MURLOCULTURA n. 3/2012 | ||
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Scoperte
curiose
di Luciano Scali | ||
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Il
territorio che circonda il luogo in cui viviamo è simile ad un libro
dove sono riportati gli avvenimenti di ogni tempo, sia quelli di cui
esistono tracce leggibili sia degli altri di cui si è perduta
memoria. Al visitatore che lo attraversa accade spesso di trovarsi di
fronte a situazioni incomprensibili all’apparenza che osservate con
attenzione riescono a riappropriarsi dell’identità smarrita e a
raccontare brani della propria storia. Murlo di storie ne offre a
iosa: non soltanto quelle riportate dai testi ma anche fatti minori
rimasti nell’ombra di avvenimenti più importanti e riapparsi
all’improvviso come per caso. Allorché queste notizie riaffiorano
dall’oblio meravigliano per la loro semplicità poiché erano
rimaste da sempre sotto i nostri occhi ma non avevano suscitato alcun
interrogativo.
In questo numero di Murlo Cultura vorrei occupare lo spazio che solitamente viene dedicato al mestiere del Muratore per rendere noti alcuni piccoli frammenti di storia sopravvissuti al collasso degli annessi al pozzo del Cerrone. Quando giunsi a Murlo, circa trent’anni fa, le strutture del capannone dell’argano erano ancora abbastanza leggibili mentre oggi restano solo mucchi di rovine alle quali sarebbe difficile dare una forma. A quel tempo mancavano il tetto e i serramenti, oltre alle suppellettili e tutto quello che poteva essere asportato e, in qualche modo, riutilizzato. Le pareti prive d’intonaco mostravano i buchi dove erano stati murati i tasselli di legno per affrancare i cavi elettrici, mentre qua e là apparivano tracce di dubbia interpretazione. C’è voluta una foto dell’epoca, messa a disposizione da Sandro Nocciolini, per fugare ogni dubbio mostrando l’aspetto originale del magazzino con l’argano adibito al sollevamento della gabbia di accesso alle gallerie della miniera. La foto dava un senso, anche senza mostrarli, ai bulloni che avevo notati nel basamento a supporto dell’argano, e spiegava la funzione del gancio solitario posto tra la porta d’ingresso e la finestra. Nell’immagine, proprio in quel punto, un orologio faceva bella mostra di sé contribuendo a rasserenare un ambiente in cui le tensioni, dovute alla difficoltà delle operazioni che vi si svolgevano, dovevano essere evidenti (fig. 1). Fig. 1 Il magazzino dell’argano presso il pozzo del Cerrone. E’ ben visibile, nello spazio tra la porta e la finestra, l’orologio del quale è stato ritrovato tra i ruderi il gancio cui era appeso. Fotografia d’epoca gentilmente concessa da Sandro Nocciolini.
Appena
fuori da quel che resta del capannone, si può vedere che il
traliccio di ferro posto sull’imboccatura del pozzo, presenta
quattro giunte evidenti sugli angolari di sostegno. Uno stralcio
della relazione redatta dal perito del Distretto Minerario di
Grosseto il 9 marzo 1968 e riportato di seguito, chiarisce
l’anomalia: L’attività produttiva continuò fino al passaggio del fronte (giugno 1944), epoca in cui lavoravano in miniera circa 150 persone che producevano 40-50 t/giorno di lignite. In quell’occasione però, i tedeschi in ritirata distrussero i macchinari di estrazione e il sotterraneo rimase allagato. Infatti i pionieri tedeschi posero quattro cariche esplosive sui supporti del traliccio e dopo averle fatte saltare rovesciarono carrelli ed altri materiali nel pozzo per renderlo inagibile. La riparazione del traliccio fu eseguita successivamente quando venne deciso di riprendere i lavori in miniera (fig. 2).
Fig. 2 Pozzo del Cerrone: il traliccio del pozzo dove si vedono le “giunte” fatte per la riparazione dopo la distruzione. Il pozzo del Cerrone custodisce ancora altri segreti come quello che riguarda la sua messa in sicurezza sancita da un ulteriore stralcio della relazione definitiva redatta sempre dal solito perito minerario in data 20 aprile 1968: Accertata
come già si è detto la necessità di adottare dei provvedimenti di
sicurezza atti ad impedire l’accesso delle persone alla canna del
pozzo e al capannone pericolante esistente in corrispondenza
dell’imbocco, l’Ufficio Minerario di Grosseto ha con nota
racc.r.r. in data 9 marzo 1968 diffidato l’ing. Giuseppe Clementi-
Amministratore della Soc.Immobiliare Ivana e della Soc. Calce,
Cementi, Carboni e Laterizi di Murlo, proprietario del soprasuolo
interessato dalla concessione mineraria "Murlo" di cui
trattasi, affinché venisse provveduto nel termine di un mese alla
demolizione del capannone pericolante, alla chiusura delle due
gallerie costituenti la ricetta passante del pozzo ed alla chiusura
dell'imbocco del pozzo stesso con una soletta in cemento armato. 1) il capannone sovrastante l’imbocco del pozzo è stato completamente demolito; 2) l’imbocco del pozzo è stato coperto con una soletta in cemento armato dello spessore di 40 centimetri che, a detta dell’amministratore locale della società concessionaria è stata armata con numerosi tondini di ferro incrociati tra loro; 3) i due imbocchi delle gallerie costituenti la ricetta passante alla quota del piazzale principale (3 m. al disotto dell’imbocco del pozzo) sono stati completamente sbarrati con un muro di mattoni collegati da malta cementizia avente uno spessore di 40 centimetri e pertanto il pozzo è diventato del tutto inaccessibile in conseguenza di opere a carattere definitivo. Lo
stralcio di verbale riportato certifica l’avvenuta esecuzione dei
lavori per mettere in sicurezza l’accesso al pozzo del Cerrone e
solo il caso ha permesso di scoprire, oltre trent’anni dopo,
qualche differenza tra la realtà e quanto dichiarato. Fig. 3 Rilievo del graffito con la data di chiusura del pozzo, scomparso con lo sprofondamento.
Una foto ripresa dall’interno della galleria di sinistra, dopo che ignoti l’avevano resa accessibile manomettendo il muro a chiusura d’entrata, mostra con chiarezza di quale tipo di armatura si fossero serviti gli esecutori dell’epoca per consolidare la soletta di cui al punto 2 della relazione finale: due testiere di letto di cui una ancora visibile perfino nei dettagli in luogo dei tondini di ferro incrociati, dichiarati al relatore (fig. 4). Fig. 4 Armatura del cemento armato del pozzo del Cerrone, realizzate con le testiere del letto.
Curioso vero? Ma non è tutto. Al punto 3 della relazione si precisa che gli ingressi alle due gallerie vennero sbarrati da muri di mattoni dello spessore di quaranta centimetri, mentre la foto mostra impietosamente che ne misuravano appena quindici! (fig. 5) E allora? Allora niente, magari il suggerimento di non soffermarsi mai alla sola apparenza delle cose ma piuttosto alla loro sostanza. Infatti, parlando col senno del poi, se i lavori di quarantaquattro anni fa per mettere in sicurezza il pozzo fossero stati eseguiti a regola d’arte, oggi questi non costituirebbe quel grave pericolo per coloro che incautamente vi si avvicinano. E, detto in confidenza, potrebbe essere perdonata agli autori del tempo anche qualche piccola furberia messa in atto per risparmiare sul costo della spesa. Fig. 5 L’ingresso alla galleria di sinistra del Pozzo del Cerrone. | |
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