro spirito profondendo le migliori energie sorretti dalla speranza di poter finalmente lavorare in pace per un futuro pieno di promesse.
Nessuno pensava più all’operaio dell’argano portato chissà dove dai soldati in ritirata.
Se lo videro comparire un giorno in cantiere, più magro del solito, e tutti gli fecero gran festa.  Narrò della sua fuga dal treno diretto al nord grazie alla inaspettata complicità di uno dei suoi sequestratori. Gli aveva stretto forte con la mano la spalla mentre gli faceva cenno di allontanarsi in fretta. Non ci aveva pensato su due volte... era schizzato via dal vagone rotolando nella macchia accanto alla strada ferrata. La vera paura era venuta subito dopo, mentre stava tirando il fiato dall’emozione cercando di far calmare i battiti del cuore, allorché un pensiero gli attraversò il cervello: “E se mi avesse sparato mentre scappavo?” Non lo aveva fatto e così era di nuovo in mezzo ai propri compagni di lavoro.
Quando si affacciò al capannone degli argani gli sembrò di essere a casa. La prima cosa che notò fu l’orologio accanto alla porta, il solo oggetto visibilmente intatto rispetto al caos generale all’interno dell’officina.
Lo caricò com’era abituato a fare da sempre e questi si mise nuovamente in moto segnando un tempo nuovo, quello della libertà e della speranza.  Cominciarono i lavori di recupero della miniera. L’acqua non più pompata dal sottosuolo aveva allagato le gallerie e riempito il pozzo cosicché occorsero giorni e giorni prima di cominciare a vedere i carrelli che lo ostruivano. Iniziò lentamente il loro recupero con grandi difficoltà mentre veniva rimesso in opera il traliccio, col supporto del quale le operazioni si sarebbero notevolmente semplificate.
Intanto l’arganista stava rimettendo in ordine la sua officina e, guarda caso, i danni attorno erano più apparenti che occulti.
 A prima vista sembrava tutto inutilizzabile ma per lo più si trattava di carters schiacciati e di lamiere contorte, ma la sostanza dei motori e dei meccanismi era piuttosto in buono stato.
La mancanza di energia elettrica restava il problema più serio ma un po’ alla volta tutto si sarebbe risolto.
L’orologio viaggiava preciso scandendo tempi esatti. Gli operai venivano a rimetterci i loro
Roskoff anche perché non c’erano altri orologi alla miniera, spariti con il passaggio del fronte.   La colpa l’avevano presa i tedeschi e i marocchini, come al solito.  Due operai si facevano vedere più spesso degli altri. Amici per la pelle viaggiavano sempre in coppia: se cercavi uno di loro, era sufficiente domandare dell’altro e potevi essere certo di trovarlo. Sicuro: Il Magi e Borrana... scherzavano sempre, anche sull’orologio.  Borrana diceva all’amico:

“Lo vedi com’è preciso?  È come me... quando fo’ un lavoro, puoi star tranquillo che nessuno ci trova qualcosa da ridire... Sicuro! Preciso come un orologio!”

Il suo amico ce lo prendeva in giro:

“Vorrà dire, quando quell’orologio non ci sarà più, si verrà da te a rimettere i nostri... però devi battere anche le ore oppure far cu- cu.”

Tutto stava andando per il meglio. L’idea della taglia fissata al traliccio funzionava e, dopo tanto tribolare erano riusciti ad agganciare i contrappesi della gabbia che pian piano salivano verso la bocca del pozzo mentre il cavo d’acciaio che vi era attaccato si ammassava in larghe volute sul piazzale. Terminata questa fase operativa più difficile, si poteva passare al recupero vero e proprio della funzionalità del complesso attivando finalmente la pompa di eduzione e gl’impianti.  Anche il magazzino degli argani era ormai quasi in ordine, mancavano soltanto pochi giorni di lavoro ed il collegamento con il traliccio per portarlo nelle condizioni di piena operatività.
Intento alle proprie occupazioni l’operaio non comprese subito il motivo del grido di chi stava alla taglia e il successivo schianto. Poi il rumore sibilante di una frusta immane, quello del cavo trascinato dai contrappesi che ripiombavano nel pozzo per la rottura del gancio attaccato alla taglia. Dalla finestra vide il pozzo ingoiare il cavo assieme a spezzoni di travi, di tavole... e infine, simile ad un fagotto di stracci il corpo di un uomo urlante.

Poi il silenzio... per un attimo solo però, seguito da urla, imprecazioni e pianti.
La tragedia si era consumata in pochi attimi... solo Borrana mancava all’appello.
Toccò a Ernesto di andare a recuperare i pochi resti, laggiù, quasi al buio fra i detriti, in mezzo al caos dei materiali precipitati e l’acqua che continuava a fluire dalle gallerie e a piovere dall’alto.
Solo quando tornò fuori si accorse che mancava qualcosa, ma non se la sentì di tornare a cercarla, fu un altro operaio ad occuparsene.
  L’orrore di quel giorno non fu più dimenticato e nemmeno lo sfortunato Borrana.
Da allora nessuno tornò alla stanza dell’argano per sincronizzare la propria ora con quella dell’orologio più preciso della miniera perché non venne più ricaricato.
Quando la miniera cessò definitivamente la propria attività e l’orologio, come le altre cose scomparve nel nulla, segnava ancora il giorno della morte di Borrana.
Solo il chiodo dove era appeso rimase, forse il testimonio più tenace di una storia ormai dimenticata da tutti.

 

L.S. il chiodo 27/9/2001

 


 


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